- Partire dai concetti (questa è una regola fondamentale): cosa significa ‘liberale’? Berlusconi ha imbrogliato generazioni di italiani con le sue frottole sulla natura liberale della sua proposta politica che era, al contrario, fortemente illiberale, statalista… Il caro Marco Pannella diceva di sé “Io sono liberale, liberista, libertario e libertino”, e non parlava a vanvera. Giannino potrebbe essere definito un iper liberista… Poiché l’insalata russa è fortemente indigesta, cosa significhi essere liberale nel Terzo Millennio va chiarito: sia sotto un profilo classicamente economico (il liberismo, per intenderci; viva viva, oppure viva ma discutiamone un pochino?) sia sotto quello dei diritti civili, che è l’altro grande pilastro, quello libertario tipicamente radicale. Il liberalismo (usiamo bene le parole, per favore; qui sto scrivendo “il liberalismo”, che non coincide con gli altri termini) è pensiero economico, è pensiero sociale, è pensiero etico, è inclusione.
- Proseguire con una chiara visione della politica nel Terzo Millennio, che ha poco a che fare con quella del Novecento, dove molti di noi, ancora, sono nati, vissuti e hanno maturato la loro coscienza politica. Parlare per esempio di ‘destra’ e ‘sinistra’ (e ‘centro’, dove dovrebbero collocarsi i liberali) è sbagliato. Non bisogna più avere paura di dire che si tratta di categorie superate, nel senso che ad esse si sono sovrapposte altre categorie che io, per brevità, chiamerei ‘populismo’ vs. ‘razionalismo’. Oggi il Male supremo è il populismo, che significa statalismo, giustizialismo, eversione istituzionale e oclocrazia; non si può affermare semplicisticamente che il populismo è la nuova destra, perché avanza anche un populismo di sinistra e un populismo pseudo-riformista, quello del PD di Zingaretti. ‘Razionalismo’, al contrario (e in attesa di un termine migliore) è politica vera (policy, non semplicemente politics), programmazione, visione di un futuro e aspra e ardua costruzione di processi di governo che guardino a quel futuro, e non all’ultimo sondaggio. È valutazione delle politiche. È dialogo senza concertazione, inclusione senza demagogia, benessere senza disuguaglianze vergognose… I liberali del Terzo Millennio non stanno quindi in nessun “centro” politico, ma sono estremisti del razionalismo, della programmazione, della valutazione.
- Affrontare poi lo spinoso tema della strategia politica: i liberali razionalisti, in Italia, sono quattro gatti. Evito qui la lunga digressione dottorale sul perché il messaggio razionalista non sfondi, mentre quello populista (reddito di cittadinanza, pasto gratis per tutti, Mister Ping ci compera le arance) vada alla grande. Questa contingenza è un dato di contesto; è così, e punto. In questo contesto si gioca la partita, se a qualcuno non va bene, semplicemente eviti di giocare. Il gruppo dei liberali razionalisti non avrà mai il 51% dei voti, ma neppure il 30, neppure il 15… Quale il senso di una modesta (ma sperabilmente viva e solida) presenza sulla scena politica? Il senso è semplice, e ancora una volta è il nostro razionalismo a indicarcelo: sono i gradassi, sbruffoni populisti che invocano dalle piazze il 51%; in politica, in un contesto di politica sana, una piccola ma rocciosa forza politica conta, eccome, in una compagine governativa, anche col 10%, coll’8%… (ma cerchiamo di non scendere troppo!).
- Dalla strategia alla tattica, che non deve essere, una volta di più, miserabile tatticismo. Capisco chi fa la somma dei punti attribuiti a Calenda, più quelli di Bonino, gli vien da piangere e dice “dobbiamo imbarcare anche Renzi per fare massa critica”. Ma è sbagliato. È logica vecchia. Su Renzi: fino al referendum costituzionale era un leader arrogante ma interessante (ricordo che noi di HR abbiamo fortemente sostenuto il Sì al referendum), poi una considerazione lucida e distaccata delle sue mosse successive hanno mostrato chiaramente le sue gravissime carenze, sulle quali non vorrei soffermarmi ora. Renzi ha una visione generale (e, effettivamente, è stato uno dei pochi politici italiani ad averne una) ma la logica che lo governa è, innanzitutto, quella del carisma personale che pretende di imporre. Onestamente credete che Renzi sappia e possa giocare in una squadra in cui non viene acclamato Primo? Si può obiettare che queste sono osservazioni di bassa psicologia e che ho abbandonato il terreno della riflessione politologica, ma purtroppo non è affatto così. Oggi – che ci piaccia o no – le persone fanno la differenza, vanno nei talk show, dichiarano, precisano, sottolineano, twittano nell’assoluta indipendenza personale e narcisistica e spessissimo all’insaputa di tutti gli altri organismi dirigenti (fa così Salvini, fa così Renzi). In una concezione liberale i leader sono estremamente importanti, ma sanno lavorare in squadra, che fra parentesi è il segno distintivo di una grande intelligenza. Non a caso loro si fanno chiamare ‘renziani’, mentre – credo – a noi piace chiamarci liberali, liberalsocialisti, e non ‘calendiani’ o ‘boniniani’… Quindi, mi dispiace: se ce la facciamo senza Renzi (salvo specifiche alleanze future, ovvio) allora bene; se si imbarca Renzi allora farete senza di me (per quel che conta) perché so già esattamente come andrà a finire.
- Senza paura. Mi piacerebbe concludere con una noticina di comunicazione politica: una federazione (o un partito?) liberale, proprio perché razionalista, non ha paura di dire la verità, ma deve saperla comunicare. Sì all’Europa, No al debito pubblico, Sì ai migranti con condizioni e limiti, No al Concordato, Sì all’eutanasia, No al rifinanziamento dell’Alitalia e via discorrendo sono tutti, senza eccezioni, temi divisivi; sono stati resi divisivi dalla propaganda populista, perché non c’è una sola ragione razionale per pensarla diversamente. In un clima culturale, antropologico, avvelenato (e iniziò Berlusconi ad avvelenare i pozzi, non scordiamocelo…), avere questo come programma politico spaventa. Spaventa gli elettori, e quindi spaventa i dirigenti di un partito, di una coalizione. Bisogna recuperare le capacità di comunicazione (‘comunicazione’ non significa propaganda) con una pazienza infinita. Bisogna essere in grado di ribaltare paradigmi imposti dall’omologazione populista, che ha trovato ottimo concime nella personalità egoista e menefreghista degli italiani. Una buona strategia di comunicazione è fondamentale e sarà vincente se non sarà ideologica: torniamo a parlare di Patria e Nazione; parliamo di difesa personale; parliamo di droga e prostituzione; e quindi parliamo anche di Europa, globalizzazione e debito. Leghiamo questi temi in una visione coerente – perché così è – e mostriamone la bellezza.
Il manifesto di Libdem per una costituente liberale