Perché Callipo – che speriamo sia eletto – fallirà

Amo la Calabria per una serie di questioni personali che non narrerò. Ho lavorato molto in quella regione. Ho amici calabresi. Forse posso dire di conoscerla un pochino; senza esagerare, solo un pochino. E vi dico che tifo per Callipo, spero che vinca le imminenti regionali ma, al contempo, so che non cambierà nulla della tragica situazione calabrese. Le cose funzionano infatti più o meno così: l’apparato amministrativo regionale è in mano a una legione di incapaci, con un certo numero di persone capaci e intelligenti, e motivate e generose assolutamente impotenti a innescare cambiamenti virtuosi significativi. Chi fra voi lettori ha una minima esperienza in una grande organizzazione, sa bene che ci sono due regole; la prima insegna che le organizzazioni sono composte da sistemi complessi e intrecciati, dove non solo diventa difficile individuare con chiarezza e definizione le cause di un problema, ma dove in ogni caso i problemi hanno pluralità di cause, e di attori implicati, senza necessariamente una regia malvagia da rimuovere. Per fare un esempio eclatante e che conosco bene: non si riesce a spendere la quantità di Fondi Europei non già perché c’è una persona cattiva, o un gruppo, che una volta identificata si può rimuovere, ma perché è sempre e costantemente in atto un’eterogenesi di fini fra pigri e sciatti, ricattati, avversari, insipienti, menefreghisti, perfezionisti e via narrando. 

La seconda riguarda la strenua capacità di queste organizzazioni di sopravvivere e autoconservarsi. Se volete immettere un’innovazione in un’organizzazione, per renderla più efficiente, vedrete levarsi gli scudi di dipendenti e sindacati, appoggiati da politici e giornalisti, professori non interpellati e azzeccagarbugli in cerca di prebende. Ciò è accaduto e continua ad accadere nella scuola, nell’università, in sanità e ovunque. Figurarsi in una Regione. Figurarsi in Calabria dove non è che fino a ieri le cose andavano più o meno benino e dove una serie di ragioni storiche e politiche, ‘ndrangheta inclusa, hanno plasmato non proprio verso l’eccellenza la classe politica e amministrativa locale.

Immaginatevi ora un Callipo qualunque (non sono offensivo, anzi il contrario come state per leggere) che – accreditandolo di ogni buona intenzione, nonché di lungimiranza e intelligenza – per l’apparato è un corpo estraneo. Uno venuto da fuori a rompere i coglioni, detta alla francese. Callipo, qualunque cosa abbia dimostrato di sapere fare fuori dai circuiti amministrativi, si troverà proiettato in un mondo assurdo e per non pochi tratti surreale, quello di una pubblica amministrazione pochissimo capace, volenterosa di mantenere il proprio equilibrio. Il pover’uomo diventerà matto dopo pochi mesi, come lo sarebbe stato il Bianconi in Umbria se avesse vinto (storie molto diverse, certo…).

Prendere “il nome”, “il brav’uomo”, “la risorsa del territorio” per buttarlo nell’agone politico, è l’ultima disperata trovata populista del PD, che evidentemente spera in una sorta di riverginazione presso l’opinione pubblica.

Se Callipo vince si troverà un muro amministrativo davanti; colleghi che gli si rivolteranno contro; voltagabbana e opportunisti a iosa; e in cambio si prenderà le colpe della sua incompetenza.

Perché, sia chiaro, Callipo è un incompetente della politica; la politica è una cosa seria, da lasciar fare a professionisti della politica, competenti di diritto amministrativo, fondi europei, commercio con l’estero e via discorrendo. Il fatto che gli italiani (e i calabresi fra loro) abbiano via via scelto politici sempre più scadenti, più ladri, più collusi con tutto ciò che si concede alla collusione, non significa buttare in pasto al popolo “un uomo del popolo” per far bene amministrare una regione.

Per concludere, cari amici calabresi, andate a votare e votate Callipo. Ma non pensate per un solo momento di cambiare la situazione in Calabria.