Provo a scrivere un post difficile, più che altro scomodo perché pochissimo mainstream.
Il tema è la libertà.
Si vanno moltiplicando gli interventi che protestano contro una reale o ipotetica (per il momento non mi schiero) limitazione delle libertà individuali per fronteggiare la crisi del coronavirus. Ne ha scritto Nadia Urbinati alcuni giorni fa, ne parla il radicale Carmelo Palma sul suo blog, spesso rilanciato dagli amici di Libdem, si è aggiunto Fausto Bertinotti, ne abbiamo parlato perfino su Hic Rhodus con un articolo di LibertarianMind e altri, con vari gradi di autorevolezza, sempre più spesso in questi giorni. Avrete poi anche voi letto, qua e là, di una crescente diffidenza contro una presunta simpatia verso il massimalismo cinese, così capace di fronteggiare la crisi ma così illiberale, ovviamente!
Io ho un’idea differente. La mia idea differente non riguarda quanto mi piace la libertà o meno, ma quanto sia compatibile una certa idea di libertà col mondo attuale. La “certa idea di libertà” è novecentesca e ha origini di due secoli precedenti, da cui in pratica ci è rimasta solo una frase trita e ritrita erroneamente attribuita a Voltaire…
Per spiegarmi procederò così: dovrò mettere alcune premesse (primi tre paragrafi) definendo ‘libertà’ per come usualmente intesa da filosofi e politologi contemporanei; poi dovrò spiegare come si è prodotta una frattura radicale, sostanziale, di tipo culturale e sociale, fra il mondo del Novecento e quello dell’attuale Terzo Millennio (da intendere in forma simbolica, cercherò poi di spiegarmi). Dopo potrò esporre la mia tesi, che in sintesi è la seguente: se tale frattura socio-culturale c’è, allora non possiamo utilizzare concetti pre-frattura. Vale a dire: non è come indicato nello scenario 1, bensì come ipotizzato nello scenario 2.

Liberatomi di queste necessarie premesse, potrò entrare nell’argomento principale e discutere di come e perché “quella” certa idea di libertà non sia praticabile, e di cosa può attenderci in alternativa.
Poiché per dire tutte queste cose impiegherò un numero consistente di parole, metterò in testa a ognuno dei primi tre paragrafi introduttivi un breve riassunto, in modo che se ritenete che per voi siano superflui potete saltare quelle parti, evidenziate in colore come questa. Siete comunque pregati di leggere almeno dal paragrafo 4 (che è interlocutorio e fa un riassunto generale) in poi.
E adesso procedo.
1. Il concetto di libertà del Novecento
Riassunto: il classico concetto di ‘libertà’ che conoscete: agire senza costrizioni e vincoli, salvo quelli stabiliti dall’autorità che “concede” questa libertà. Vedremo come le cose siano cambiate nel tempo, a seconda di quale fosse l’autorità del momento. Questa riflessione iniziale è fondamentale: noi propugniamo un certo valore di libertà per come il corso della storia ci ha condotti a ritenere valido.
Non pretenderete un trattato filosofico, questo è solo un blog…
Rubo quindi da fonti non solo attendibili, ma in linea con la Cultura (con la ‘c’ maiuscola) del Novecento. Per esempio il dizionario di filosofia Treccani:
Dal punto di vista giuridico segnalo:
Il resto lo cercate voi a vostro piacere, ma se mi permettete una veloce sintesi operativa, diciamo:
- si può partire da un concetto “filosofico” in merito al fatto che ogni individuo ha delle libertà (al plurale) da specificare nella realizzazione di azioni,
- regolate da un’autorità che concede tali libertà, pone vincoli e condizioni, e così via.
La storia umana può essere letta, fra le tante chiavi di lettura, come un confronto fra individui che chiedono meno vincoli e più libertà (libertà di intraprendere attività ancora vietate dall’autorità), e autorità che limitano e vincolano tali richieste.
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Richiamate voi alla memoria qualche nozione di storia: l’emersione dalle brutalità del mondo antico è avvenuta o per concessione del Sovrano o per una rivoluzione popolare.
Il codice di Hammurabi, le XII tavole, il codice penale sabaudo e la Costituzione italiana sono esempi di definizione (delimitazione) dei diritti e delle libertà da parte dell’autorità, così come i 12 comandamenti lo sono, sotto il profilo religioso, per i cristiani. La rivoluzione francese e quella americana sono invece i classici esempi liberaldemocratici di rivoluzioni “buone”, fondative dell’epoca moderna; ma anche la rivoluzione russa ha avuto motivazioni simili, le infinite rivolte che hanno segnato la storia cinese, e altre. C’è sempre un’autorità che concede (Hammurabi, dio…) o che concorda in forma partecipata con rappresentanti del popolo (Costituenti, parlamenti…), e un popolo che chiede, spinge, preme, e semmai si ribella e cerca di rovesciare chi non riconosce legittimità alle richieste. Oppure una parte di popolo, che nessuna rivoluzione è stata un’insurrezione se non di una parte, a volte minoritaria, di una popolazione. Se l’autorità è cattiva e ottusa, e viene rovesciata dagli insorti, questi ultimi si autoproclamano “buoni e giusti”, e la storia viene riscritta da costoro. Se invece gli insorti perdono, sono sciagurati additati al popolo come esempio da non seguire. I fratelli Bandiera sono stati delle canaglie per il regno delle Due Sicilie che li fucilò in base alle leggi vigenti, peraltro con sostegno del popolo. Poi abbiamo fatto l’Unità, i valori di riferimento nazionali sono cambiati, e i fratelli Bandiera sono ricordati come patrioti. Uguale in Russia, dove la rivoluzione sovietica tracciò ripetute linee di demarcazione fra chi fossero da considerare buoni e cattivi, e molti dei buoni della prim’ora vennero poi considerati cattivissimi, e oggi pensiamo, per lo più, che fossero cattivi tutti, ma c’è voluta la caduta di Berlino, Gorbaciov, e tutto un revisionismo marxista e comunista che solo vent’anni prima era bollato come un crimine anche in Occidente (semmai solo all’interno della chiesa comunista)…
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Insomma: i valori di riferimento cambiano, e giudichiamo bene o male persone ed eventi ed idee in base a molteplici fattori storici che generalmente non governiamo affatto.
È evidentemente nell’ambito, nel contesto, nel brodo di quei valori che acquistano spessore anche quelli relativi alle libertà. I valori relativi alle libertà, per complicare le cose, non sono banalmente le astrazioni dichiarate e dichiarabili in merito alle libertà, ma le implicazioni fattuali, ciò che realmente si può fare e non si può fare senza i) contravvenire alle leggi in vigore, oppure ii) andare incontro a un forte stigma sociale (o entrambe le cose). Gli omosessuali, fino a non tantissimi anni fa, andavano incontro allo stigma sociale; prima ancora, andavano incontro anche a sanzioni di legge; oggi non c’è serie TV americana che – political correctness rules – non abbia almeno una coppia omosessuale fra i protagonisti. Restiamo su questo esempio: qual è, qui, il concetto di riferimento sulla libertà sessuale? Quando si condannavano gli omosessuali si riteneva che fossero dei viziosi che sfidavano le leggi di Dio. L’autorità morale era piuttosto elevata, come vedete; chi eravamo noi (i nostri avi) per discuterla? Dopo decenni di studi clinici, di rivoluzioni sociali, di edonismo, di secolarizzazione, ecco che la legislazione è mutata e l’accettazione sociale si sta modificando velocemente. Ai tempi della Serenissima, a Venezia era consentito alle donne mostrare il seno nudo in pubblico, e non solo alle cortigiane. E io ricordo quando – anni ’70 – tutte le ragazze stavano a seno nudo in spiaggia. Ora è praticamente impossibile e c’è perfino chi giustifica le donne velate e in burkini (BTW: le donne egiziane, turche, marocchine e di altri paesi islamici andavano in minigonna e senza velo negli anni ’50 e ’60. Poi l’islamismo, come un cancro, ha modificato l’assetto dei valori, si è appropriato del potere – o il potere si è appropriato della fede, decidete voi – e le cose sono andate malaccio, anche se non ovunque).
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In conclusione possiamo dire che nell’Occidente democratico del secondo Novecento, sulla scorta di una tradizione che si fa risalire alle due rivoluzioni, alla luce del confronto fra i blocchi e della contrapposizione fra modello “liberale” (aka: americano) e sovietico, considerato il piano Marshall, la Nato, Hollywood, la Coca Cola e altre due o tre cosette, abbiamo imparato a considerare il nostro mondo e le nostre libertà come date, ovvie, inerenti il concetto stesso di democrazia, inscritte nella nostra Costituzione e nel nostro DNA (cosa non vera, ma ci piace dire così) e, cosa che più conta, in continua espansione come il benessere economico, il rock progressive, il bagno dentro casa e le ferie d’agosto.
Tant’è vero che – come già abbondantemente argomentato in altri articoli su questo blog – c’è chi ha fatto qualche ovvio passettino in più decidendo che anche la libertà di dire cazzate, l’egualitarismo dell’uno vale uno, i diritti acquisiti e il pasto gratis fossero nel novero delle libertà individuali inalienabili.
2. La frattura del Terzo Millennio
Riassunto: occorre fare una seconda importante digressione sull’enorme frattura sociale e culturale maturata alcuni decenni fa. Senza uno sforzo di distanziamento, e specie se si è particolarmente giovani, è difficile comprendere che in pochi anni si è prodotta una discontinuità senza precedenti, che non può non riverberarsi sul cambiamento dei valori, e infine dei comportamenti.
Naturalmente si tratta di datazioni simboliche. In ogni caso è avvenuto qualcosa, 25-30 anni fa, che ha cambiato tutto (ne abbiamo parlato QUI): crollo dei blocchi, la Cina, Internet e tutta una serie di cose, e di loro conseguenze, che hanno modificato radicalmente il nostro assetto sociale. Radicalmente. Dalla possibilità di viaggiare alla circolazione di merci e idee, dall’internet 2.0 all’intelligenza artificiale, dalle logiche e confini geopolitici stravolti alle nazioni crollate o sorte… Chi è molto giovane ed è nato in questo ambiente, non può minimamente capire cosa fosse il mondo fino agli anni ’70, ’80 del secolo scorso. Scrivevamo con le penne stilografiche e con la macchina da scrivere!

Avevamo il telefono fisso (non tutti) e quando uscivi di casa non avevi modo di chiamare casa (salvo trovare gettoni – sapete cos’erano i gettoni? –
– da ficcare in una cabina pubblica che di solito puzzava di fumo in maniera asfissiante). SI fumava al cinema. Una macchina ai 120 già “sfrecciava”. Gli omosessuali erano finocchi, le donne “me la dai o scendi”, i disabili handicappati e gli operatori ecologici scopini. Ve lo do io il politicamente corretto! Eravamo appena andati sulla Luna, i comunisti minacciavano di vaporizzare gli USA e in Italia c’era la guerra civile e ci si sparava addosso!
Ora: questi non sono “fatti” liquidabili come azioni meccaniche svincolate da modi di essere, di pensare, di credere, sognare… C’è una continuità neuronale, passionale, spirituale, intellettuale nel modo in cui gli esseri umani vedono e interpretano il mondo, e biblioteche di ricerche lo hanno mostrato, nel secolo scorso, in relazione a società molto distanti dalla nostra, società “primitive”, o società orientali, comunque società evolutesi al di fuori dell’area della Coca Cola, di Jerry Lewis, della Domenica del Corriere o del cornetto Algida. E si è visto, e ancora si può vedere, e comunque è facile capire, come la tua relazione col mondo, il linguaggio che usi per designare le cose, il modo stabilito come socialmente corretto per stare assieme agli altri, come corteggiare una donna, come allevare un bambino, che doveri hai, che diritti hai, e tutto l’ambaradan che occorre per vivere, abbia una coerenza interna.
Ogni società si è evoluta, nel corso di secoli e di millenni, adattandosi all’ambiente in forme in qualche modo coerenti, e tali coerenze hanno resistito, quali più e quali meno, salvo essere soppiantate con fatica e con sangue in momenti cruciali, epici, segnate da grandi catastrofi come la fine dei Maya ad opera dei conquistadores, la fine dei Qing ad opera di rivoluzionari nazionalisti ed altre periodiche “fine del mondo” che da sempre punteggiano la storia umana. Si tratta di fratture, lacerazioni, per le quali il mondo prima e il mondo dopo sono assai differenti, e questo è avvenuto nel breve lasso di tempo della vita delle persone, e non impiegando gli usuali secoli vissuti, soggettivamente, come epoche stabili ed immobili.
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L’insieme di eventi citati sopra, comparsi assieme alla fine del secolo scorso, ha due elementi distintivi: i) è appunto una lacerazione profonda nella continuità esperienziale umana, e ii) ha avuto l’eccezionale e inedita caratteristica di essere universale.
Tutto ciò che c’era prima aveva una sua coerenza (limitatamente alla cultura occidentale, così restringiamo il nostro campo di osservazione), e in tale coerenza c’erano anche le risposte alle sue contraddizioni. Gli omosessuali – per continuare con l’esempio – i down, i senzatetto… avevano una loro collocazione anche nella negazione. I neri – che da noi erano rarissimi – erano simpaticamente “negretti”, come i cinesi furono dapprima “cinesini”… e così definibili erano inclusi nel nostro mondo. Gli islamici non sapevamo neppure chi fossero, a meno che non ci interessassimo particolarmente al dialogo interreligioso.
Allora (per favore, immedesimatevi se siete giovani e faticate a capire): nel corso della mia vita io sono passato, in pochi anni:
- dalla macchina da scrivere al word processor;
- dalle lettere al mio amico a Boston, vergate a mano, a Whatsapp;
- dal paesino della bassa Romagna dove sono nato e cresciuto al gironzolare per i vicoli di Shanghai alla ricerca di particolari versioni di street food;

- dal mej leadar che busô alle relazioni omosessuali dichiarate anche di leader politici;
- dai negretti alla lunga fila di africani spacciatori, questuanti e altrofacenti ormai ovunque nelle strade.
Aggiungete l’Europa, aggiungete le guerre in Medio Oriente e l’ISIS, aggiungete Putin, i barconi, i comunisti che fanno ridere, le auto ibride, i no vax, aggiungete un po’ quello che vi pare…
Il mondo non è cambiato un pochino, secondo un’idea progressiva per la quale avremmo avuto le stesse cose ma migliori (auto migliori, strade migliori, una medicina migliore con qualche vaccino in più…); no, abbiamo altre cose, tutt’altre cose, e diversissime e inimmaginate situazioni…
3) La complessità, ancora!
Riassunto: la frattura sociale, culturale (e tecnologica, e politica…) trattata nel precedente paragrafo, ha a che fare con un classico tema di HR: la complessità sociale che ha avuto un incremento esponenziale, e che rende difficile, forse più che difficile, governare la contemporaneità con forme “tradizionali” (novecentesche) di policy.
Qui mi posso sbrigare perché l’argomento è stato ben approfondito su HR:
- QUI un articolo preliminare che spiega cosa si deve intendere con ‘complessità sociale’;
- QUI un approfondimento sulla complessità a livello “micro”, di singoli individui;
- QUI una sorta di sottotema, sui legami deboli, che è strettamente connesso al tema della complessità.
Riprendo dal primo degli articoli citati:
La complessità ha a che fare con persone × ruoli × interazioni. I “molti io” che interagiscono con i “molti voi”, creano non già una complicazione (un numero elevato ma finito di situazioni) ma quella che chiamiamo complessità (un numero elevato e indefinibile di situazioni, mutevoli e scarsamente prevedibili). Che poi non è finita perché occorre aggiungere almeno due altri fattori: l’umoralità cangiante (cioè: chiunque io sia, nel mio ruolo del momento, posso essere più o meno felice o arrabbiato, avere il mal di pancia, o essere comunque in una qualunque situazione che rende variabile il mio comportamento) e i gruppi in quanto tali che, pur essendo fatti di singoli individui, hanno anche una loro presenza, come tale agendo sui suoi stessi membri in maniera notoriamente incisiva in quanto a imprinting culturale e professionale. La complessità sociale ha a che fare con la coesistenza di mondi aperti in interazione sistemica, un modo complicato per dire che l’interdipendenza reciproca non può essere oggetto di pianificazione (se non di massima) e di previsione (se non a grandi linee).
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La complessità sociale c’è ovviamente sempre stata (essendo semplicemente un concetto volto a indicare cosa accade considerando sistemicamente le interazioni); quello che è cambiato è
- l’accelerazione della curva della complessità; ciò dipende dall’evoluzione tecnologica, sociale etc., per cui, per capirsi, la complessità all’epoca di Carlo Magno era giusto un po’ superiore a quella di Cesare e un po’ inferiore a quella di Luigi XIII, ma già all’epoca di Marx la curva era notevolmente veloce;
- la frattura (specialmente tecnologica) di cui al precedente paragrafo è stata una frattura anche della curva che si è impennata in maniera esponenziale.
La complessità all’epoca di Cesare, di Carlo Magno, e ancora ancora di Luigi XIII era governabile; era una complessità circoscritta entro orizzonti comprensibili. Dalla rivoluzione industriale in poi l’accelerazione delle conoscenze, delle tecnologie, degli spazi aperti, ha via via diminuito tale possibilità di comprensione, che poi significa difficoltà a prevedere l’esito delle azioni sociali. Infine, l’impennata cui assistiamo produce il suo effetto finale che è, semplicemente, l’impossibilità di governo.
Se “governo” significa adozione di soluzioni per contrastare problemi sociali (economici…), l’esplosione dei problemi caratterizzati da infinite diverse sfumature, dei quali non è possibile comprendere adeguatamente l’evoluzione, e l’adozione di soluzioni delle quali non è prevedibile l’esito, rende in sostanza l’azione di governo sempre più di corto respiro, sempre più adeguata a micro-sistemi, sempre più incerta… Altro che lo statista che guarda alle generazioni future! Lo statista dei nostri giorni fa fatica a guardare il dopodomani…
Aggiungo, perché è un tema che a suo tempo ci è stato a cuore, che vanno anche a farsi friggere le pretese di partecipazione popolare, “dal basso”, alla costruzione della decisione, come abbiamo spiegato, fra le altre cose, QUI.
4) Facciamo il punto fin qui, prima di procedere
In due parole:
- la libertà è un concetto astratto se non viene sostanziato da pratiche;
- la sostanza di ‘libertà’ (la sua definizione pragmatica) cambia in funzione dell’assetto dei decisori (sovrani, soviet, parlamenti, industriali, Illuminati…) e di come sanno e possono trasmettere i loro valori al popolo;
- le libertà individuali e collettive sono enormemente cambiate nel corso della storia e delle latitudini; il “nostro” concetto di libertà può anche essere considerato, unilateralmente, il migliore possibile, ciò non di meno è un frutto storico, legato a contingenze storiche;
- poiché uno degli attori delle libertà è l’autorità che le concede, costei è un soggetto nel medesimo fluire storico del cittadino che tali libertà reclama; anche se c’è un’evidente asimmetria di ruoli fra il titolare della concessione e il concessionato, essi provengono dallo stesso ambito socio-culturale. Con una differenza sostanziale: il concedente (lo stato di diritto, per noi occidentali) concede sulla base della sua azione di governo, ovvero su ciò che comprende del rapporto problema-soluzione;
- in epoca di complessità esponenziale, non essendo più possibile comprendere e prevedere, la concessione di diritti viene condotta per vie brevi sulla base di residui ideologici, di interessi immediati, di tatticismi politici. Alcuni diritti acquisiti dagli italiani in questi anni (coppie di fatto, omosessualità, fine vita…) sono il frutto sostanzialmente casuale di un’azione di governo estemporanea, dove alcuni leader hanno ritenuto – fiutata l’aria – che potesse essere conveniente concedere ciò che fino a quel momento non era stato concesso.
5) La complessità comporta inevitabilmente la perdita di libertà
Ed eccoci al capitolo per me decisivo. Per una serie di questioni che andrò a esemplificare, non solo la complessità è ingovernabile – come scritto precedentemente – ma è anche inevitabilmente collegata a una sostanziale e crescente perdita di libertà individuali.
Primo esempio: dalle telecamere in ogni angolo di strada al buon uso della tecnologia, oggi delinquere è sempre più difficile o almeno, in certi casi, diventa difficile farla franca. Siamo più sicuri (rispetto a certi reati antichi: il furto, la rapina, l’omicidio) a fronte del fatto che la nostra faccia ormai è costantemente in diretta su qualche monitor, il riconoscimento facciale è una realtà e, salvo per chi vive in mezzo ai boschi, rigorosamente senza cellulare, è impossibile sfuggire al controllo. Se volete scomparire come il buon Majorana, oltre al cellulare dovete buttare via bancomat e carte di credito; bene, ma come farete la spesa, una volta finiti i contanti? Le regole sempre più vincolanti per l’abolizione del contante saranno pur immaginate per evitare truffatori ed evasori, e questo è un bene, ma contribuiscono al tracciamento di noi tutti. Siamo tutti più sicuri proprio perché siamo tutti più controllati (ne abbiamo parlato QUI un sacco di tempo fa; ora le cose sono ancora peggio, ovviamente).
I bambini sono maltrattati? Mettiamo le telecamere nelle scuole (ne abbiamo parlato QUI) ma, ancora una volta, non vi pare che questo vada a discapito della dignità professionale del 99% degli insegnanti?

Un altro esempio è la questione dei big data, la profilazione di noi utenti dei social, il fatto che ormai tutti sanno tutto di noi (QUI un articolo di Ottonieri). Abbiamo una pletora di Autorità, di Garanti e di spassose regole sulla privacy, ma resta il fatto che un nanosecondo dopo avere cercato, o addirittura già comperato, un prodotto su Amazon, mi appaiono pubblicità correlate su Facebook. Per tantissime persone questo può non dare fastidio, e può non essere vista come una riduzione di libertà… Ma io credo, al contrario, che sia la dimostrazione palmare della riduzione delle mie libertà fondamentali, prima di tutto quella della mia sfera privata, orientamenti sessuali e religiosi, stili di consumo e via discorrendo.
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Molti dei marchingegni che mi hanno tolto un pezzettino di libertà sono nati probabilmente per ottime ragioni: le telecamere per scoraggiare i ladri; la tracciabilità delle carte per combattere l’evasione; i controlli all’aeroporto per contrastare il terrorismo. Altri sono stati elaborati, in mancanza di leggi e di reali possibilità di impedirlo, per imbrogliarci, o quanto meno per sedurci, subornarci, invogliarci a comperare un certo prodotto o – udite udite! – a votare un certo partito, e sappiamo ormai bene come esistano centrali eversive dedicate a questo (si legga sempre Ottonieri su questo punto).
È spaventoso: sappiamo che ci sono centrali eversive dedicate a questo, ma non possiamo farci nulla, salvo vedere folle manipolate in occasione di importanti appuntamenti politici. E poiché gli esiti di quegli appuntamenti politici si riverberano pesantemente sulle vite di tutti, mia inclusa, io mi irrito molto e ritengo di essere privato di alcune libertà fondamentali del mio essere cittadino.
Il progresso, in particolare tecnologico, ci ha dato con una mano il potere di controllare sempre più e meglio le azioni illegali, mentre con l’altra ci ha sottratto pezzi crescenti di libertà.
Il mondo distopico che ci attende, ben previsto dalla letteratura fantascientifica, è quella del controllo totale. Un bel microchip e nessuno potrà delinquere, perché saremo tutti, sempre, sotto l’occhio dell’autorità. Chi, a questo punto, dovesse dire “ma io sono una persona onesta, non ho nulla da nascondere, ben venga il microchip”, è un agente inconsapevole del Grande Fratello prossimo venturo.
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L’aumento del controllo nasce come rincorsa dell’autorità al mantenimento di una funzione sempre più residuale: il Potere, così come conosciuto fino al Novecento, che si esprime con la gestione della concessione delle libertà, come scritto sopra.
Ti concedo la libertà d’impresa e ti impongo le tasse; poiché potresti non pagare le tasse ti controllo; poiché i controlli sono lunghi, complicati e colgono a caso nel mucchio, ti obbligo a procedure elettroniche che posso controllare, memorizzare, incrociare con altri dati. Ti concedo la libertà di viaggiare, ma ci sono pericoli, potresti trasportare armi, droga o, in questi giorni, virus; allora ti obbligo a controlli sull’identità, sul carico, su cosa potresti portare illegalmente dentro il tuo corpo. Ti concedo la libertà di produrre e commerciare, ma sotto una valanga di norme, restrizioni, vincoli, decreti, procedure sanitarie, procedure commerciali, procedure fiscali…
Oggi non esiste una sola libertà che non sia, nei fatti, monitorata e controllata come minimo, ristretta e condizionata sempre più.
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Quale risposta dare agli agenti del Grande Fratello che non trovano poi così spaventosa questa cosa? La risposta è la disumanizzazione già in fase avanzata di realizzazione. In un mondo prossimo venturo non avremo, forse, criminali, ma saremo automi totalmente omologati. Mangeremo le stesse cose, vedremo gli stessi programmi tv, andremo nelle stesse palestre a tenerci forma all’insegna degli stessi ideali di bellezza e salute. Se non vedete il nesso, e vi sembra che io abbia compiuto un salto logico, cercherò di spiegarmi avanzando in un terreno forse azzardato ma che a me appare una semplice conseguenza logica: una volta che tutti saremo profilati, controllati, “costretti” alla legalità per come stabilita dall’autorità, non credete forse che sarà decisamente facile, facilissimo, imporre comportamenti convenienti sul lavoro, sulla cultura e l’istruzione, sulla forma di cittadinanza… Ormai nella rete, completamente dipendenti da quelle medesime tecnologie che ci controllano, cosa sarebbe dei nostri diritti?
L’autorità (che sia il partito comunista cinese, il congresso degli Stati Uniti o il presidente Putin al suo venticinquesimo mandato) troverà, nel controllo assoluto, la risposta all’ingovernabilità della complessità. La complessità sarà semplicemente abolita per legge, i cittadini saranno resi inermi e prevedibili, totalmente prevedibili.
6) Una strada senza uscita
Se ritenete che io sia andato troppo avanti con la fantasia, abbandonando la strada del rigore logico, vi mostro un chiaro esempio di ciò che stiamo diventando, perché c’è un bellissimo caso empirico contemporaneo: la Cina.
Grazie al controllo capillare della popolazione, al diffusissimo riconoscimento facciale, alle forze di polizia, a leggi repressive, al controllo dell’informazione, alla possibilità di mobilitare dall’oggi al domani mano d’opera e risorse (il famoso ospedale costruito in sette giorni…) e – si badi bene, questo è fondamentale – grazie a uno straordinario consenso di massa, tradotto in disciplina e accettazione delle privazioni di libertà, grazie a tutto questo la Cina ha pagato un prezzo sostanzialmente limitato alla crisi del coronavirus mentre noi in Italia siamo in mezzo al guado, abbiamo già da giorni superato, in numero di vittime, la Cina e, quel che è peggio, non ne vediamo la fine. Perché l’autorità è stata debole e timida sin dall’inizio, e ha progressivamente reso più rigide le norme di comportamento inseguendo il virus e l’indisciplina dei suoi cittadini, anziché prevenire. Perché noi siamo LIBERI, e un sacco di nostri amabili concittadini ritiene che essere liberi consista, innanzitutto, nel non farsi mettere i piedi sul collo da un Conte qualunque, da un Renzi qualunque, da un Di Maio qualunque, insomma: da un’autorità qualunque.
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Ed ecco il trade off.
Da un lato il virus non ci piace e ci uccide. D’altro lato la risposta cinese ci fa orrore. E così maciniamo morti, si deve sperare in miracoli (il caldo rallenterà il virus? meno male che andiamo verso l’estate…), l’economia va a rotoli, l’Europa si sfascia, a New York fanno la fila per comperare armi, molto più utili del pane in tempo di crisi, insomma: assomiglia abbastanza a una piccola Apocalisse.
Vorrei segnalare che abbiamo in realtà solo tre, e non più di tre, soluzioni, ciascuna delle quali ben rappresentata da un caso storico contemporaneo:
- il timido inseguire la crisi, tipico delle società occidentali; da noi la libertà è sacra, e ne possiamo sacrificare piccoli pezzetti, un po’ alla volta, solo dopo l’evidenza della crisi, e sempre con incertezza, con limiti, con defezioni;
- il rigido intervento illiberale alla cinese, di cui sapete già;
- il laissez faire alla Putin, che sta con tutta evidenza fingendo che il virus non ci sia, o sia una sciocchezzuola; il coronavirus dilagherà, ammazzerà un bel po’ di persone (in prevalenza vecchi e malati, dopotutto non un grande danno, anzi…) ma non minerà le strutture fondamentali del paese, la sua economia e, men che meno, la sua Autorità, che non avrà avuto necessità – come in Occidente – di avere un confronto difficile con la popolazione.
Se adesso riuscite a fare un ragionamento puramente logico e non emotivo, vedrete facilmente che il modello cinese ha funzionato alla grande; quello putiniano chissà, potrebbe anche essere un successo; mentre quello occidentale è sotto gli occhi di tutti: un disastro immane sotto ogni punto di vista: sanitario, economico, sociale, istituzionale.
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Attenzione perché adesso arriva la questione veramente centrale, alla quale è difficile rispondere col cuore, col fegato, con la pancia o con qualunque altra frattaglia. La domanda che ora si pone è: cosa vogliamo, veramente, dalla vita?
Ricordate sopra l’esempio della sicurezza sociale: più controlli significano più sicurezza, ma meno libertà. Anche nel caso del coronavirus la questione si pone in maniera analoga: volete pochi contagiati e pochi morti? Occorreva da subito il pugno di ferro; vi fa orrore e preferite la libertà (e la responsabilità) individuale? Allora vi tenete i morti e il tracollo economico.
Occorre accettare il fatto che non c’è una via intermedia: salvezza del virus con libertà per tutti; no malavitosi in giro con libertà per tutti; no evasori fiscali con libertà per tutti… Chi fra voi è vecchio come me morirà prima di vedere chi avrà avuto ragione, ma i giovani saranno presi in pieno dal ciclone che si sta preparando e che arriverà in tempi brevissimi.
Questo ciclone si chiama tracollo delle democrazie occidentali nate dalle due rivoluzioni e morte silenziosamente alla fine del Novecento. E con esse, evidentemente, il concetto di ‘libertà’ di cui stiamo trattando e molti altri collegati.
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C’è una considerazione ancora, importante. La complessità non si può spegnere. Le tecnologie non si possono spegnere, così come non si può spegnere il progresso, coi doni che ci porta assieme alle trappole che ci tende. Non possiamo spegnere la globalizzazione, Internet, la WTO, la ricerca biologica, quella sull’intelligenza artificiale… Non possiamo spegnere l’inquinamento, non possiamo spegnere la sovrappopolazione, come non possiamo spegnere la stupidità dilagante. Siamo tutti su un aereo in volo, il pilota è morto, la rotta ignota e quel che accadrà, che ci piaccia o no, accadrà.
La complessità, come ho già detto, non è governabile.
Una conseguenza di questa ingovernabilità è che il modello di governo vincente, fra i tre menzionati sopra, si affermerà comunque, indipendentemente da ciò che faremo.
E onestamente, se proprio devo dirlo, non scommetterei un euro sulla vittoria finale del modello democratico occidentale. Guardo con viva simpatia al modello putiniano, così amorale e cinico che – lo confesso – ben si attaglia al mio carattere; ma il famoso euro, alla fin fine, lo piazzerei sul modello cinese. Loro sono già al traguardo, hanno già vinto.
Sono autoritari e massimalisti? Chiedetelo a un cinese tipico, anche colto, e vedrete se trovano di che lamentarsi sul modo in cui Xi Jinping ha gestito la crisi.

E con questo vi saluto.