Il presunto killer di Lecce, quello che ha ucciso Daniele ed Eleonora per motivi che potranno essere noti solo a uno psichiatra bravo, rideva mentre l’arrestavano. Questo elemento, assieme al contesto di “gente per bene”, non disagiata, in cui viveva il killer, mi ha ricordato immediatamente gli assassini jihadisti di Dacca (luglio 2016, ve li ricordate?); anche quelli ragazzi per bene, della buona società locale, ritratti tutti sereni e sorridenti poco prima di andare a compiere la strage (dove loro stessi trovarono la morte).
A quell’epoca scrissi un post per spiegare questa non banale circostanza: non islamisti tristi e dallo sguardo severo, reduci da campi profughi, già umiliati da qualche satrapo, dagli Stati Uniti, dall’Occidente blasfemo, guidati dalla mano misericordiosa (quando si ricorda di esserlo) di Allah, ma giovanotti come gli altri, spensierati come tanti, che decidono di compiere cosa? Il gesto totale e assoluto, quello che nel furore della morte darà significato alle loro inutili esistenze.
Fatemi riprodurre un passaggio di quel vecchio post, che credo valga anche per l’assassino di Lecce:
Io credo che occorra temere un volgimento tragico nell’antropologia umana, in un passaggio complicato fra il mondo antico, passato, tradizionale, più o meno immobile ma anche conosciuto e per ciò stesso comprensibile, e il mondo prossimo, imminente, travolgente, incerto, sconosciuto e per ciò stesso senza prospettive.
[…] Esiste solo la repentina intrusione di una società ipertecnologizzata in un mondo di pastori. La disponibilità del potere infinito delle armi automatiche in un mondo dove la continuità culturale appare spezzata e irrecuperabile.
Privi di identità culturale e senza un futuro. La scomparsa del futuro (nel senso qui accennato) è un problema epocale e universale (ne ho parlato QUI con riferimenti a tutti noi, non riguardo lo stragismo jihadista) che viene vissuto con disagio, anomia e marginalità in Occidente e diventa dirompente in società (mediorientali, asiatiche, africane) dove la precedente (apparente) immobilità contrasta in maniera irrecuperabile col baratro di una tecnologia senza valori, come sottolinea Galimberti. Quale vita possibile a Dacca, a Baghdad, a Riad per milioni di esclusi dal Paese dei Balocchi occidentale? Ecco allora che la risata degli assassini è la sottolineatura finale del nihilismo totale. Ridono della nostra paura, della nostra miserabile vita così legata all’ultimo modello di smartphone, alla vacanza all inclusive, al core business, al week end, a Italia-Germania e a tutti i surrogati di senso che noi occidentali costruiamo per nascondere la nostra paura in questo passaggio epocale. I giovani nazisti del Bangladesh non frappongono questi orpelli fra l’orrore del vuoto in cui vivono e l’irrealtà del futuro che non li attende. La loro vita, consapevolmente inutile e vuota e irrimediabilmente persa non ha alcun senso se non quello di un unico atto distruttivo contro il mondo, il destino, contro dio stesso per il quale fingono di battersi solo come vago legame ideologico. Non importa chi siano le vittime, purché siano degli illusi che credono in qualcosa, che ritengono importante avere una famiglia, che consumano ore in un lavoro, che compiono inutili routine come criceti nella gabbia. Loro non vogliono essere criceti in una gabbia, sanno che fuori non c’è nulla, e allora corrono come lemming verso il baratro risolutore.
Il loro sorriso è di liberazione. La gioia di un momento di senso nella loro vita maledetta.
Ecco: Lecce come Dacca, Perugia come Damasco o Charlottesville, Milano come Wuhan e come Beirut: la Storia è scomparsa e ha portato via il futuro a milioni di persone, assieme ai legami forti, al senso di appartenenza, al riconoscimento del prossimo, a una qualunque scala di valori, anche distorta e aberrante, per lasciare il posto al vuoto, all’amoralità, a una stanca e insensata presenza in un “oggi” che è ormai privo di senso. E allora sentimenti piatti, unidimensionali, incapacità di inserire le proprie azioni in un quadro più generale e valutarne la portata, allora la noia e il bisogno di spezzare tutto questo con un atto che probabilmente non viene letto come grave, o tragico, o definitivo, ma come il solo che dia, ora, subito, un senso alla propria esistenza.