Pensare la Democrazia nel Terzo Millennio. 8 – Il potere giudiziario

Una serie di punti chiave, chiari, ineludibili, per ripensare la politica, da tempo scomparsa in Italia e – probabilmente – in stato comatoso in tutto l’Occidente. Una serie di punti che riteniamo fondamentali, in ordine logico, che proporremo in diverse puntate ravvicinate. In questa ottava puntata: il potere giudiziario.

Invitiamo tutti i lettori a dibattere questi temi scrivendo suggerimenti e critiche nei commenti.

8. Dopo l’azione legislativa viene logicamente quella giudiziaria. Un potere costituzionalmente indipendente che per molte ragioni (alcune le stiamo per vedere) indica molto nitidamente il grado di civiltà di una nazione, e la capacità di quella vita associata di cui stiamo parlando in queste note. Comunque – nella sua indipendenza – il potere giudiziario è secondo al potere politico e servitore dell’armonia della vita associata. Un potere giuridico che si sostituisca a quello politico, e che cerchi di manipolare i cittadini, è un pericoloso mostro da abbattere. La storia di questi ultimi 30 anni ha mostrato, in Italia, proprio questa pericolosa supplenza ed episodi, non rari, di deriva populista nella magistratura e nella concezione dell’idea di giustizia nel nostro Paese.

8.1 La giustizia è un diritto [nel senso specificato al cap. 1]. Ma la giustizia è veicolata da persone che, come abbiamo visto per la politica, sono soggette a debolezze ed errori. La giustizia è quindi sempre potenzialmente fallace, incerta, monca. Poiché non c’è rimedio, la giustizia deve essere l’ultima ratio (in una società ideale).

8.2 Esattamente come per la politica, la giustizia è fatta di idee; che debbono evolvere assieme alla sensibilità popolare, ai progressi civili, alla differente mentalità di epoche differenti. Se anche è il legislatore che deve sapere innovare le norme, spetta ai giudici la capacità di leggere e comprendere il tessuto sociale in cui si sono sviluppati i casi sottoposti al loro giudizio. La legge non è semplicemente un corpo di norme, ma più precisamente una nebbia interpretativa attorno a quelle norme. La complessità sociale da un lato, e la necessità di interpretare i Codici dall’altro, rendono in realtà il giudice (usiamo il termine in senso lato, esteso) un attore dei casi sottoposti a giudizio. Indubbiamente un attore con parecchi vincoli (l’interpretazione ha dei margini non larghissimi; i documenti da giudicare sono prodotti da autorità investigative non sempre all’altezza…) ma pur sempre un attore che dovrebbe possedere (e raramente possiede) sensibilità psicologica, capacità sociologica, e non solo una sapienza completamente interna ai Codici.

8.3 Il garantismo nasce esattamente dalla constatazione che i giudici sono persone e possono sbagliare, i Codici sono testi scritti e vanno interpretati, le apparenze a volte ingannano, le circostanze andrebbero capite con competenza psicologica e sensibilità sociologica (virtù che mancano frequentemente ai nostri giudici) e che la giustizia, in quanto ultima ratio per sanare una frattura nella convivenza civile, deve essere estremamente cauta. I casi di giudizi affrettati, di giudici protagonisti, o ideologizzati, o accecati da un populismo feroce, sono talmente numerosi da incutere timore in una giustizia spesso ingiusta, e rendere garantisti fino all’estremo per cercare di evitare nuovi errori.

8.4 Affinché la giustizia funzioni è assolutamente necessaria la separazione dei poteri, prevista dalla Costituzione ma aggirata facilmente in molti modi: i magistrati in politica sono un danno per la democrazia, e l’esperienza ci mostra la loro preponderante inclinazione al giustizialismo e al populismo. Il Parlamento dovrebbe emanare poche e semplici norme per rendere più chiara l’impermeabilità fra chi fa le leggi e chi le fa rispettare.

8.5 Affinché la giustizia funzioni è assolutamente necessaria la separazione fra giudici e mass media. È fin troppo facile prendersela coi (pessimi) quotidiani italiani che si compiacciono di fare il gioco giustizialista di giudici (in particolare inquirenti) che attraverso il linciaggio mediatico intendono ottenere risultati per la loro indagine, se non per la loro carriera.

8.6 Affinché la giustizia funzioni occorre che i membri migliori della Magistratura avanzino (la meritocrazia qui è pari a zero e gli avanzamenti di carriera sono automatici) e che i peggiori siano sanzionati; a questo scopo occorre spezzare la monoliticità dell’ANM (che non è certo minore per la presenza di “correnti”, che sono semplicemente logge interne di potere).

8.7 Pur tutelando l’autonomia dell’azione dei giudici, va rivista le legge Vassalli del 1988 in tema di responsabilità civile dei magistrati; il medico che sbaglia – per quanto abbia cercato di operare in scienza e coscienza – deve rispondere dei suoi errori; così l’ingegnere, il camionista, il politico, chiunque ha una responsabilità indivisibile. La sostanziale impunità dei giudici crea disuguaglianze e, soprattutto, danni materiali e morali a moltissimi innocenti, rovinati da giudici troppo ambiziosi quanto impreparati, che non sono mai stati chiamati a rispondere del male procurato.

8.8 Una giustizia giusta, infine, è veloce. Qualunque sia l’insieme di cause che rendono la giustizia italiana una delle peggiori del mondo (almeno sotto questo profilo) è indiscutibile che la situazione dipenda dalla volontà del Parlamento: decidere per maggiori mezzi, per l’informatizzazione efficace, per personale qualificato, per lo snellimento amministrativo, per il superamento di procedure inutili che fanno perdere tempo, eccetera, è solo una questione di volontà.

8.9 Una parola, in questo capitolo sulla giustizia, va detta sulle pene. Il sistema carcerario italiano è infame, barbarico, inumano. I carcerati (in maggioranza in attesa di giudizio, quindi potenzialmente innocenti) vivono brutalità e umiliazioni inaccettabili per un paese civile.

Prossimo tema: la stupidità.

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