Come si leggono i dati (sul femminicidio, sul Covid, su tutto)

La relazione che Pietro Curzio, primo presidente della corte di Cassazione, ha letto durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, riporta dati sui vari reati commessi nell’ultimo anno, come usuale. Ai fini di questa riflessione prenderò in considerazione solo quelli dei femminicidi. Poiché il tema non è nuovo per HR, la riflessione riguarda, in generale, come si leggono i dati, qualunque dato, e come – a differenza di quello che molti credono – possono ingannare più i numeri delle parole, se non si sta attenti.

La situazione giudiziaria mostra un costante calo da molti anni negli omicidi. Giusto un anno fa – in un post analogo a questo – riportai i dati del servizio analisi criminale del Dipartimento della sicurezza pubblica del Ministero dell’Interno, al quale rimando per chi è interessato a una piccola serie storica. L’Italia – sotto questo profilo – è uno dei Paesi più sicuri al mondo, in un continente generalmente sicuro; e il dato, da decenni, mostra una costante flessione. Poi, ovviamente, ci sono altre montagne di problemi, come la micro-criminalità, i delitti informatici etc., ma sul piano dei delitti sanguinosi cerchiamo di essere contenti di vivere in Italia.

Le considerazioni più incoraggianti – scrive Curzio – sullo stato della nostra convivenza derivano dai dati sugli omicidi. Nel 2021 in Italia sono stati commessi 295 omicidi volontari. È uno dei dati migliori tra i paesi europei, che a loro volta offrono i dati migliori nel mondo. E non era così: nel 1991 gli omicidi in Italia furono quasi 2.000. In seguito, sono lentamente ma progressivamente diminuiti riducendosi a 359 nel 2018, 317 nel 2019, 287 nel 2020.

Nel quadro degli omicidi un discorso a parte viene fatto per i femminicidi, rispetto ai quali Curzio parla di “elemento sconcertante” in relazione ai 118 delitti contro donne dell’anno scorso, rispetto ai 112 dell’anno prima e ai 111 dell’anno prima ancora. Chiunque abbia conoscenza basiche di statistica, ma proprio terra terra, fatica a rimanere sconcertato da questi tre numeri, e quindi – per chiarirci le idee – vi fornisco un quadro più generale.

AnnoFemminicidi
200584
2006102
2007103
2008113
2009121
2010129
2011130
2012126
2013134
2014115
2015117
2016121
2017112
2018115
201995
2020102

La fonte di questi dati è La casa delle donne  di Bologna, un famoso gruppo femminista che da molti anni ha uno specifico “gruppo femminicidio”. Potete notare che ci sono differenze coi dati di fonte giudiziaria. Il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Suprema corte, ha fornito dati un po’ più alti:

AnnoFemminicidi
2017132
2018141
2019111
2020112

Questi ultimi sono gli stessi dati di Curzio, coi quali ho aperto.

Partiamo dalle discrepanze; perché i dati non coincidono? Per una ragione semplicissima: non esiste una statistica ufficiale e accreditata, e l’Istat ha smesso da anni di fornirla, a causa della nebulosità della definizione di ‘femminicidio’ e la necessità di stabilire soggettivamente, volta per volta, se un dato omicidio sia configurabile alla stregua di qualunque altro o come specifico atto contro una donna “in quanto tale”, e quindi soggetto a specifiche aggravanti. (QUI il testo di legge; QUI un commento generale sulla legge). Non esistono definizioni giuridiche ma solo proposte ideologiche (ne trovate una trattazione QUI). Perdonandomi l’eccessiva semplificazione: se una donna muore come vittima di una rapina è un “normale” omicidio; se invece è uccisa dal fidanzato geloso, dopo anni di angherie e violenze, è definibile ‘femminicidio’ in quanto il maschio assassino ha chiaramente mostrato la sua indole patriarcale e maschilista, secondo la quale la donna era una sorta di sua proprietà. 

Potete capire che, caso per caso, occorre decidere se la tale donna sia stata uccisa in un senso o nell’altro, ma che le zone d’ombra intermedie sono ampie e ambigue. Quindi: qualunque statistica sui femminicidi è ipotetica e indubbiamente soggetta a errori.

Ciò detto mi permetterete di utilizzare i dati della Casa delle donne; in quanto parte in causa, attiviste e militanti, ritengo che sia loro interesse non minimizzare il fenomeno, e forniscono una lunga serie storica che ci mostra (non “dimostra”) cosa, esattamente? Che le donne vittime di femminicidio oscillano negli anni fra le 100 e le 130, con una media di 114 femminicidi l’anno. Qui non discuto se siano tanti o pochi; non si possono fare comparazioni internazionali ma, poiché gli omicidi in generale, in Italia, sono assai meno che altrove, si potrebbe presumere che analogamente siano pochi (in termini relativi) anche i femminicidi; che poi dietro a questi delitti ci siano anni di sofferenze e soprusi, e che questi siano enormemente diffusi nella società, anche senza sfociare in delitti estremi, è cosa che abbiamo già scritto e non vorrei ripetere ovvietà.

Poiché qui voglio parlare di dati: su circa 30 milioni di donne in Italia, di cui 25 circa da 20 anni in su (fonte), 114 omicidi rappresentano lo 0,000456% (sulle over 24). Leggere il risultato non già in valori assoluti, ma relativi, lo fa quasi scomparire. Prendiamo il valore più alto della serie, le 134 donne uccise nel 2013; sapete in percentuale quanto fa? 0,000536%, vale a dire meno di un decimillesimo di punto percentuale in più.

Gli organi di stampa si sono affrettati – come sempre – a riproporre acriticamente la notizia, senza un controllo delle fonti.

Riguardo ai numeri che poi hanno sconcertato Curzio (sconcerto ripreso dalla stampa e dai telegiornali), il fatto cioè che – secondo i dati di cui dispone – ci siano stati ben 118 femminicidi l’anno scorso, contro i 112 dell’anno prima, bastava andare al 2018 per vedere come, dai 141 di quell’anno (e 132 dell’anno prima) ci sia stato un drastico calo. È così? No. Quando si parla di piccolissimi numeri (in termini demografici e statistici) una differenza di cinque, dieci e venti unità, su una popolazione di milioni, non significa assolutamente nulla, stante anche l’incertezza della rilevazione. Se – sia pure in presenza di piccoli numeri – anno dopo anno si fosse incrementato il numero dei femminicidi da – poniamo – 100 l’anno a 1.000, indubbiamente una riflessione sociologica si sarebbe potuta fare, a patto di escludere difformità nei sistemi di rilevamento (per esempio una maggiore sensibilità al tema della violenza sulle donne, e di conseguenza una maggiore attribuzione di omicidi di donne alla specifica categoria dei ‘femminicidi’).

Poiché il post riguarda i numeri e il loro cattivo uso, distolgo lo sguardo dai femminicidi per segnalare un caso assolutamente differente, giunto alla ribalta in questi giorni. Un tweet dell’europarlamentare della Lega Francesca Donato, nota No Vax, ha fatto scalpore perché credendo di smascherare la bugia dei vaccini ha postato quanto segue: 

I due numeri relativi ai morti si somigliano, come ordine di grandezza, ma la Donato non è proprio riuscita a capire che 337/8.824 è pari al 3,8%, mentre 434/228.123 è pari allo 0,2%, quindi il primo valore (quello attuale, coi vaccini), sarebbe quasi venti volte migliore di quello dell’anno scorso (poi c’è la differenza fra virus, fra situazioni comportamentali e altro…).

In conclusione: i numeri sono precisi? Certo, precisissimi e dirimenti, a patto che:

  1. sia chiaro cosa si conta o cosa si misura (nel caso del femminicidio è vago; nel caso del Covid ci sono molte altre variabili concomitanti);
  2. si abbiano strumenti precisi per produrre dati validi (non è così nel caso del femminicidio, poiché la rilevazione è soggettiva);
  3. si sappiano leggere i dati; non si cada, per esempio, nella trappola in cui si è ficcata Francesca Donato, di non tenere conto del denominatore; non si comparino piccoli numeri di pochi anni; etc.