Scommetto che una bella fetta di lettori non sa che il senatore Matteo Renzi, leader di Italia Viva, lancia un referendum per abolire il reddito di cittadinanza (la raccolta delle firme inizierà il 15 giugno). La notizia è collocata così in basso, e solo sulle principali testate, che potreste non averla vista; segno che Renzi non fa più notizia, non graffia, non è preso sul serio quanto il dispiegarsi dello sciocchezzaio di Conte, quanto le elucubrazioni di Meloni, quanto l’agitazione di Salvini. Triste destino.
I lettori di Hic Rhodus sanno bene che noi siamo sempre stati critici verso il reddito di cittadinanza (RdC), che autorevoli osservatori neutrali hanno bollato inequivocabilmente come un fiasco.
Il RdC:
- mescola scioccamente sostegno al reddito e lavoro;
- non interviene sulle povertà estreme e non ha significativamente ridotto la povertà;
- non prevede controlli e una buona gestione del sussidio, con ampie aree di abuso;
- ha totalmente fallito coi navigator.
Eccetera. Quindi: sì al sostegno al reddito e a una seria politica di contenimento delle disuguaglianze economiche; sì a una riflessione importante sul mercato del lavoro e ai meccanismo di incontro domanda-offerta; sì – specialmente – a una riforma degli innumerevoli strumenti di previdenza; anche: lotta agli abusi, controlli, valutazione. Insomma: certamente ci sarebbe bisogno di una grande e complessiva riforma, che difficilmente si farà in Italia, paese in cui si preferisce la misura estemporanea, propagandistica, retorica, mangia-soldi, utile per la comparsata dai balconi, per le prime pagine dei giornali. Sì alle riforme serie, ma se fosse per noi certamente no al RdC così com’è realizzato.
In linea di massima, quindi, qui a Hic Rhodus saremmo favorevolissimi a una revisione di questa legge, specialmente in un quadro complessivo di riforma di previdenza e politiche del lavoro. Ma, appunto, parliamo di revisione politica delle attuali leggi; di un dibattito; di una riforma organica.
Renzi invece, col suo referendum, si pone a sua volta in maniera demagogica e populista; annunciare un referendum significa vellicare i sentimenti più deteriori dei critici al RdC: dare un colpo di spugna alla legge, così, a furor di popolo, semmai per fare un dispetto ai 5 Stelle, non è fare politica, ma esattamente il suo contrario. Che poi, è facile capirlo, l’obiettivo di Renzi non è affatto arrivare al referendum e vincerlo, ma stare sui giornali, far parlare di sé, sbracciarsi un pochino in un agone politico dove ha perso smalto.
Proprio perché operazione demagogica (e populista) io non andrò a firmare per il referendum, come invece ho fatto per quelli sulla giustizia, che andrò convintamente a votare (voterò Sì) il 12 giugno.
Perché? Cosa vedo di diverso?
Il tema della giustizia in Italia coinvolge macroscopicamente un pilastro della vita democratica, incancrenitosi per molteplici cause in una giustizia asfittica, lenta, “ingiusta” e in mano a lobby di magistrati con componenti inquietanti; di riforma vera della giustizia si parla da decenni, ma la politica è paurosa, ricattata, incapace di fare il suo dovere. I referendum, in questo caso, non sono affatto risolutori ma servono per dare una spallata a questi politici inetti e costringerli a intervenire (con buona pace di Letta, che ha esattamente capito il senso di questo segnale, e lo teme).
Il referendum di Renzi è invece una caccola, un esempio (fra diecimila) di leggi sbagliate, di sabbia negli occhi, di deriva populista, una delle tantissime cose che, al bar, dichiariamo di volere cancellare “Se solo comandassi io”; dal RdC alle concessioni balneari, dalla regolazione del porto d’armi ai poteri della Soprintendenza, abbiamo quantità esorbitanti di leggi sbagliate e dannose, o di vuoti legislativi altrettanto deleteri, che devono essere considerati e affrontati politicamente, e non certo mobilitando le partigianerie di questo o quel leader.
Purtroppo la politica è morta, in Italia, da molti anni. Chi è rimasto a far politica, nel nostro Parlamento? Si strepita e si va nei talk show; si twitta e ci si inventa un referendum. Renzi ha avuto uno straordinario momento magico, molto breve e luminoso, in cui mostrava di avere una visione (o ce lo ha fatto credere, a questo punto non saprei); quel momento è stato improvvidamente bruciato coi referendum costituzionali, vetta irraggiungibile di una politica riformista sprecata da un Ego impolitico, da un narcisismo tattico riprovevole che ha rapidamente finito col sommergerlo, e con lui le attese riformiste di chi aveva sperato in una svolta politica.
Oggi Renzi non fa più politica ma scalpita. Lancia segnali, inventa iniziative, si agita per continuare a esistere nel panorama politico; non è poi molto diverso da Salvini, con la differenza che Salvini (ultimo sondaggio di pochi giorni fa) viaggia sul 15%, governa Comuni e Regioni, è una componente determinate del governo; Renzi sta sul 2,5%, e ormai le sue boutade hanno un taglio basso sui giornali.
Addio Matteo Renzi, sei finito nel Pantheon dei politici falliti, assieme a Mario Segni, Gianfranco Fini e tanti altri che hanno bruciato malamente la loro occasione.