Io sono differente, io sono uguale

Una bellissima riflessione di Alessandro Barbano, che dovete assolutamente leggere, su una declinazione del relativismo come soggettivismo, non immune (anzi: inevitabilmente predisposto) all’errore e al conflitto. A partire da una riflessione sulla tauromachia e il suo biasimo in nome del rifiuto della violenza, fosse anche nei confronti di un animale, scrive Barbano:

Chi mai potrebbe non desiderare un mondo senza violenza? E tuttavia credo che questa tentazione pacifista ci abbia, per così dire, un po’ preso la mano, e sia diventata un’ideologia tecnocratica che ci illude di sottrarci alla relazione e, quindi, alla lotta per la sopravvivenza. D’intuito la vedo declinarsi in modo diverso in tutti i nostri spazi di vita. […] Nell’universo esistenziale la tecno-ideologia si traduce nell’idea di sterilizzare il dolore dalla vita. La rivolta dei no vax è lo specchio sovrapposto di questa immane rimozione collettiva della finitezza umana. Si rifiuta il vaccino anche perché la protezione parziale che offre suona come il tradimento dell’illusione di immunizzarci in modo assoluto dalla fragilità e dalla morte.

Da qui Barbano fa una riflessione fondamentale:

Nella sfera civile il credo è invece la sterilizzazione della violenza. Come ha spiegato Luca Ricolfi su la Repubblica, questa ideologia si esprime anzitutto nel linguaggio. L’idea che, estirpando la violenza dal linguaggio, si approdi a una compiuta pacificazione della vita è un’illusione prometeica, perché il linguaggio è la prima forma di tecnica che l’uomo conosca. Senonché la sterilizzazione della violenza dal linguaggio coincide con l’eliminazione delle sue differenze, in quanto presunte fonti di discriminazione, e la sostituzione con espressioni linguistiche neutre. 

E qui l’autore rammenta l’uso della U o dell’asterisco per eliminare le declinazioni di genere, e fa un affondo anche sulla legge Zan per affermare:

Mi chiedo però se la neutralizzazione della differenza sessuale nello spazio civile, e la sostituzione con un’identità percepita soggettivamente, non sortiscano il rischio di un azzeramento del femminile, cioè del valore simbolico di quelle libertà che, in nome del femminile, sono state raggiunte in tre secoli di lotta. Aggiungo che un mondo senza differenze approda a una piatta eguaglianza, ma non è affatto detto che sia un mondo pacificato. Poiché sotto la crosta della sua neutrale indifferenza ribollono quelle tensioni e quella violenza che il protocollo convenzionale rimuove e occulta, ma non spegne. 

Dopo vari altri passaggi, riassumendo dalla tauromachia, al gender e altro, conclude:

Potremmo ancora sentire attuali i presupposti della nostra cultura, stando con i piedi fuori dalla storia, e senza più essere, noi uomini e donne, la misura di tutte cose che ci stanno attorno?

Queste frasi finali sono fondamentali e da queste propongo una piccola riflessione personale.

Come sostengo da tempo la contemporaneità ha, fra le varie prerogative, la tendenza a sfuggire il senso della Storia (che in questa declinazione voglio scrivere con la maiuscola). L’essere umano occidentale e metropolitano declina la complessità crescente in vari modi: particolarismo, perdita dei legami forti e, appunto, perdita del senso della Storia, del fluire storico, dell’essere – ciascuno e tutti – individui in un continuo divenire. Questi elementi sono intrecciati: la complessità sempre più incomprensibile e ingestibile spinge al particolarismo, e quindi al disconoscimento dei legami forti e quindi a quella perdita di identità “storica” che ci fa percepire quali membri di una comunità, che viene da un certo passato e cerca di arrivare a un qualche (ipotetico) futuro. La cancel culture è la più scema manifestazione di tutto questo: non si sa affrontare il presente, si è soli e disperati, si è ignari e ignavi, ma sì, abbattiamo le statue di questo e quello, bruciamo i suoi libri, lui è stato certamente un nemico del mio presente. La demolizione delle differenze di genere – come segnala anche Barbano – è un altro di questi passaggi dal senso della Storia alla percezione di Ego come monade presente; Barbano lo scrive meglio di me, e io aggiungerei che non si tratta dell’azzeramento del femminile senza anche l’azzeramento del maschile, e sono certo che moltissimi, desolati e in fuga da loro stessi, credono semmai che sia una cosa buona e giusta (altra cosa, tutt’altra cosa, è vivere la propria affettività e sessualità come meglio si crede).

Ecco allora che alla cancellazione del genere, alla scomparsa della Storia, alla (già da tempo osservata e studiata) abolizione dei concetti di morte, e sofferenza, e malattia (che impongono il recupero della Storia, se non altro di Ego – sofferente o morente – nel posto che può avere nel fluire dell’umanità), si aggiunge l’orrore per la violenza, foss’anche verso gli animali. Poiché – da animalista vegetariano – conosco bene tale orrore, colgo bene il senso del discorso di Barbano, che strizza l’occhio al lettore dichiarando

Confesso di non avere per queste domande risposte soddisfacenti. Nel dubbio, penso che comprerò un biglietto per la corrida, facendo segretamente il tifo per il toro.

Questa frase non vuole essere solo una chiusa ironica per congedarsi dal lettore, ma esprime la grande verità di fondo – come io credo di cogliere – che è la seguente: possiamo certamente tifare per il toro, è legittimo, ma andiamo lo stesso alla corrida. Fuori di metafora: sì al dolore verso la morte, sì all’attenzione alla differenza di genere, fino a sì, proteggiamo anche gli animali dalla nostra violenta supremazia umana, ma restando nel flusso storico, comprendendolo, e comprendendo quindi la nostra umanità, fatta anche di mostruosità, cattiveria, contraddizioni, ipocrisie. 

E diversità, certo, che non hanno alcun bisogno di difese particolaristiche, leggi ad hoc, stupri lessicali, ma semplicemente devono – e oggi possono – essere liberamente vissute come declinazioni di una unica umanità, fatta di individui uguali-nella-diversità che si percepiscono membri del medesimo fluire.