Lavoratori…?

Otto anni esatti fa, appena iniziata l’avventura di Hic Rhodus, pubblicai un articolo intitolato Poveri lavoratori, nel quale sottolineavo un problema a mio avviso allora sottovalutato, ossia quello dei working poor, o, per dirla in italiano, dei lavoratori poveri. Personalmente non sono e non sono mai stato un fan del comunismo, ma credo in un principio di equità sociale fondamentale e che considero dirimente rispetto alle diverse visioni di politica economica: in una società come la nostra, ossia bene o male ancorata al benessere del mondo occidentale moderno, chi lavora non deve essere povero. Mai.

Certo, viviamo in una società in cui le disuguaglianze abbondano, e non è realistico, né ragionevole, auspicare che spariscano. La ricchezza è un incentivo che almeno oggi è difficile non considerare essenziale e anche giusto per premiare chi svolge un’attività ad alto valore, che richiede competenze di eccellenza, studi, impegno e così via. Il fatto che non sempre a essere ricchi siano gli eccellenti non elimina l’importanza che l’incentivo economico riveste, e lo si vede più chiaramente nei paesi dove la meritocrazia è più accentuata. Però c’è un limite etico a tutto questo, ed è che la ricchezza degli eccellenti è accettabile se contribuisce a impedire la povertà delle persone qualsiasi che danno a loro volta un contributo alla società svolgendo un lavoro “normale” ma non per questo non utile. Se si svolge un lavoro onesto si deve poter condurre almeno una vita dignitosa e semplice, senza lussi ma senza privazioni gravi.

Inutile dire che non sempre è così. Questo semplice principio, l’intollerabilità della povertà dei lavoratori, nella realtà non è soddisfatto, e, se da quel gennaio 2014 siamo tornati spesso a parlarne, è perché non sono stati fatti sufficienti passi avanti per affermarlo. Stavolta, a occuparsi del problema è stato un Gruppo di Lavoro, costituito allo scopo dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ha elaborato una relazione contenente una sintesi del problema e alcune proposte per contrastarlo.

Nel complesso, il documento a me pare piuttosto deludente: si occupa della povertà relativa anziché di quella assoluta (che è una condizione di vita oggettivamente deprivata e che secondo l’Istat a causa della pandemia nel 2020 è cresciuta fino a coinvolgere quasi il 10% della popolazione), esclude volutamente dal proprio ambito di interesse alcune tra le tipologie di misure probabilmente più efficaci contro la povertà (in particolare i trasferimenti in natura, ossia i servizi gratuiti che lo Stato può offrire a chi non sia in grado di pagarli), e propone alcuni interventi senza però stimarne né il costo né gli effetti sui dati relativi alla povertà. Insomma, si tratta a mio avviso di uno studio orientativo, che indica possibili strumenti comunque ancora piuttosto astratti e che andrebbero poi progettati nel dettaglio e in diversi casi negoziati con le parti sociali. In ogni caso, può essere interessante riportarli, in forma necessariamente sintetica e rinviando al documento originale per i dettagli:

  1. Estendere l’applicazione di minimi salariali, o ampliando il “perimetro” degli accordi contrattuali collettivi, o imponendo un salario minimo di legge (in tutti i casi, andrebbero anche potenziati gli attuali controlli sull’applicazione dei minimi salariali).
  2. Introdurre sussidi “in busta paga” per i lavoratori a basso reddito, rielaborando migliorativamente misure come gli “80 Euro” e il Reddito di Cittadinanza.
  3. Operare in diverse forme a favore della consapevolezza e della comprensione del problema, sia a livello italiano che europeo.

Infine, vale la pena di aggiungere che i dati Istat sulla povertà assoluta nel 2020 a cui facevo riferimento confermano, nello scenario di peggioramento economico complessivo, alcuni dati di cui qui su Hic Rhodus abbiamo spesso discusso, ad esempio a proposito delle disuguaglianze intergenerazionali. I giovani sino ai 34 anni di età sono i più colpiti dalla povertà e solo gli anziani hanno “limitato i danni” degli effetti economici della pandemia e dei lockdown del 2020.

Fonte: Istat, statistiche sulla povertà 2020

Anche dal punto di vista del tipo di attività svolta, come si vede nel grafico qui sotto a destra, solo i pensionati (e, in un certo senso ovviamente, i disoccupati) non hanno visto crescere il loro rischio di povertà. Ancora una volta, insomma, occorre sottolineare che è a favore dei lavoratori, e in particolare dei lavoratori giovani, inclusi gli autonomi (che nel 2020 hanno subito il maggior incremento percentuale di poveri), che è indispensabile intervenire per riequilibrare almeno parzialmente la condizione patologica per cui in Italia le classi che lavorano sono anche quelle che vivono peggio.

Fonte: Istat, statistiche sulla povertà 2020