Orbán e l’unica speranza rimastaci

Come la pandemia di coronavirus porta il mondo a una battuta d’arresto e i cittadini ansiosi chiedono azione, i leader di tutto il mondo invocano poteri esecutivi e conquistano l’autorità praticamente dittatoriale con scarsa resistenza.

Salem Gebrekidan lo scrive sul NYT del 30 marzo citando Gran Bretagna, Cile ma ovviamente anche Orbán, che ha ricevuto pochi giorni fa pieni poteri, dopo avere stravolto la sua Costituzione, ponendo l’Europa di fronte a un gravissimo dilemma.

Il tema, che diventa di settimana in settimana più grave, è stato di recente da me trattato su HR (è seguito poi un intervento di LibertarianMind). Dove il clima è già autoritario (per esempio in Giordania e Thailandia) le autorità ne approfittano per schiacciare il dissenso. Dove c’è democrazia si restringono gli spazi di libertà ai cittadini spaventati per poi, forse, riallargare le maglie in seguito. E non sarebbe neppure una grave crisi, questa, se ci pensate bene… Pensate all’asteroide, a una guerra, al dilagare di un virus ben più micidiale… Cosa accadrebbe, in quel caso?

Che poi, Orbán insegna, non ultimo nella storia, i colpi di Stato si fanno con delle belle maggioranze parlamentari alle spalle (137 contro 53 a favore di Orbán) in modo che diventa complicato dire che si tratti di “colpo di stato”, di “inasprimento autoritario necessario e in qualche modo condiviso” o qualcosa d’altro ancora.

E cito Nadia Urbinati ancora una volta perché occorre sempre, assolutamente, oggi più che mai, per pochi che siamo, adottare una logica razionalista. Urbinati, trattando del caso Orbán, si avvita in contraddizioni logiche che paiono sfuggirle:

Si tratta di tirannia pura e semplice. Sancita con il paravento della costituzione.  L’ha deciso il parlamento ungherese […]. Una maggioranza che costituzionalizza se stessa – come ha fatto il partito Fidesz al potere da quasi dieci anni ― non è una democrazia costituzionale, è una maggioranza eternizzata. Dalla sconfitta dei fascismi, le costituzioni servono non a incoronare il potere costituito ma a limitarlo, per garantire i diritti civili, che sono in primo luogo diritti di parola, di associazione e di movimento. […] La svolta tirannica di Orbán ci fa comprendere quanto importante sia avere una costituzione chiara e forte nel tutelare i diritti. Le opposizioni parlamentari e di opinione ci garantiscono che il potere di controllo e di critica persista sempre.

Ohibò: le Costituzioni non bastano ma è importante avere costituzioni chiare e forti, poi servono maggioranze e opposizioni democratiche che non sono state affatto soffocate nel caso ungherese… Insomma: cosa diavolo serve per ritenersi al sicuro da svolte autoritarie? Una bella Costituzione? Ma la si può cambiare, ci mancherebbe! E poi: “bella” da quale punto di vista? Una solida opposizione? Dipende da chi viene votato, se in Ungheria l’opposizione è risicata (come in Russia e altri paesi dell’Est) di chi è la colpa? E poi, vorrei segnalare, la nostra opposizione, quella che voleva per sé pieni poteri come Orbán, non è oggi al governo solo per una specie di congiura di palazzo, con una maggioranza pasticciata e un premier incapace messi lì per impedire alla reale maggioranza nel Paese (ma minoranza in Parlamento) di andare al potere. Questo a noi ci va bene perché pensiamo che Salvini e Meloni siano il male assoluto ma, per favore! sotto il profilo democratico tiriamo la coperta come ci pare, che non è necessariamente “giusto in sé”.

Quello che un nutrito gruppo di intellettuali (Libertà e Giustizia, Micromega, Wu Ming …) non riesce a chiudere, è il cerchio della contraddizione dettata da un’aporia crescente: da un lato il Potere, nell’epoca contemporanea, ha tutti gli strumenti per stringere il pugno sul popolo; dall’altra il popolo è sempre più preda di populismo estremisti. Il punto di incontro di questi due estremi si dà solo nelle svolte autoritarie.

Sarò chiarissimo: un ceto politico capace, intelligente, che abbia a cuore il popolo, e un popolo laborioso e competente nello scegliere i suoi rappresentanti, è ormai una chimera (se mai è stato possibile, fugacemente, nell’immediato secondo dopoguerra). 

Già fin troppo ne abbiamo parlato su HR, chiarendone le ragioni sociali e storiche.

In seguito alla svolta ungherese – segnaliamo a margine – c’è stata una timida reazione europea e una sfrontata e umiliante replica magiara.

Premesso che non credo, personalmente, che ci sia scampo da una situazione ovviamente destinata a peggiorare, nel tempo e alle varie latitudini, segnalo per i più ottimisti come l’unico modo per sfuggire a un destino tirannico sia coltivare un’opinione pubblica eccellente. L’opinione pubblica è un sempreverde del pensiero democratico occidentale; un pilastro; anche una fandonia, diciamolo… Nell’epoca d’oro dell’Occidente post bellico, per quei due o tre decenni fra i ’50 e i ’70, una minoranza intellettuale elitaria poteva costituirsi come “opinione pubblica”, e indirizzare il pensiero delle masse, e mobilitarle…  Ma oggi quella figura di intellettuali è morta e sepolta, sostituita da mezze figurine incerte e accecate. È rara nelle competenze e nella lucidità di pensiero; resta comunque screditata, o quanto meno ignorata, dalle masse come dal potere, povero filosofo, povero sociologo, povero economista destinato a raccontarsela in corsivi non letti da nessuno, o in blog residuali.

Ecco perché occorre cercare, presto, un’alternativa. La sconfitta delle democrazie occidentali a me pare una certezza, e le alternative possibili, una più spaventosa dell’altra, le ho già enumerate alla fine del mio già citato precedente articolo

Forse la soluzione non è da cercare nelle forme di governo, sempre meno significative nella gestione dei problemi planetari. Forse la soluzione è, assieme, individuale e sovrannazionale. La sopravvivenza dei razionalisti, nelle immancabili pieghe di qualunque futuro dispotico, potrebbe essere l’unica speranza per i figli dei nostri figli.

(in copertina: autoritratto del vostro blogger)