La blasfemia è un indicatore di libertà

Avrete letto del professore francese decapitato dal giovane ceceno, che al grido “Allah Akhbar” ha vendicato il suo dio offeso, giacché quel professore aveva osato mostrare in classe le vignette di Maometto pubblicate da Charlie Hebdo per discutere, coi suoi alunni, in merito alla libertà di espressione.

Oggi ci sembra di essere così lontani da quella catena di attentati islamisti che specialmente in Francia hanno seminato molte decine di vittime, quando l’Isis sembrava forte e frotte di fanatici si muovevano con eccessiva disinvoltura attraverso il nostro continente. Ci sembra di essere così lontani, ma sbagliamo. È venuto a mancare un retroterra logistico importante, l’estremismo religioso fanatico ha subito una cocente sconfitta militare ma non si può pensare che il modo di sentire e intendere la vita e la religione sia mutato.

Le culture, cioè l’insieme di valori, credenze, modi di interpretare il mondo, cambiano molto lentamente, nel giro di numerose generazioni. Più lentamente dei processi sociali ed estremamente più lentamente di quelli tecnologici. Oggi quindi un’enormità di persone, nel nostro mondo, sono impregnate di una cultura religiosa non dissimile da quella di alcuni secoli fa: semplice, primitiva, totalizzante; ma – a differenza di alcuni secoli fa – dispongono delle tecnologie e delle opportunità del mondo contemporaneo.

C’è un imperativo antropologico che impone di non giudicare e comparare le culture. Ognuna ha un senso, ognuna ha una dignità, ognuna rappresenta il complesso adattamento, secolare, dell’uomo al suo ambiente. Questo relativismo è importantissimo per non cadere nell’etnocentrismo (tipico dell’era delle esplorazioni e successive colonizzazioni) per cui noi occidentali, che sappiamo leggere e scrivere e siamo protetti da una così straordinaria divinità che ci ama, saremmo ovviamente migliori, mentre i poveri negri, i selvaggi del’Amazzonia e quei primitivi dei maori no, loro sarebbero poco più che bestie e assai meno che esseri umani (e qui, Bibbia alla mano, c’è il fondamento dello schiavismo e del peggiore sfruttamento dell’Occidente nei territori occupati).

Ma è lecito anche un altro punto di vista, che si gioca su un altro piano; non quello della considerazione antropologica (= giudizio sulle culture in sé) ma della valutazione sociologica (= giudizio sulle conseguenze sociali, e quindi culture per sé). Sotto questo profilo noi osserviamo prima di tutto la notissima differenza fra Islam (non tutto, certo, ma come stragrande maggioranza in termini di numeri) e altre religioni, a partire da quelle abramitiche: loro (gli islamici nella grande maggioranza) pongono al vertice della piramide della costruzione di senso il loro dio, che domina e governa il potere politico (e giudiziario) che governa il popolo in nome di quel dio, attraverso l’interpretazione delle scritture sacre da parte di un pugno di eletti. Noi (cristiani ed ebrei, anche qui con vistose eccezioni sulle quali tornerò) abbiamo lottato almeno tre secoli, direi abbondanti, per affrancarci da questa servitù, e consideriamo coesistenti due piramidi: quella civile per tutti, e quella religiosa per chi vuole. Per cui il popolo è governato da leggi civili in cui le Scritture non mettono voce. Sì, lo so che questa è una semplificazione, ma questo è un blog e non posso divagare.

La separazione delle sfere, religiosa e politica, consente l’ateismo e la blasfemia. Io posso raccontare una barzelletta su Gesù senza essere fustigato in piazza o lapidato o decapitato, perché dovrò eventualmente risponderne a dio, nel giorno del giudizio. Poi potrò soffrire di uno stigma sociale perché potreste giudicare di cattivo gusto la mia barzelletta; potreste isolarmi perché mi considerate una persona volgare, ma queste sono conseguenze laiche, sociali. Charlie Hebdo, giornaletto spesso più indecente che spiritoso, con le sue famose vignette su Maometto ha irriso il fanatismo ottuso dell’islamismo più becero, una cosa che a me non fa ridere, che non mi farebbe mai comperare una copia di quel foglio, ma che nel mondo occidentale è lecita.

Potreste dire che in realtà in Italia la blasfemia è ancora reato (ma solo amministrativo) e che l’ombra lunga del Vaticano e della Chiesa si stende su molte questioni, per esempio l’aborto con l’anomalia dei medici obiettori (che, sia chiaro, solo in minima parte sono tali per convinzione religiosa), ma ciò non inficia quell’originaria separazione di sfere; io sono qui a criticare le interferenze cattoliche nel nostro ordinamento e nessuno mi denuncerà per questo; una forza politica liberale, o socialdemocratica, potrebbe presentare legittimamente una proposta di legge su questo o altri argomenti e, avendo i numeri in Parlamento, cambiarla. È del tutto evidente che nel nostro Paese, da diversi decenni, non governano forze autenticamente liberali o autenticamente socialdemocratiche, che dovrebbero – entrambe – avere la laicità nel loro DNA.

Quindi, cari lettori, viva la rivoluzione francese, viva lo stato laico, viva la libertà di pensare in maniera distinta il mio rapporto con dio e quello con la mia comunità. Viva il diritto di blasfemia, di critica, di discussione. E poveri infelici quei popoli sottomessi a un dio crudele, schiavi di preti manipolatori che pretendono di esserne la voce autentica.

Mi dispiace molto per quel povero professore, martire civile di un’idea di libertà che ha offeso uno schiavo, una macchina ottusa, un essere privato – dal suo dio – di un’autentica volontà morale.

Vorrei chiudere segnalando che il problema dell’angustia culturale religiosa non è sola dell’islamismo, anche se per noti motivi tendiamo a vedere maggiormente questa. Potremmo raccontare dell’estremismo becero cristiano, così pericolosamente attivo, per esempio, in certe aree degli Stati Uniti; del fanatismo ebraico, componente sociale e politica di Israele. E perfino i pacifici buddhisti non sono pacifici per niente, almeno in Sri Lanka, dove governano teocraticamente e hanno quasi sterminato la minoranza Tamil proprio per ragioni religiose.

Buddhisti a parte, c’è ovviamente un’enorme differenza fra l’ottusità religiosa in USA, Israele o altrove, e quella islamista: le prime nascono e agiscono entro stati laici e democratici; sono una malattia di quelle democrazie e a volte riescono anche ad avere la meglio. Ma restano malattie, chiaramente separate dal corpo istituzionale. In Arabia Saudita, in Iran, in Afghanistan o in molte altre nazioni, invece, sono lo Stato. Sono la legge

E quindi è giusto non assecondare la malattia teocratica, favorire la laicizzazione di questi Stati, combatterne gli estremismi, esattamente come facciamo con le frange religiose fanatiche nel seno delle nostre nazioni.