Ogni anno negli Stati Uniti, circa 100.000 persone vengono curate nei reparti di emergenza degli ospedali per lesioni non fatali inflitte da agenti delle forze dell’ordine, ed è facile immaginare che un certo numero di vittime non si si rivolga agli ospedali o menta sulle cause delle ferite. Sul numero di persone uccise dalla polizia, i dati sono confusi e ampiamente sottostimati negli anni passati (rendendo difficili serie storiche attendibili); il sito non governativo Mapping Police Violence dichiara 1.098 uccisioni da parte della polizia nel 2019. Questo numero è in linea con gli anni precedenti, sempre abbondantemente sopra i 1.000. I curatori del sito, in una nota metodologica, denunciano l’opacità dei dati ufficiali e il ritardo nel loro rilascio e stimano (spiegando il perché) che il loro database catturi il 92% circa della realtà (ovvero: i loro dati sono probabilmente sottostimati, non viceversa).
Ci sono alcuni dati eclatanti proposti dal sito:

Gli afroamericani sono uccisi tre volte più dei bianchi, e ciò avviene anche in assenza di armi. Fin qui, insomma, troviamo conferma del fatto che l’America è violenta, e che nascere neri non è il massimo. Troviamo altre conferme alla prima ipotesi (i poliziotti americani sparano molto) anche in questa pagina Wikipedia piuttosto esplicativa (qualche volta la vecchia Wiky è utile!) in cui vediamo che il tasso di uccisioni (non solo di neri) dei poliziotti americani pone gli Stati Uniti nella parte alta della triste classifica in compagnia di Congo e Iraq, per capirsi; poco sotto Uruguay e Afghanistan e poco sopra Honduras e Iran.

La tabella è molto più lunga e l’abbiamo tagliata col primo paese europeo in lista; per dire: l’Europa ha norme di ordine pubblico molto diverse da quelle americane (e di altre parti del mondo assai violente) e alcune pratiche dei cop da noi sono, semplicemente, vietate.
Scrive il Washington Post:
in altri paesi, compresi molti in Europa, le pratiche di polizia che causano indignazione negli Stati Uniti sono o completamente vietate o regolate in modo molto più rigoroso. Paul Hirschfield, professore associato di sociologia alla Rutgers University, ha affermato che si possono tracciare parallelismi più appropriati tra gli Stati Uniti e l’America Latina.
Se vogliamo capire i perché di questo triste primato nella maggiore potenza mondiale, patria dei diritti civili e della democrazia liberale (mah…) e capire meglio il prossimo blockbuster poliziesco hollywoodiano, dobbiamo imparare a fare qualche analisi, o almeno a proporre ipotesi e cercare di verificarle. Perché, per essere chiari, questa polizia è violenta con Trump come lo era con Obama, e sono violenti i poliziotti bianchi come anche quelli neri, come avemmo modo di documentare su questo blog qualche anno fa in occasione di un’altra vittima e di un’altra ondata di proteste. Anzi, partiamo proprio da alcune di quelle conclusioni per iniziare una breve lista di ipotesi esplicative:
- Ingiustizia interetnica e bias poliziesco: scrivevano allora (i dati sono invecchiati ma dubitiamo siano molto diversi): “Nel 2014 ci sono stati oltre 6.000 assassinati neri, più della somma di bianchi e ispanici; nel 90% dei casi l’assassino è stato un altro nero. Nel 2009 i neri sono stati accusati del 62% dei furti, del 57% degli omicidi e del 45% delle rapine nelle 75 contee più grandi del Paese, che include solo il 15% di popolazione nera; nella sola New York i neri sono autori del 75% delle sparatorie, 70 per cento dei furti e 66% di tutti i crimini violenti pur essendo il 23% della popolazione”. Quindi: a causa di una discriminazione oggettiva che rende più comune ai neri una vita irregolare, ai margini o addirittura criminale, la polizia (poliziotti neri inclusi) tendono a diffidare di più, e a sparare con più facilità, di fronte a persone di colore. Ciò spiega solo perché ci sia un pregiudizio sistematico, non perché si soffochino i neri (come è accaduto a Floyd) o si spari immotivatamente.
- Troppe armi! Negli stati Uniti ci sono 120,5 pistole ogni 100 abitanti (fonte); i poliziotti lo sanno e hanno paura. Come racconta Seth W. Stoughton, ex poliziotto e ora professore di giurisprudenza, nelle accademie di polizia si inculca ossessivamente la “prima regola”: tornare a casa a fine turno. Ma i poliziotti vivono il mondo come ostile, e ogni incontro, ogni individuo è una potenziale minaccia. Scrive drammaticamente Stoughton che alle reclute “Vengono mostrati filmati dolorosamente vividi e strazianti di agenti che vengono picchiati, disarmati o uccisi dopo un momento di disattenzione o esitazione. Si dice loro che il principale colpevole non è il criminale nel video, ma la mancanza di vigilanza dell’agente. E mentre ascoltano le ultime, disperate chiamate radio del poliziotto caduto per chiedere aiuto, ognuno nella stanza pensa esattamente la stessa cosa: ‘Non lascerò mai che accada a me’. Questo è il punto centrale della loro formazione”.
- È il neoliberismo, bellezza! Il prof. Hirshfield, sociologo che si occupa specificatamente di questi temi, descrive in numerosi testi come i poliziotti, male armati ma ferocemente addestrati, siano lasciati a rispondere ai buchi del welfare statunitense (QUI un saggio accademico a pagamento; QUI un testo ampio più divulgativo); un’idea non priva di fondamenti, se pensiamo alle differenze fra stato sociale europeo e nordamericano. Inoltre le forze di polizie americane sono locali, con oltre 15.000 dipartimenti di polizia municipali e di contea che si devono destreggiare coi bilanci locali (ciò riguarda anche la formazione del personale, ovviamente) e con risultati difformi.
- Il razzismo, ovviamente. Qui si tratta di una specificazione; alla luce dei punti precedenti, nello specifico si ammazzano più neri per ragioni di razzismo. Questa ipotesi, che indubbiamente è parte del problema, non convince però del tutto. Sempre Hirshfield spiega: “il razzismo da solo non può spiegare perché gli americani bianchi non latini abbiano 26 volte più probabilità di morire a causa degli spari della polizia rispetto ai tedeschi. E il razzismo da solo non spiega perché stati come il Montana, la Virginia Occidentale e il Wyoming – dove sia gli autori che le vittime di scontri mortali sono quasi sempre bianchi – mostrano tassi relativamente elevati di letalità da parte della polizia.” Quindi sì, probabilmente c’è anche il razzismo, poco o tanto, a volte più e a volte meno, ma non è semplicisticamente qui che vanno cercate le cause del fenomeno.
- Standard differenti: siamo così saturi di film polizieschi americani che già lo sappiamo: in Europa prima si avvisa verbalmente, poi (se possibile) si esplodono colpi in aria poi si cerca di colpire parti non vitali della persona; il contrario negli USA dove per esempio sparare per ferire (e rendere inoffensivi) è generalmente vietato! La polizia ha il diritto di sparare senza essere incriminata; si chiama “immunità qualificata” ed è garantita dalla Corte Suprema. Nata per scopi comprensibili (proteggere i poliziotti da miriadi di accuse marginali e strumentali) è andata stravolgendosi anche grazie a cavilli che qui non stiamo a spiegare, diventando, nei fatti, una licenza di uccidere impunemente (lontani anni luce dai limiti strettissimi posti in Italia all’uso delle armi da parte dei poliziotti, come potete leggere QUI).
Come vedete da questa sintetica carrellata, il problema è – come sempre – più complesso. Floyd è stato vittima sia del razzismo, sia delle disuguaglianze neoliberiste, sia di una polizia volutamente violenta, sia di una generale cultura delle armi… Anche se oggi è più che giusto manifestare contro il razzismo, cercare di superare questa ignobile discriminazione, rivendicare l’eguaglianza come persone di bianchi e neri, pure sarebbe semplicistico ridurre la morte di Floyd a un gesto unicamente razzista. Non lo è. Il problema più grande, di cui il razzismo è espressione, è la disuguaglianza, in un Paese di origini puritane (sul ruolo della religione nella politica e nella cultura violenta americana raccomando un recente articolo di Maurizio Crippa), nato nella frontiera e cresciuto nel mito dell’individuo. Il problema è la cultura della forza (la forza dell’uomo che si fa da sé, la forza dell’America come potenza, la forza del bianco, la forza del dollaro…) e nel diritto di usarlo, in casa contro i malavitosi, fuori casa per difendere i propri privilegi… Insomma: Floyd è morto anche perché nero, ma soprattutto perché era un povero diavolo americano, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Guardiamo quindi con occhio positivo alla nostra vecchia Europa e ai suoi valori di civiltà. Sotto questo profilo gli Stati Uniti non hanno proprio nulla da insegnarci.