Il diritto all’aborto è un diritto di tutti

La notizia la conosciamo tutti (ed è molto ben riportata in questo articolo del Post): la Corte Suprema degli USA ha deliberato che l’aborto non può più essere considerato un diritto costituzionale, capovolgendo le precedenti sentenze chiamate Roe contro Wade e Planned Parenthood contro Casey, che riconoscevano l’aborto come implicitamente compreso nei diritti previsti dal Quattordicesimo Emendamento della Costituzione, che tra l’altro recita «Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge».

L’attuale Corte Suprema, nella sua delibera, afferma che (la traduzione è mia) «La Costituzione non fa alcun esplicito riferimento al diritto di ottenere un aborto […] La Corte ritiene che il diritto a ottenere un aborto non sia profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della Nazione […] Guidata dalla storia e dalla tradizione che tracciano le componenti essenziali del concetto nazionale di libertà ordinata, la Corte considera che il Quattordicesimo Emendamento chiaramente non protegge il diritto all’aborto». In sostanza, secondo la Corte, il concetto di libertà protetto dal Quattordicesimo Emendamento non include l’aborto, come invece lo si era inteso nel caso Casey, in cui la Corte aveva inteso quel concetto come libertà di compiere «scelte intime e personali, centrali per la dignità e l’autonomia della persona». Per l’attuale Corte Suprema, se la Costituzione proteggesse un concetto troppo ampio di libertà, questo potrebbe finire per includere cose come l’uso di droghe illegali o la prostituzione (Dio non voglia!). Di conseguenza, la Corte conclude che «La Costituzione non impedisce ai cittadini di ciascuno Stato di regolare o proibire l’aborto. Le sentenze Roe contro Wade e Planned Parenthood contro Casey si arrogavano questo diritto. La Corte le cancella e restituisce questa autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti».

Questa delibera è stata votata dai giudici Samuel Alito (nominato da George W. Bush), Clarence Thomas (nominato da George Bush), Neil Gorsuch (nominato da Donald Trump), Amy Barrett (nominata da Donald Trump) e Brett Kavanaugh (nominato da Donald Trump), mentre il giudice John Roberts, presidente della Corte a suo tempo nominato da George W. Bush, ha espresso un separato parere intermedio. I giudici nominati da Bill Clinton e Barack Obama hanno votato contro.

Quali effetti ha questa decisione? Almeno dal punto di vista di un europeo, un caos. Ogni Stato degli USA può ora avere una diversa normativa, e ci sono diversi Stati che avevano in realtà già approvato leggi restrittive dell’aborto che erano state bloccate perché incostituzionali secondo la precedente interpretazione. Queste leggi saranno quindi “sbloccate”, mentre in altri casi si tornerà alla legislazione precedente, e in altri ancora invece resteranno in vigore leggi favorevoli all’aborto già approvate e ovviamente ancora valide. Questa situazione è efficacemente rappresentata nella figura qui sotto, tratta da un utile articolo di Politico.com:

Situazione normativa sull’aborto dopo la delibera della Corte Suprema. Fonte: http://www.politico.com

Ebbene, cosa dobbiamo pensare di questa sentenza? Chiaramente, una lettura “semplice”, e certamente non errata, è che essa sia la naturale conseguenza delle forzature messe in atto da Trump per assicurarsi una maggioranza Repubblicana e dichiaratamente conservatrice nella Corte Suprema. C’era effettivamente da aspettarsi che alla prima occasione questa maggioranza che è difficile non chiamare retriva ribaltasse la questione più controversa e simbolica su cui la Corte si sia mai espressa. Questa, c’è poco da fare, è una sentenza politica. E, purtroppo, l’oscurantismo politico di questa maggioranza della Corte non si fermerà facilmente qui, a meno che una reazione popolare violenta non sconsigli i giudici dall’attaccare anche altri diritti. Il giudice Clarence Thomas ha scritto, in una sua opinione individuale, che la Corte in futuro «dovrebbe riconsiderare» altre sentenze precedenti a favore di diritti alla contraccezione, alle relazioni e ai matrimoni omosessuali.

A una sentenza politica è certamente necessario opporre una reazione politica, e questo accadrà in USA. Lo stesso Presidente Biden ha commentato la decisione della Corte definendola «crudele» verso le donne e invitando l’elettorato democratico a una mobilitazione. Eppure, è evidente che un’analoga mobilitazione non mancherà neanche tra le file più conservatrici del Partito Repubblicano, galvanizzate dalla vittoria in una battaglia multidecennale. La divisione politica su un diritto è già di per sé una sconfitta di chi considera questo diritto universale.
Ci si deve quindi porre una questione più complessa: come mai in una società come quella USA, in cui il movimento MeToo ha imperversato colpendo senza prove e senza processi personalità e celebrità, in cui la political correctness detta legge fino al punto da far dichiarare a Tom Hanks «non credo che oggi la gente accetterebbe l’inautenticità di un eterosessuale che recita la parte di un omosessuale», come mai, dunque, è possibile che venga colpito un diritto così essenziale per la causa femminile, e che questo avvenga tra il giubilo di una parte rilevante della popolazione? Davvero, nel profondo, gli americani sono in buona parte bigotti e sciovinisti, e quelle che noi vediamo sono solo manifestazioni parziali e superficiali di una parte “progressista” che ha potere ma che non rappresenta tutti?

Forse sì. Ma io credo che il problema sia anche un altro.
Noi di Hic Rhodus abbiamo già parlato di aborto, non relativamente agli Stati Uniti, ma a come, in Italia, sia un diritto subdolamente contrastato e nei fatti ampiamente negato a causa di una legge sull’obiezione di coscienza che andrebbe cancellata oggi. Il peso insopportabile dell’influenza vaticana su questo paese non è certo una novità, eppure gli pseudo-movimenti “pro-vita” in Italia non hanno il rilievo e la visibilità che hanno in USA, dove oltretutto la maggioranza degli attivisti antiabortisti è di sesso femminile. L’ipocrisia della cosiddetta “obiezione di coscienza” da noi è un efficace mezzo contro quello che l’ampia maggioranza della popolazione considera un diritto fondamentale.

L’aborto non è, e non deve essere visto come, un diritto delle donne. L’aborto è uno dei casi in cui si attua il diritto fondamentale di tutti noi a disporre liberamente di noi stessi. Quando si tratta di una scelta fondamentale per la propria vita come diventare un genitore, e di un impegno personale che per tanti mesi trasforma radicalmente e condiziona il proprio corpo, la libertà personale è l’unica fonte legittima di decisione. Far riconoscere questo diritto non è una battaglia femminista, ma liberale, e la sua accettazione è parte del mio diritto a essere libero, chiunque io sia. Questo è ciò che accomuna, e deve accomunare, il riconoscimento del diritto all’aborto, al matrimonio omosessuale, all’eutanasia: non come diritto delle donne, degli omosessuali, dei malati, ma come parte integrante di un unico diritto, di tutti.

Anche per questo, abbiamo preso più volte posizione contro, invece, la pretesa di stampo politically correct di imporre “diritti speciali” per ciascuna categoria, quel tipo di pretesa che sta dietro la dichiarazione di Tom Hanks che ho citato prima. Diritti “speciali” non ne esistono, e la loro rivendicazione in nome dell’inclusività crea esattamente l’opposto, nicchie “esclusive” di ricerca di rendite di posizione, vincenti o perdenti a seconda dei rapporti di forza. E la frammentazione della nozione di “diritto” è antitetica alla rivendicazione dei diritti “veri”, che come tali sono uguali per tutti e si declinano nelle diverse condizioni in cui ciascuno di noi si trova.

Il diritto all’aborto non è una questione di parte, o di genere. È un principio sul quale tutti abbiamo motivo di concordare e che tutti abbiamo ragione di difendere, indipendentemente dalla politica e anche dalla religione. Averlo sottratto a questa universalità e declassato a questione politica, da regolare “democraticamente”, è il misfatto fondamentale commesso dalla Corte Suprema.
La mobilitazione che oggi è necessaria, non solo in USA, a causa di questa sentenza sarà vincente solo se saprà recuperare questa dimensione universale dell’ aborto come parte dei diritti umani.

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