Zingaretti scappa. Poi ci sono mille ragioni, lo si può anche capire, viene continuamente massacrato proprio dai suoi, non ne ha azzeccata una che sia una, tutto quello che volete. Ma le sue dimissioni (che non sono ancora dimissioni; ma quindi? Si dimette sul serio o fa “la mossa” giusto per vedere cosa succede?) annunciate su Facebook come un Casalino qualunque, sono una fuga. Che per un leader, il capo del fu più grande partito della sinistra è – a mio modesto avviso – un epilogo vergognoso.
La straordinaria pochezza di Zingaretti, può essere facilmente comparata ad altri casi, recenti o addirittura contemporanei. Prendete Renzi: anche lui non è che abbia avuto vita facile nel PD, se vi ricordate; ma Renzi – di cui si può dire tutto il male, ma leader è stato davvero – ribatteva colpo su colpo, senza mai sottrarsi, a viso aperto. Il suo repentino declino è l’altra faccia di questo stesso carattere, vale a dire la tracotanza; perché il leader dà certamente quattro schiaffi all’avversario riottoso ma poi sa anche porgergli la mano. Renzi è stato coraggioso ma avventato; tattico (è un maestro nella tattica) ma non strategico; resistente contro le avversità ma ingeneroso e scarsamente lungimirante con chi era appena al di fuori del suo ristretto cerchio; comunicatore ma autocentrato; visionario (nel breve periodo di gloria Renzi aveva una visione, un programma, una politica da proporre) ma arruffone.
Zingaretti è stato l’opposto: vagamente ecumenico verso i potentati che squarciano il suo partito e pecora nei confronti di tutti; genericamente strategico, in maniera vuota e fumosa, e per niente tattico; senza alcuna visione; senza capacità comunicativa; artefice di clamorosi errori politici, come l’alleanza coi 5 Stelle prima (dopo avere giurato che mai l’avrebbe fatta, ed essersi candidato alla segreteria coll’impegno di non farla) e la sterile, miope, sciocca, improduttiva difesa di Conte ad oltranza a crisi di governo conclamata, quando ormai Conte era chiaramente e inequivocabilmente fuori gioco (per poi correre sul carro di Draghi e difendere, proprio anche in questi giorni, il suo gabinetto). Zingaretti sarà indiscutibilmente un brav’uomo, esattamente nel senso e coi limiti che tale etichetta aveva quando la si attribuiva, per esempio, a Bersani, altro profilo estremamente basso di leader che comunque, di fronte a Zingaretti, giganteggia.
Ieri, giorno delle dimissioni annunciate del segretario PD, è uscito anche l’annuncio dello strappo di Casaleggio. Oggi, sul suo blog, c’è una furba risposta di Grillo, lunga e articolata, dove non menziona mai Casaleggio e il suo annunciato “manifesto” e, novello Gandhi, si spertica in messaggi rassicuranti, miti: “O con le buone o con le buone”; “Tutto andrà bene solo se tutti staranno assieme”; nel suo lungo post Grillo indica con precisione una visione, una direzione: l’ambiente soprattutto, rivendicando il successo del Ministero della Transizione Economica (che non è affatto quello che lui aveva chiesto a Draghi, mancando la componente dei ministeri economici; che ancora è un progetto ed è da dubitare che sarà, poi, guidato da un grillino) e – ma solo vagamente e brevemente – il generico impegno verso i più deboli. Grillo, in questo suo post, mostra sagacia e lungimiranza.
Non si prende la briga di rispondere a Casaleggio, il cui progetto rifondativo ha le gambe corte già alla partenza, ma apre, indica, evoca, sollecita, anima le sue truppe. Come abbiamo già scritto anche Grillo è un leader decadente, perché tutto è cambiato e lui non può guidare un gruppo di ex barricadieri ora accomodati nelle stanze dei bottoni.
Ma Grillo è intelligente, sa fiutare il vento, sa capire cosa occorre fare; si è ritirato da mesi a più tranquilla vita privata (apparentemente) seguendo le vicende a distanza e intervenendo solo quando necessario, come nell’insediamento di Draghi del quale così si può giustamente vantare di essere mallevadore, e quindi pretenderne la riscossione di qualche dividendo. Conte era “il suo”, ma l’ha lasciato tranquillamente affondare a favore di Draghi, salvo recuperarlo come capo politico dei 5 Stelle; un piccolo capolavoro. Anche perché Conte è un altro leader di mezza tacca, e il guinzaglio che gli ha lasciato Grillo è molto più corto di quello che il professore crede.
Zingaretti, come Casaleggio e come Conte (ciascuno in modo diverso) è stato un finto leader; sottoposto a ricatti interni e incapace di ribaltarli; incerto nella strada politica da intraprendere; mai stato – come si dice – “sul pezzo”.
Ora cosa accadrà? Se Zingaretti ritirerà le dimissioni (solo annunciate, non sarebbero neppure ritirate ma semplicemente mai formalizzate) farà l’ennesima figura da mezza calzetta, da bambino piagnucoloso che minaccia di portarsi via il pallone perché non lo fanno giocare; chi mai potrà rispettarlo? Se conferma le dimissioni getterà il PD nello scompiglio più totale, in una crisi credo irreversibile, ma avrà fatto forse l’unica “botta da uomo” della sua breve carriera da segretario: avrà urlato che il Re è nudo, avrà messo il partito e i suoi ras con le spalle al muro, avrà imposto una discussione radicale. Ma, attenzione, l’avrà imposta nel momento storico peggiore per il Paese, con potenziali gravi conseguenze per il governo Draghi; anche qui: decisamente un’ulteriore pessima decisione per il povero Zingaretti.