Oggi scopriamo che il diritto alla cura non esiste

Inutile nasconderlo, l’epidemia di Coronavirus ci colpisce tutti: alcuni di noi temono per i loro affetti, altri hanno visto svanire in pochi giorni la propria capacità di sostentamento economico, ma certamente tutti abbiamo motivo di temere la malattia. Già grave di per sé, la polmonite interstiziale che il virus può provocare diventa tanto più letale in un sistema sanitario sommerso da malati fino a oltre la sua capacità, e in particolare oltre la capienza dei suoi reparti di Terapia Intensiva. La realtà di oggi, insomma, è che il Servizio Sanitario Nazionale si trova oggi a operare in Italia in condizioni assimilabili a quelle di una catastrofe naturale o di una guerra, in situazioni cioè dove a un grande numero di casi gravi non corrispondono sufficienti risorse.

Ebbene, proprio come in quelle condizioni estreme, oggi nelle strutture ospedaliere maggiormente sovraccariche a causa dell’epidemia i medici si trovano di fronte a scelte difficili e dolorose, perché non possono sempre prestare a tutti le cure ottimali. Di fronte a un carico di malati eccessivo, sarà (anzi: è) necessario scegliere, perché ad esempio, come ormai sappiamo bene, i posti nei reparti di Terapia Intensiva e i respiratori meccanici necessari per soccorrere chi è affetto da grave insufficienza respiratoria sono in numero minore di chi ne avrebbe bisogno.
Naturalmente, scelte simili comportano un peso morale enorme per la coscienza di chi le prende, ed è inoltre necessario che siano prese in base a dei criteri, nei limiti del possibile, obiettivi; per alleviare quel peso e per stabilire quei criteri, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) ha prodotto e diffuso un breve documento che fornisce le raccomandazioni su come scegliere i pazienti da intubare e quelli che non potranno essere sottoposti a cure intensive. Vediamo alcuni passaggi chiave (le frasi in grassetto sono nell’originale):

«Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone. […]
La presenza di comorbidità e lo status funzionale devono essere attentamente valutati, in aggiunta all’età anagrafica. È ipotizzabile che un decorso relativamente breve in persone sane diventi potenzialmente più lungo e quindi più “resource consuming” sul servizio sanitario nel caso di pazienti anziani, fragili o con comorbidità severa. […]
I criteri di accesso alla Terapia Intensiva andrebbero discussi e definiti per ogni paziente in modo il più possibile anticipato, creando idealmente per tempo una lista di pazienti che saranno ritenuti meritevoli di Terapia Intensiva nel momento in cui avvenisse il deterioramento clinico, sempre che le disponibilità in quel momento lo consentano»

Naturalmente, la prospettiva di non poter curare adeguatamente una parte dei malati di Covit-19 (o, come scrive più tecnicamente il documento della SIAARTI, porre un ceiling of care) provoca reazioni anche indignate, o commenti diciamo ipersemplificatori come quello qui sotto del sindaco di Bergamo Giorgio Gori:

Una grande parte dei commenti, però, non senza qualche ragione e non senza qualche torto, s’è concentrata sulla drastica diminuzione dei posti letto che c’è stata negli ospedali italiani nel corso degli anni, e sui veri o presunti tagli alla spesa sanitaria che avrebbero determinato la scarsità di risorse che oggi sperimentiamo. La politica ormai ultradecennale di tagli alla sanità, insomma, sarebbe la vera colpevole.
Non ho intenzione di analizzare qui la politica sanitaria italiana degli ultimi decenni; ricordo solo che qui su Hic Rhodus abbiamo spesso parlato della Sanità pubblica, e dei suoi problemi che sono molto più complessi dei presunti “tagli” (che non ci sono mai stati: la spesa sanitaria in Italia non è mai calata). Allo stesso modo, la riduzione dei posti letto che invece c’è effettivamente stata in misura rilevante, e che rappresenta indubbiamente un elemento di fragilità del nostro sistema, non necessariamente riguarda proprio i posti in Terapia Intensiva, come vediamo dal grafico qui sotto, e che parte dal 2010 perché sul sito del Ministero della Salute non ho trovato dati precedenti, anche se da articoli reperibili in Rete, ma che non citano fonti precise, risulta che negli anni precedenti a quelli rappresentati nel grafico ci sarebbe stato un decremento dei posti letto di Terapia Intensiva.

Posti in strutture pubbliche, equiparate e accreditate. Fonte: http://www.dati.salute.gov.it/

Quello che vorrei commentare, invece, è un’obiezione che tipicamente è stata avanzata contro le raccomandazioni della SIAARTI, ossia che sarebbero contro il diritto alla salute garantito dall’art. 32 della Costituzione. Credo infatti che questa obiezione, che sarebbe facile liquidare come puramente astratta, consenta invece di esaminare meglio il concetto stesso di “diritto fondamentale”, che, come vedremo, ritengo sia in realtà “fondamentalmente” sbagliato, anche se pragmaticamente utile in circostanze ordinarie.

Difatti, anche ammettendo che una migliore politica sanitaria avrebbe consentito all’Italia di disporre di infrastrutture e risorse superiori a quelle che abbiamo oggi, è chiaro che le risorse necessarie per garantire un “diritto”, quali che siano e in qualunque campo, non possono che essere limitate. Diciamolo chiaramente, anche se è ovvio: il godimento di un diritto individuale che consista nel ricevere un bene o un servizio comporta un costo per la collettività, e quindi è un dato economico e non semplicemente giuridico. E in quanto economico non può essere assoluto: in un paese ipoteticamente troppo povero per avere ospedali moderni, il “diritto” di essere ricoverati in terapia intensiva quando se ne ha bisogno evidentemente non esiste; in un paese ragionevolmente moderno, invece, dipende da quante e quali altre persone hanno la stessa esigenza. Un diritto incondizionato e illimitato a ottenere il miglior livello di cure non esiste e non può esistere, così come non esiste un diritto incondizionato all’istruzione, eccetera. Nessun diritto che comporti un costo esiste davvero: si tratta di una bugia “a fin di bene”; ecco cosa “scopriamo” oggi con il Coronavirus (ed ecco perché, in tutt’altro contesto, ritengo che non esista un “diritto di asilo”). Ogni diritto, in realtà, vale solo quando le risorse necessarie per riconoscerlo a tutti coloro che lo invocano sono disponibili, e le risorse in qualunque sistema economico sono sempre scarse; un documento come quello della SIAARTI serve solo a far sì che vengano usate al meglio. Ogni diritto è condizionato, e quello alla salute forse più degli altri.

Bella scoperta, potremmo dire, in un Paese dove in ampie aree parlare di diritto all’istruzione, alla sicurezza, alla Giustizia e ovviamente alla salute a volte sembra beffardo. Ma a me sembra importante, anzi indispensabile, dire chiaramente una buona volta che i diritti naturali, inalienabili e inviolabili non esistono: sono un’astrazione politica utile come “abbreviazione” politico-giuridica dell’impegno che una comunità si dà a dedicare risorse, capacità di programmazione, tempo a creare servizi prioritari ed essenziali. Ognuno di questi servizi avrà una capacità, e il “diritto” di accesso a ciascuno di essi vale solo nei limiti di quella capacità e dell’efficienza con cui viene gestita.

In sintesi, i diritti si costruiscono, e si pagano, giorno per giorno. Più volte, qui su Hic Rhodus, abbiamo scritto che il sistema di assistenza sanitaria pubblica di questo paese è il maggior patrimonio di ogni italiano (e non pensavamo davvero di dover vedere la nostra affermazione confermata in questo modo): ma costruire e mantenere un patrimonio costa. Bisogna pagare le tasse, e tutti; bisogna eleggere amministratori oculati; bisogna non sperperare questo patrimonio con sprechi e cattivi impieghi delle risorse che lo costituiscono, eccetera. Anche oggi, chi non rispetta rigorosamente le norme di isolamento sta “lavorando contro” questo patrimonio.
Un “diritto” è qualcosa per cui, come cittadino, ho lavorato, nei limiti della mia capacità di contribuirvi, e che mi sono guadagnato. E proprio per questo non può essere illimitato.

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