L’eccesso di indignazione crea mostri orrendi

Sull’onda delle proteste per la morte di George Floyd succede anche che a Bristol sia stata abbattuta la statua di Edward Colston

Colston, chi era costui? Un mercante di avorio, oro e schiavi vissuto fra 6 e ‘700. Ahiahi! Uno schiavista! In realtà non commerciò mai direttamente schiavi, ma nel cinquantennio di attività come commerciante possedette, per 11 anni, quote della Royal African Company che all’epoca deteneva il monopolio del commercio di uomini. Con i numerosi soldi ricavati (in generale, in tutto, nei suoi articolati commerci) si dedicò alla filantropia e finanziò scuole e ricoveri per indigenti. Già una sala da concerti a lui intitolata (riconversione di un luogo da Colston costruito a suo tempo come scuola per ragazzi poveri) era stata rinominata nel 2017. Per completare: La Royal African Company era stata fondata da re Carlo II e aveva, fra i suoi numerosi membri, il filosofo illuminista John Locke. Fino quasi alla fine del secolo scorso Colston era ritenuto sostanzialmente un benefattore e filantropo (David Hughson nel 1808 lo descrisse come “il grande benefattore della città di Bristol, che, nella sua vita, ha speso più di 70.000 sterline in istituti di beneficenza”), ma la protesta della comunità giamaicana negli anni ’90 del secolo scorso, assieme ovviamente a una maggiore e più diffusa consapevolezza delle ingiustizie sociali, ha fatto salire il piatto della bilancia della considerazione filantropica e pesare assai di più quello dello schiavismo (la statua, ovviamente, celebrava il filantropo, non certo lo schiavista). Vale la pena ancora notare che Bristol ebbe un grande sviluppo come porto di partenza di schiavi e di pirati, in un’epoca in cui il Regno era floridissimo nella sua espansione nel mondo, trattava oppio con la Cina, schiavi dall’Africa, depredava di beni archeologici il Mediterraneo eccetera.

Torniamo al nostro tema: perché mai a quello squallido profittatore di uomini, a quell’arricchito sulle disgrazie dei poveri neri schiavi, furono tributati così tanti onori? Risposta facile facile: perché in quegli anni – e per lungo tempo dopo – lo schiavismo non era considerato un reato, non era considerato un crimine contro dio, non era stigmatizzato socialmente ma anzi il suo contrario: era incentivato dallo stato (dagli stati, al plurale), era benedetto da dio (per esempio il vescovo episcopale Leonidas Polk, possessore di schiavi in America, durante la guerra di Secessione si tolse la tonaca e divenne generale confederato) e considerato socialmente “normale”. In quel clima di “normalità”, fra i tantissimi che si arricchirono col commercio (anche) di schiavi, Colston impiegò le sue ricchezze facendo del bene. Quel bene resta o è cancellato dall’origine oggi considerata inaccettabile? Colston doveva essere consapevole di fare del male contrariamente ai suoi tempi, all’opinione dei suoi simili e della sua fede (era anche uomo di chiesa)? 

La morte di George Floyd e i continui abusi sulle minoranze etniche negli Stati Uniti oggi, indignano e chiamano alla mobilitazione: basta morti! Basta polizia violenta! Basta razzismo nelle istituzioni! Possiamo certamente – anzi dobbiamo – fare un’analisi storica sulle origini di questi mali: il colonialismo europeo dei secoli passati, non solo il suo elemento schiavistico, è indiscutibilmente il punto di partenza dal quale si sono poi dispiegati molteplici meccanismi che hanno portato a quello che siamo: un mondo pieno di contraddizioni e molteplici ingiustizie che dobbiamo mutare oggi, senza negare ciò che siamo stati ieri.

Ma la questione che più mi sta a cuore è indagare sul personaggio Colston; ve lo dico: da quel che ho capito era una persona buona, e per quello deve essere ricordato; non poteva avere alcuna contezza dell’orrore dello schiavismo, o almeno non nei termini attuali. I concetti morali sono strettamente legati ai tempi nei quali ciascuno vive, oltre ovviamente a questioni personali che qui non discutiamo. Ma c’è di più, e di più sottile e di non semplice argomentazione, che riguarda il mix di buono e cattivo che agisce entro di noi e – ecco, ho trovato il punto! – il mix di genio (per chi ha del genio) e sregolatezza (per chi è giudicabile, in qualche misura, “sregolato”) che confonde le anime semplici perché diventa difficilissimo tirare una riga sotto l’elenco delle qualità, buone e cattive, di una persona, per vedere se il quoziente è positivo o negativo. George Orwell era un fervente antisemita, fino all’inizio del secondo conflitto quando si zittì per convenienza bellica, e non perché disgustato dal trattamento che i nazisti riservavano agli ebrei. Quindi: Orwell è uno scrittore peggiore adesso che sappiamo che era un razzista di merda? O non è meglio distinguere fra Orwell scrittore visionario di straordinaria attualità, che continuiamo a leggere e ammirare, e l’Orwell razzista che non perdoniamo, ma che non ci fa mandare lo scrittore in un rogo metaforico (o reale!)? Proust aveva una discreta gamma di perversioni sessuali; le dovete accettare in blocco prima di leggere la Ricerca? Oppure potete leggere l’Opera indipendentemente dal vostro personale giudizio morale sulla sessualità del poeta? Picasso, Hemingway, per citare i primi due che mi passano in mente, sono stati maschilisti a tutto tondo, che oggi sarebbero screditati, rovinati dalle nazi-femministe di #MeToo. Sputiamo sulle opere di Picasso e chiediamo il ritiro del Nobel al secondo?

Ciascuno degli artisti nominati in questo paragrafo viveva la sua epoca secondo condizioni, possibilità, vincoli (o assenza di vincoli) differenti da quelli contemporanei, misurava il mondo con altri pesi e misure, e semmai viveva con dramma interiore le sue debolezze, lacerandosi semplicemente nelle contorsioni dell’esistenza umana, della sua condizione, certamente dilatata dalla sua stessa genialità.

Cosa succede, quindi, abbattendo la statua di Colston oggi, semmai distruggendo le tele di Picasso domani, o mettendo all’indice le opere di qualche autore considerato indegno secondo criteri morali di una parte di opinione pubblica? Succede che apriamo le porte per la dittatura della morale. O meglio: apriamo le porte per la dittatura degli interpreti di una determinata morale, che decideranno chi è giusto e chi reprobo, decideranno come riscrivere la storia passata e quindi quale storia futura sia giusto perseguire, decideranno cosa leggere, cosa mangiare, come scrivere in modo “corretto”, come comportarsi, e scopriremo che la scalata al potere dei giusti porterà a sempre maggiori divieti, alla restrizione degli spazi, perché i giusti troveranno il male in zone sempre più ampie ed estese della nostra vita.

Questo è da impedire.

No alla morale dei giusti come guida alle scelte collettive.