Fra più o meno 5 mesi dovremo eleggere un nuovo Presidente della Repubblica, e il panico incomincia a serpeggiare. Come avrete letto circolano molti nomi: Mattarella (rieletto, come Napolitano), Draghi, e poi Mattarella e Draghi e si parla anche di Draghi e Mattarella. Sembra, dal dibattito, che all’orizzonte non si intravedano altri. Considerando che Mattarella ha già espresso contrarietà alla rielezione (che è davvero sul filo della costituzionalità, e che nel caso di Napolitano deve essere rubricata come eccezione da non ripetere), la rosa si riduce al solo Draghi.
Ora: se Draghi dovesse andare a fare il Presidente della Repubblica (e sarebbe un ottimo Presidente della Repubblica) chi va a Palazzo Chigi? Di più: che fine fa l’esecutivo, il governo, il Parlamento tutto, l’Italia intera? Panico. C’è il PNRR da gestire, serve un’autorità morale capace di contenere Salvini, occorre impedire alla destra di vincere le elezioni, è in arrivo un’infestazione di cavallette…
Per carità, teniamo Draghi lì dov’è fino a scadenza della legislatura (marzo 2023) poi, chi vivrà vedrà.
Bene: allora chi va al Quirinale? Berlusconi, voglio pensare, è fuori gioco. Quindi? Un sondaggio fra amici nel gruppo Facebook Pensare la democrazia nel terzo millennio, che aveva come regole di non nominare Mattarella e Draghi, ha indicato Bonino e Cartabia fra le più gettonate e, a distanza, Gentiloni (poi altri). Tutti nomi di peso ma nessuno con una qualche possibilità. Bonino avrebbe esperienza e competenza da vendere, ma è invisa a troppi (cattolici, destra…); Cartabia, che ha studiato da Presidente della Repubblica e ci ha fatto un pensierino, se l’è giocata male con la sua riforma che ha scontentato tutti ed è altrettanto divisiva di Bonino, sia pure in senso opposto (troppo clericale, troppo ciellina…). Gentiloni sarebbe ottimo sotto diversi punti di vista ma, egoisticamente, sta facendo bene a Bruxelles, teniamolo là (e i voti della destra non li avrebbe).
Ecco che in tutte queste incertezze potrebbe spuntare fuori il nome di un vecchio democristiano piuttosto defilato, gran navigatore, amico di tanti, che potrebbe essere il compromesso possibile, turandosi il naso, per molti: Casini. Su un nome così potrebbero compattarsi centro-destra e centro-sinistra, populisti assortiti e, accettando il male minore, forse anche qualcuno della sinistra.
In questo modo una persona moderata, indubbiamente europeista e poco simpatizzante per il lepenismo e il melonismo, andrebbe a fare la regìa, e san Mario Draghi resterebbe a spicciare le faccende della bottega. Fino a marzo 2023. Poi si vedrà.
Per molti parlamentari arrivare a quella data sani e salvi è essenziale per maturare la pensione, anche perché con la sciagurata riforma populista che ha tagliato il numero dei deputati e senatori, un bel po’ non saranno rieletti, pacchia finita. Ma mancano proprio solo pochi mesi; passeranno in un battibaleno, e ci troveremo a primavera 2023 con la preoccupazione di un governo di destra a guida Giorgia Meloni, che sarebbe il peggio del peggio, peggio del Conte 1 che al momento ha la palma di peggior governo di sempre.
E sarà esattamente così: arriveremo in un batter d’occhio a quella data, sì; ci sarà un’orrenda campagna elettorale, sì; vincerà Meloni, sì. Rassegnatevi.
L’unico asso da calare (unico, quindi dobbiamo giocarcelo bene) è Mario Draghi. Cosa farà? Cosa vorrà fare? Cosa lo imploreremo di fare? Si può immaginare Draghi capo di una formazione, o di una coalizione centrista-liberale, candidato premier, con PD e M5S alleati? In questo caso forse ce la si potrebbe fare a battere la destra becera e avremmo una legislatura interessante e – finalmente – una stagione riformista (semmai scegliendo un filo meglio i ministri). Il M5S di Conte, ormai anestetizzato e democristianizzato, starà al gioco? L’inutile PD perennemente senza idee e senza bussola, starà al gioco? Forse sì, tutto sommato.
La vera domanda è: gli italiani, gli elettori, staranno al gioco?