Ospitiamo due contributi, uno favorevole e uno contrario all’idea di un’attualità del comunismo.
Comunismo, sì
C’erano una volta i faraoni dell’antico Egitto, i re di Persia, le democrazie dell’antica Grecia, il senato romano, i triumvirati, le guerre, e poi gli imperatori, i papi, i feudatari, le guerre e poi i Comuni, le guerre e di nuovo i re, gli imperatori i papi, il patriarcato, le rivoluzioni, le restaurazioni, il colonialismo, la schiavitù, le guerre di liberazione, e poi di nuovo dittatori, democrazie parlamentari, democrazie presidenziali, e di nuovo guerre.
Cosa manca in tutta questa descrizione? Semplice la presenza di una classe, quella dei diseredati, degli sfruttati, degli ignoranti (volutamente), della larga stragrande maggioranza della popolazione che popola il mondo.
Se delle statistiche ogni tanto bisogna pure tenerne conto, al mondo, il 13% della popolazione (circa un miliardo di persone) vive con meno di 1,90 dollari al giorno. Allo stesso tempo, come ci ricorda l’Oxfam, otto persone possiedono da sole la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità.
I dati sull’alfabetizzazione, messi a disposizione dal Rapporto Unesco del 2017, ci dice che il 10% dei giovani nel mondo è sprovvisto di competenze in tema di lettura e capacità di scrittura e che 750 milioni di adulti, di cui due terzi donne, non sanno né leggere né scrivere. Ma oltre a questi numeri che colgono solo un lato formale dell’ignoranza (il saper leggere e scrivere) c’è anche quello pragmatico, colto bene da alcuni sondaggi (al netto della loro precisione), ad esempio ce ne è uno sulla conoscenza della Shoah, che ci dice che quasi la metà (45%) degli americani non sono stati in grado di menzionare un solo campo di concentramento, ed il numero cresce tra i Millennial (49%).
Questi dati ci devono stupire? Sì ma non troppo, se riprendiamo la “filastrocca” del c’era una volta, nell’antico Egitto il Faraone per conservare potere e ricchezze usava un’arma di persuasione molto potente, la religione, e uno strumento per consolidare il suo dominio, coltivare l’ignoranza.
Il cammino dell’umanità procede non in maniera lineare, ma sin dalla comparsa dell’uomo, dei primi gruppi di cercatori-raccoglitori, si fonda sulla conservazione del potere e della sopravvivenza dei gruppi.
Qual è la rottura più importante che produce il comunismo? La presa di coscienza che nell’evolversi del tempo questa frizione costante tra forze contrapposte, tra oligarchie cangianti e masse cangianti ha sempre creato sistemi di potere che garantissero la riproduzione e conservazione di forme di dominio dei pochi rispetto ai molti. I “sacerdoti” sono rimasti tali, così come gli eserciti e le polizie.
Non facciamo l’errore di restringere il comunismo all’intero dello steccato della storia e delle sue manifestazioni, perché come la democrazia, che non è un’ideologia, una filosofia o una religione, il comunismo è una forma di governo possibile delle relazioni tra esseri viventi, finalizzata a garantire tre elementi fondanti: la liberta, l’uguaglianza e la fratellanza tra tutti gli esseri viventi, la fine di ogni forma di dominio dell’uomo sull’uomo, la fine di ogni dominio dell’uomo sulla natura.
Certo nella sua manifestazione reale storica il comunismo ha prodotto cose belle e cose tremende, ma non dimentichiamoci cos’è, perché altrimenti dovremmo dire lo stesso della democrazia, della tirannia, della religione, di tutto ciò che storicamente si è manifestato, buttando via il bambino insieme all’acqua sporca.
Il comunismo ha posto al centro del suo agire la consapevolezza che lo stato di cose presenti si fonda su un sistema che, pur modificandosi nel corso della storia, pone al centro del suo agire la conservazione del dominio dei pochi e del relativo sfruttamento dei molti.
Questa continua frizione ha prodotto tanti eventi, soprattutto quando le condizioni storiche erano talmente esplosive, per cui il dominio dei pochi e le sue conseguenze erano non più controllabili, prima con la religione, poi con la propaganda, oggi con i media.
Le rivoluzioni, come ci ricorda Mao Zedong, sono un atto di violenza perché capovolgono il potere proprio quando il divario tra chi ha tanto e chi ha poco non è più sostenibile, manipolabile, controllabile. Il prezzo si paga con il sangue: gli eserciti contro i ribelli, i ribelli contro i dominatori senza esclusione di colpi, perché è una battaglia per la sopravvivenza.
I comunisti si sono sempre confrontati con il superamento di un sistema di sfruttamento che depreda ciò che è pubblico (l’aria, l’acqua, la salute, la cultura, le spiagge, i boschi), rendendolo privato e che usa costantemente l’oligopolio come unica forma possibile di dominio sui concorrenti. Non riduciamo il comunismo alla banalizzazione del: no al mercato e no alla proprietà privata. Il commercio equo,, le reti solidali e autorganizzate sono forme concrete di come i comunisti sanno essere sempre contemporanei nelle loro lotte. La sintesi perfetta del pensiero comunista sulla proprietà privata, come ci ricorda Alessandro Portelli, ce la fornisce Woody Guthrie nella celebre “This land is your land”, nel verso:
Was a high wall there that tried to stop me
A sign was painted said: Private Property,
But on the back side it didn’t say nothing —
God blessed America for me.
[This land was made for you and me.]
Dalla Rivoluzione francese in poi, l’asse del potere si è spostato dai re alla borghesia. Una borghesia che ha conservato i re come i feticci di ciò che aspirava ad essere e che oggi si è trasformata nelle loro “vittime”: una borghesia regnante.
Non è un caso che la campagna elettorale americana che ha sancito la nascita del trumpismo ruotasse attorno al concetto di una nuova classe: il ceto medio. Una piccola borghesia sempre più spinta verso il basso sia dalla congiuntura economica che dalla stessa borghesia regnante. Perché i re, si sa, vogliono tutto per sé e solo quando vedono la mala parata, o danno titoli di nobiltà a destra e manca o si inventano guerre contro ipotetici stati nemici o contro nemici interni.
Quando l’altro giorno ho assistito all’ennesimo teatrino delle dichiarazioni a favore e contro il governo Conte, per la crisi innestata da Matteo Renzi, mi sono detto basta: scrivo un articolo per Hic Rhodus.
Il 21 gennaio del 1921 nasceva a Livorno il partito comunista italiano. L’anno seguente come sappiamo ci fu la marcia su Roma e si aprì una tragica pagina della storia italiana e mondiale. La frizione tra oligarchie e masse in quegli anni fu risolta trovando in Mussolini il cavallo su cui puntare. Il re e i suoi accoltiti aprirono il rubinetto dei vasi “comunicanti” per far entrare la solita acqua putrida. Un’acqua putrida fatta di sopraffazioni, prima verso i dissidenti, poi verso la popolazione. L’obiettivo era creare un “esercito” di soldatini ignoranti legati all’impero, all’antica Roma che poi è “scivolata” sulla purezza della razza, sulle leggi razziali, sulle persecuzioni degli ebrei, sulla guerra a fianco dei sodali nazisti.
Il partito comunista italiano nel corso della sua storia ha combattuto il nazi fascismo, pagando prezzi altissimi (vedi Gramsci, le migliaia di partigiani e partigiane comunisti/e uccisi dai fascisti e dai nazisti), ha contribuito alla stesura di una splendida Costituzione, ha subito a sua volta scissioni, è stato il centro di gravità di organizzazioni multiformi parlamentari ed extra parlamentari, ha fatto diventare più forte le battaglie sindacali, ha combattuto le spinte eversive di un’alleanza sporca (P2, Gladio, Falange Armata etc) cercando un compromesso storico con le forze democratiche del paese ed è franato/dissolto con il crollo del muro di Berlino.
La prospettiva del comunista è sempre quella, la consapevolezza che questa forma di dominio cangiante non mollerà mai il potere a qualsiasi costo, anche di annientare l’umanità stessa. I lager non ci sono più? Certo non sono lager, ma, c’è il campo profughi di Lipa, c’è il mar Mediterraneo diventato il cimitero dei migranti. E poi ci sono le guerre, di chi cerca di esportare la democrazia, di chi usa la religione per creare nuovi fascismi alleandosi con i soliti re (sceicchi e loro accoliti), tutte guerre contro i poveri, gli sfruttati i diseredati.
Se rileggiamo la storia del nostro paese la forza distruttiva di questo grumo di potere è vomitevole. E’ una borghesia che si è alleata con la mafia, l’antistato, i servizi segreti, le varie logge massoniche, tutti protetti dall’ombrello delle amministrazione americane (vedi CIA), perché la guerra fredda il pericolo comunista, doveva essere combattuto ad ogni costo.
Da Portella della Ginestra alla strage di Bologna questo grumo di potere ancora oggi dice la sua. Un grumo che ha trattato con l’altro Stato, in alcuni casi con sé stesso. Negli anni 90 ne hanno pagato il prezzo più alto Falcone e Borsellino. Con il crollo del Muro e la disgregazione dell’URSS la guerra fredda e il pericolo comunista era svanito, bisognava trovare un nuovo nemico o sancire una nuova alleanza. Il nemico per loro c’è sempre, i poveri e la possibilità che si organizzino, Berlusconi ad esempio ha smesso di parlare dei comunisti forse quando Renzi lo andò a trovare ad Arcore.
Ma tornando alla trattativa, l’accordo questa volta non poteva che fondarsi su una sola cosa: la conservazione di potere e ricchezze.
Quelle che producono le mafie nostrane, si stima valgano circa ogni anno 150 miliardi di euro. Ogni anno vengono “ reinvestite” nell’economia reale. L’Italia è un paese fondato sulle narcomafie. Controllano pezzi interi dell’economia, banche, la logistica, la movimentazione terra, i mercati ortofrutticoli, aziende agricole, industrie.
È la prima “multinazionale” italiana, più di Ferrero, della Fiat (italiana di facciata) e che fa affari, elegge parlamentari, presidenti di regione, sindaci, consiglieri. È tra le poche società che possono permettersi di comprare voti, persone e creare partiti, soprattutto dopo il taglio ai finanziamenti pubblici ai partiti.
Questo grumo dice la sua in Italia, ha rapporti con le destre mondiali, in quella che potremmo definire l’internazionale nera. Non è un caso che Italia viva si sia sfilata non tanto per il recovery fund, ma soprattutto per la delega sui servizi segreti. I nostri servizi segreti custodiscono una storia mai scritta ufficialmente, in parte solo dai tribunali, e protegge ancora quei carnefici protagonisti della strategia della tensione. Le loro bombe hanno ammazzato innocenti non nel nome dell’anticomunismo ma dell’avidità.
Licio Gelli, Flavio Carboni, Marcello dell’Utri, Silvio Berlusconi i nuovi massoni presenti a destra e sinistra, i leghisti che facevano affari con l’’ndrangheta, sono tutti complici di quella strategia della tensione, sempre pronta a sacrificare il sangue degli innocenti per la conservazione del loro potere e dei loro privilegi. Volete un chiaro esempio di come la trattativa Stato Mafia si sia risolta? Basta ricordarsi, ad esempio, di Nicola Cosentino a capo del CIPE.
La manovalanza mafiosa, le paranze dei bambini sono sfruttati né più né meno di quelli che vedono nel lavoro non una forma di emancipazione, di dignità, di contributo alla comunità ma l’unico modo per diventare come i loro carnefici: ricchi, spavaldi e per essere più precisi, delle merde. Non c’è nulla di nuovo in tutto questo, 3.000 anni fa c’era chi credeva che il faraone fosse dio mentre, oggi c’è chi crede che lo sia Gianluca Vacchi, Flavio Briatore o Matteo Messina Danaro.
E’ un potere che ha colonizzato le coscienze più delle religioni, tant’è che oramai è “normale” che i “fannulloni” della pubblica amministrazione giustifichino senza colpo ferire la distruzione della scuola e dell’università pubblica, così come della sanità (vedi il modello privato della Lombardia e la sua efficienza nella pandemia), e si avvale di un esercito di servi inconsapevoli che hanno una coscienza critica talmente sviluppata da rendere drammaticamente attuale la merda di artista di Pietro Manzoni.
È un potere che rende tutti protagonisti in un palcoscenico dove si recita nel senso di citare qualcun altro senza pensare, immersi in un mare immenso di banalità, stereotipi e luoghi comuni, dove i protagonisti nel palcoscenico non sono altro che megafoni e pappagalli. Di solito i loro discorsi cominciano con: “la verità è che…. “ oppure “io non sono razzista, ma..”
Un indicatore della criticità della situazione, è rappresentato dalla nuova filantropia di “massa”. Le fondazioni bancarie, i filantropi, i numeri verdi, gli sms e il crowdfunding sono sempre più espressione della piena consapevolezza, da parte di un pezzo di borghesia regnante, che un po’ di sana “elemosina” va fatta, perché il banco sta per saltare. L’educazione, la cultura e il sociale sono oggi filantropizzati per creare nuove forme di impresa ad estrazione di capitale sociale. Una nuova economia circolare che vive di crediti di imposta per i filantropi e di neo imprese che hanno deciso di colonizzare anche il Terzo Settore.
Il bottino statale è però sempre nelle mani di chi lo utilizza per le proprie grandi e inutili opere, e per le proprie grandi ristrutturazioni dei debiti delle banche, si crea debito pubblico per coprire le mirabolanti operazioni di capitàni e banchieri coraggiosi.. E infatti il reddito di cittadinanza è un orrore per tutte queste forze politiche che per la povertà non ha alcun interesse e che le vede come risorse sprecate a scapito dello “ sviluppo”.
Oggi come in altri momenti della storia, ci troviamo in una fase di transizione: si sta lavorando ad una soluzione pacifica (per loro) della “lotta” tra i vecchi poteri economico finanziari del 900 e i nuovi poteri economici finanziari del GAFAM.
Essere comunisti oggi è un’esigenza. Dedicare la propria esistenza alla lotta quotidiana, non voltandosi dall’altra parte ogni volta che un migrante muore sul mar Mediterraneo, un lavoratore muore sul lavoro, una valle viene militarizzata per costruire l’alta velocità, un novello ducetto ripropone il ponte sullo stretto, un nostro conoscente dice la solita banalità razzista e sessista. È un’esigenza quella di lottare ogni giorno per un mondo migliore..
Per farlo bisogna ricostruire i corpi intermedi, rinnovare i sindacati e le rappresentanze che sono sempre di più diventati erogatori di servizi (CAF e sportelli vari) e sempre meno costruttori di utopie. Per farlo servono uomini e donne che mettano da parte il loro ego per ritornare a coltivare un noi che abbracci tutta l’umanità, lottando per quei nuovi diritti che vediamo all’orizzonte: il diritto ad essere cittadini del mondo, prima di tutto, sapendo che ciò comporta anche il dovere di rispettarlo.
Questo cammino sarà fatto di errori, inevitabili,, ma non scordiamoci che le nostre cose buone sono diventate diritti che prima non c’erano e che oggi come domani saranno sempre più combattuti da chi predica la libertà, una libertà personale di fare e disfare a scapito dei destini del mondo.
Ciò che dobbiamo tenere lontani da noi sono il potere ed i leader.. la prossima rivoluzione sarà mondiale.
Puer Oven, economista, analista di politiche pubbliche, da sempre comunista malgrado tutto, non ha mai mangiato bambini.
Comunismo, no
100 anni di comunismo italiano, pochi di più dalla rivoluzione russa del 1917 (che ritengo possa essere una data più rilevante per segnare questo avvento) e più o meno 170 dalla redazione del Manifesto di Marx ed Engels (data anch’essa simbolica per identificare la nascita di un pensiero e una filosofia politica – che era precedente, ovviamente, ma qui non dobbiamo fare storiografia). Mi pare che quello che è successo in questo secolo sia sufficiente per trarre un bilancio che per quel che mi riguarda è, senza possibilità di appello, negativo. Lo dico, e cercherò di argomentarlo, non certo da anticomunista viscerale, non certo per appartenenza a famiglia “di quell’altra parte”. Per formazione, educazione e studi sono sempre stato a cavallo fra un certo liberismo radicale e il marxismo intellettuale: sostenitore dei referendum radicali in forme attive all’epoca universitaria (seconda metà anni ’70: divorzio, aborto, poi una serie di proposte radicali all’epoca inconsuete) e lettore di Rossana Rossanda sul manifesto. Attivista in associazioni oggettivamente cloni del vecchio PCI, dissidente sempre e in tutto, elettore sempre orientato a sinistra, al centro sinistra, anche verso riformisti liberali (qualcuno ricorda Alleanza Democratica?) che oggi starebbero più o meno vicino a Calenda… Lo scrivo perché sì, lo confesso, ho votato anche per i comunisti! Quando l’ho fatto, ne ero convinto; oggi non lo farei più, ma senza rinnegare ciò che sono stato, perché la storia collettiva, e quella personale, sono flussi, sono un divenire, e non saremmo oggi ciò che siamo se non fossimo stati ciò che fummo.
Questo preambolo mi serve per capire, almeno fino a un certo punto, chi è stato comunista e – mia opinione – non ha elaborato il lutto, non ha fatto i conti coi nuovi tempi, non ha compreso (marxianamente!) la lezione della Storia. Poteva essere comprensibile essere comunisti ancora fino al secondo dopoguerra; lo si poteva essere ancora negli anni ’60 e ’70 (già con almeno un occhio chiuso) alla luce dei fenomeni sociali dell’epoca e della ristretta visione che ne avevamo; dopo no. Dopo, e man mano che ci avviciniamo al Terzo Millennio, non c’è nessuna giustificazione al comunismo, e gli amici cari comunisti (l’autore della parte “Comunismo sì” è carissimo amico e stimato collega, ne posso testimoniare la rettitudine morale e lo spessore intellettuale) mancano della capacità di elaborare la storia del Novecento perché imbevuti di una potente ideologia che li acceca. L’ideologia è questo; assumere degli a priori come indiscutibili, e fondare poi un pensiero coerente con quegli a priori; e poiché gli “a priori” sono potenti concetti etici (giustizia, uguaglianza, fratellanza…) difficili da negare e contraddire, questa ideologia (come altre, e come le religioni) appaiono buone e giuste in sé; come puoi dirti contro l’uguaglianza e la fratellanza, perché mai non vuoi credere nella giustizia? Ovviamente la materia è più complessa e deve, innanzitutto, essere privata da ogni risvolto morale: la cosa che chiamiamo “uguaglianza”, per esempio, o è necessaria, utile, praticabile, o è qualcosa di diverso da quello che vogliamo fare credere. E la sua eventuale necessità, utilità e praticabilità non può essere stabilita dogmaticamente, artatamente, aprioristicamente, e semmai in punta di baionetta. Questo che affermo è un principio di razionalità sulle quale molteplici volte ci siamo espressi in questo blog. La mia prima obiezione è quindi di metodo: non accetto nessuna posizione filosofica, religiosa, politica basata su idee dogmatiche, su un credo non argomentato, su ipotesi asserite, specialmente fondate su valori morali. Guai al pensiero civico fondato su presupposti morali!
E il comunismo, di guai fondati su presupposti morali, ne fatti molti, moltissimi, milioni. Milioni di morti; non sapremo mai i numeri esatti, ma la Russia sovietica di Stalin ha probabilmente prodotto alcune decine di milioni di morti, per fame o per esecuzione voluta dal regime; la Cina di Mao molti di più; decine di migliaia in Corea, Albania, Cuba eccetera. Vite spezzate, generazioni annichilite, democrazie distrutte, fame, freddo, galera. Di fronte a questo come può reggere l’idea di comunismo? Regge con una scappatoia inaccettabile: quegli errori non sono vero comunismo, il comunismo è un’altra cosa. Questa affermazione è ipocrita e stomachevole quando consapevole, e penosa quando è il frutto di una convinzione; una convinzione da intellettuali borghesi ben pasciuti, cresciuti e sempre vissuti in Occidente, come anch’io fui, che può cullarsi con fantasiose fumoserie romantiche, ché di questo si tratta: il popolo oppresso e la rivoluzione, le avanguardie, el pueblo unido e i barbudos, Mao che scrive poesie e Lenin sul famoso treno piombato… milioni di esseri umani che ci hanno creduto e sono morti per questa loro fede (“fede”), Lettere di condannati a morte della resistenza, il presidente partigiano, antifa sempre! Io non disprezzo quei morti, non disprezzo quella resistenza: ma parliamo di 70-80 anni fa; avevano una ragione 70-80 anni fa. Vanno collocati nella loro dimensione storica, la lotta al nazi-fascismo e le speranze generate, in una sterminata folla di diseredati, dal Sol dell’Avvenire. Ma oggi è un’altra epoca, che forse è anche più brutta ma non è quella. Oggi ci servono strumenti concettuali adatti alle sfide del 2021 che non assomigliano in nulla a quelle del 1921, a quelle del 1945 o a quelle del 1977. In nulla! L’agorà greca e la sua idea di democrazia (fra parentesi: molto elitaria e oggi probabilmente inaccettabile) non può essere presa a modello e acriticamente trasportata nella nostra epoca, come non possiamo adottare La città del Sole di Campanella e altre idee e utopie che hanno avuto un senso nella loro epoca, ma vivaddio la storia dell’umanità è una storia evolutiva, abbiamo idee e le cambiamo, proviamo stili di socialità e li abbandoniamo…
Chiariamoci anche storiograficamente. Le idee di Marx c’entrano poco, pochissimo, con la rivoluzione sovietica; il pensiero di Marx è stato ampiamente stravolto da Engels, appena morto il primo, e in seguito da Lenin. Tutta l’architettura “marxista” come giustificazione filosofica del comunismo (non so se qualcuno la definisce ancora una base “scientifica”) è falsa, nel senso che, semplicemente, non è il pensiero di Karl Marx, ma una sovrastruttura ideologica iniziata da Engels per motivi che oggi chiameremmo “comunicativi”, e perfezionata da Lenin per erigere una struttura di controllo e potere. Marx è stato un importante filosofo, sociologo ed economista, che ha elaborato rilevanti concetti alcuni dei quali – come per ogni studioso – poi sconfermati dai fatti, ma molti tuttora interessanti; poi c’è stato un Marx attivista politico che si sentiva necessitato a dare una risposta ai diseredati dell’epoca sua, epoca di un capitalismo selvaggio e inumano che richiedeva una risposta, imponeva una soluzione. Ma Marx era un anti-ideologo per eccellenza, come testimoniano le sue opere giovanili, quel capolavoro (da leggere assolutamente) della Questione ebraica, poi l’Ideologia tedesca… Altro che il temibile DiaMat e quel che ne è seguito.
Il comunismo del Novecento non ha avuto nulla di nobile. Ha preso idee suggestive stravolgendole a proprio uso e consumo, ha soffiato sul fuoco di una condizione (quella russa dei primi del Novecento) oggettivamente insostenibile, ha utilizzato legioni di intellettuali sedotti (e li capisco, a quell’epoca) dalle idee assolutamente nuove di giustizia e libertà che il comunismo proponeva, e il gioco è stato facile.
Altrove c’era una guerra di liberazione da fare (Cina), o un regime vizioso da abbattere (Cuba) o altro, e il comunismo è stato un bellissimo vestito da indossare per dare una giustificazione unificante, attraente… Abbattiamo i cattivi (lo Zar, i giapponesi, Batista…) e dopo instaureremo una società di latte e miele, di uomini uguali (le donne uguali sono arrivate molto dopo), liberi e felici.
Se l’idea comunista avesse funzionato, ce ne saremmo accorti. L’abbiamo sperimentata in Asia, Europa e Americhe, con sprazzi africani; in Paesi grandi e piccoli; per liberare i poveri, per abbattere un regime corrotto, per combattere i nazisti… Direi che può bastare. Ovunque ha fallito per alcune semplicissime ragioni che sono piuttosto evidenti, solo a volerle vedere. Il modello economico “pianificato” dei regimi comunisti ha fallito ovunque (tranne nella Cina che ha pensato bene di abbandonarlo per aderire a un clamoroso iperliberismo economico); ma quello che ha fallito clamorosamente è il modello sociale: per ragioni ampiamente note a sociologi e psicologi, l’egualitarismo imposto non funziona (ammesso che si tratti di vero egualitarismo, e non di una società di maiali uguali, con alcuni più uguali degli altri); deprime l’ambizione, annulla il merito, eleva l’ignobile. E ovunque il popolo scontento è stato governato con la polizia e la repressione. Una realtà assolutamente differente dall’utopia immaginata da Marx (si veda il celebre passo dell’Ideologia tedesca sul pescare, cacciare e filosofare). Si può obiettare che il liberismo, sul piano economico e sociale, ha fatto l’esatto contrario creando altre disuguaglianze; vero, ne parleremo più avanti. Ma intanto l’uguaglianza delle condizioni d’arrivo come imposizione è semplicemente il nonno dell’attuale populismo (ne ho trattato QUI); viva l’abbattimento delle disuguaglianze di partenza, no al livellamento delle condizioni di arrivo; questa idea – che dovrei meglio argomentare, scusate ma l’ho già fatto in diversi post precedenti – ha molto a che fare con la filosofia orientale e il “comunismo” cinese dopo Mao.
L’uguaglianza trasformata nell’”uno vale uno”, la giustizia trasformata in giustizialismo, l’economia che diventa statalismo, sono i degni eredi di un ideologia che non poteva funzionare, che ha fallito, e che personalmente non ho nessunissima voglia di riprovare.
Il comunismo può essere una risposta alle disuguaglianze contemporanee? La mia ovvia risposta è un netto “No!”. Se posso storicamente capire gli operai delle manifatture inglesi dell’Ottocento osservati da Marx, o i contadini russi dei primi del Novecento “liberati” da Lenin, bisogna serenamente osservare che nessuna di quelle condizioni si presenta oggi.
Viviamo in una società ingiusta e disuguale, e senza ombra di dubbio il liberismo è parte delle cause, ma riproporre ricette vetuste per mali nuovi vorrebbe dire riproporre come farsa quella che già fu una tragedia (Marx, sì, il 18 Brumaio). Su questo blog siamo abbastanza attenti al tema delle disuguaglianze (specie il collega Ottonieri, cercate i suoi articoli) e siamo convinti che siano tante e insopportabili; come siamo convinti che mediamente la popolazione occidentale (e non solo quella) viva cento volte meglio dei suoi nonni e bisnonni; viviamo molto di più e più in salute, mandiamo i figli a scuola e i più riescono anche a mandarli al mare; abbiamo internet, mangiamo tre volte al giorno, siamo preoccupati più per il cane che per i bimbi del Burundi, abbiamo i diritti acquisiti, le ferie garantite e i diritti Inps in quanto genitori, guardiamo robaccia su Netflix e la commentiamo su quella cloaca di Facebook… Comunismo? Rivoluzione? Ma siamo seri!
Se dietro Netflix e Facebook, dietro i tre pasti al giorno e al cane, si nascondono gravi sacche di povertà, marginalità e sofferenza, non le possiamo risolvere con formule dell’Ottocento ampiamente fallite nel Novecento, ma forse col suo contrario: razionalismo, anti-ideologismo, distacco, libertà di pensiero, scienza, valutazione e risoluzione dei problemi.
Perché il bieco liberismo, nel bene o nel male, mi permette di indagare le sue colpe e (certo, con enorme fatica) metterci le mani per cercare la soluzione; il comunismo no.
Claudio Bezzi, redattore di Hic Rhodus. Sociologo, blogger, fotografo. Mandrakista. Intollerante