Pensare la Democrazia nel terzo Millennio. 13 – Il pensiero razionale

Una serie di punti chiave, chiari, ineludibili, per ripensare la politica, da tempo scomparsa in Italia e – probabilmente – in stato comatoso in tutto l’Occidente. Una serie di punti che riteniamo fondamentali, in ordine logico, che proporremo in diverse puntate ravvicinate. In questa tredicesima puntata: la necessità del pensiero razionale.

Invitiamo tutti i lettori a dibattere questi temi scrivendo suggerimenti e critiche nei commenti.

13. Nel totale caos emozionale e comunicativo dell’era della complessità globalizzata, solo il perseguimento della razionalità può salvare gli individui dalla condanna del pensiero unico e dalle sue conseguenze autoritarie. Quello che stiamo ponendo è un problema di democrazia. Un popolo sempre più massificato, senza adeguati strumenti di comprensione della complessità, produce una vita associata malata, incerta, fragile, dove gli sciacalli interni ed esterni possono con fin troppa facilità indirizzare le scelte sotto una falsa egida democratica. Non solo in Italia, l’elenco delle scelte “democratiche” disastrose comincia ad essere molto lungo. Queste scelte producono oggettivi danni alla collettività nel suo insieme e ai suoi singoli membri (più ingiustizie, più povertà, meno servizi, meno libertà) ma non solo sono scarsamente percepiti, ma non possono neppure essere adeguatamente rappresentati e spiegati.

13.1 La percezione dei danni delle scelte collettive sbagliate è complicata dal fatto di non essere immediate e palesi; le scelte economiche sbagliate, per esempio, si riflettono in molteplici conseguenze piccole e grandi che hanno relazioni dirette ma anche indirette con la scelta compiuta, sono influenzate da concause ed epifenomeni, sono contraddittorie (ci possono essere n fattori conseguenti negativi ma alcuni positivi) e in conclusione la massa perde la possibilità di percepire un chiaro elemento di causa-effetto. 

13.2 La spiegazione necessaria, poi, per indicare la negatività di una determinata scelta, è solitamente complessa; ciò significa che per spiegare un fatto sociale occorre condividere delle competenze di base minime; se queste basi non sono condivise la spiegazione deve partire da più lontano, per ricostruire prima gli elementi concettuali necessari per poi poter affrontare il tema principale, con una regressione ovviamente impossibile da realizzare nella maggior parte delle normale discussioni, nei dibattiti pubblici, nelle conferenze come nelle discussioni al bar. Se ci si prova, si creerà semplicemente il gelo negli interlocutori, che pensano di essere considerati stupidi. Gli interlocutori senza i necessari elementi dialogici non ti capiscono; tu non puoi spiegare; loro ti appaiono stupidi; tu appari loro saccente. Questo stallo comunicativo è un grave vulnus per la democrazia, e solitamente si ha una risposta emotiva da parte delle parti in causa. Quella emotività diventa un muro che impedisce di cercare e trovare soluzioni condivise ai problemi di una comunità.

13.3 L’emotività nelle relazioni, come sostituto del difficile e faticoso confronto, è la norma, abbondantemente tracimata nella politica, nella programmazione, nell’esercizio delle competenze. La politica, specialmente, è ormai solo ed esclusivamente un esercizio di emotività, di confronto fra isterie differenti, di crisi di nervi, di “lei si deve vergognare!” e di “tutto questo mi indigna profondamente!”. L’esercizio continuo dell’emotività come conflitto (o anche, più semplicemente come campo dialettico) ha naturalmente delle conseguenze sui comportamenti di massa e sui conseguenti modi di intendere l’azione politica, la gestione della cosa pubblica, la giustizia, fino alle relazioni internazionali. 

13.4 Le conseguenze dell’emotività nella politica (e negli altri ambiti limitrofi citati) sono devastanti: danni economici incalcolabili (con conseguente aumento delle disuguaglianze e sprechi di risorse), perdita di opportunità globali, fino a morti e devastazioni (guerre, incuria del territorio solo come esempi). Queste emotività agisce a livello macro, internazionale, ma anche locale: pensiamo all’infinito scontro No-TAV. 

13.5 La sorella gemella dell’emotività è la morale. Poiché un certo argomento turba la nostra sensibilità, ne ricaviamo una regola morale che poi riteniamo debba essere seguita da tutti. I poveri immigrati ci commuovono: accogliamoli tutti; tu non sei per l’accoglienza? Ma sei un leghista? Il fascismo è una cosa brutta e cattiva e mio nonno era partigiano. Tu vorresti dare la parola a un fascista? Il fascio va sprangato e non ha diritto di parola! Non sarai mica un po’ fascio anche tu? Antifa sempre!

13.6 L’emotività nella politica e le conseguenze moralistiche non sono proprie del popolo ottuso ma anche – nella stessa maniera – nelle classi che governano. Semmai costoro sono un po’ più ciniche e smaliziate e sanno soffiare sull’emotività del popolo per infiammarlo e trarlo dalla propria parte.

13.7 L’unico modo per ribaltare la situazione è bandire l’emotività della politica ed evitare, nel modo più assoluto, la morale come guida della cosa pubblica. Il governo deve essere razionale; può esserlo, non sarebbe impossibile, semplicemente non siamo attrezzati per farlo, nessuno ci ha mai pensato. Sono secoli che ci contendiamo il potere nella lotta fra guelfi e ghibellini, repubblicani e monarchici, comunisti e fascisti e via discorrendo. Col sangue versato potremmo inondare la pianura Padana, senza quelle idee scritte e stampate avremmo evitato di disboscare mezza Amazzonia. 

13.8 Tutti i problemi sociali, nessuno escluso, hanno una limitata gamma di possibili soluzioni; ciascuna soluzione differisce naturalmente sotto molteplici profili, e non è facile capire cosa sarebbe giusto (per chi?) o sbagliato (in che senso?), utile (per quanto?) o dannoso (in quali parti?). Ecco perché la razionalità che qui invochiamo non è gestibile con un algoritmo cartesiano; esisterà sempre il problema di scegliere, fra diverse alternative, quella più veloce ma costosa, oppure quella con maggior numero di beneficiati ma meno bisognosi in assoluto, o quella che migliorerebbe certamente certe settori lasciando alcune incognite in altri… È in questi margini che si inseriscono due pilastri chiave del processo decisionale razionale: i) la visione di benessere di chi governa contrapposta a quella dell’opposizione e ii) la valutazione tecnica delle politiche realizzate.

13.8.1 Le visioni di cosa sia benessere, chi debba essere beneficato prima, e come e perché, e così via, costituisce una visione del mondo che si sedimenta in uno specifico programma politico (solo per chiarezza e per capirsi: una visione liberale contrapposta a una socialdemocratica, per esempio); i contendenti politici – sulla base delle loro visioni – propongono ai cittadini dei programmi: faremo questo, con questi soldi, in questi tempi; sicuramente non faremo quello e quell’altro. I cittadini scelgono non già un’ideologia, la simpatia di un leader, una somma di fanfaluche, ma un impegno a realizzare determinare cose e non altre. Dopo il necessario periodo si indiranno nuove elezioni e i cittadini potranno confermare quel governo oppure no. (Ovviamente sappiamo che non esiste nulla del genere in nessun angolo del pianeta in nessuna epoca storica, inclusa le epoche storiche future).

13.8.2 La valutazione delle politiche è cosa fattibile, esistono le competenze, gli strumenti e quanto serve. Può essere terza (almeno fino a un certo punto) e dare risultati affidabili (almeno fino a un certo punto). Anziché aggredirsi demagogicamente, con la bava alla bocca, nei talk show televisivi, non sarebbe meglio una buona valutazione tecnica, spiegata per bene ai cittadini? Nota importante: entro certi margini anche la valutazione fatta in scienza e coscienza può essere fallace. Il senso della valutazione delle politiche è l’argomentazione, alla quale si può sempre opporre una contro argomentazione.

13.9 Un governo razionalista sarebbe necessariamente europeista, riformista, capace di grandi progetti strutturali, amante dei diritti e vigile sui doveri, coscienzioso in merito ai bisogni dei suoi cittadini, disdegnerebbe la stupidità e promuoverebbe la formazione e la cultura, sarebbe privo di ideologie e perseguirebbe i malvagi senza derive giustizialiste. E questa, per noi, sarebbe la democrazia compiuta.

Prossimo tema: la ricerca scientifica.

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