Ho capito il diritto di tribuna. Non solo è un principio democratico e liberale, ma indubbiamente è necessario nei sistemi elettorali fortemente maggioritari (non è il caso dell’Italia) dove liste minori, ma comunque abbastanza rappresentative di territori e istanze specifiche, rischierebbero di non avere esponenti nel Parlamento. In Italia, col pessimo Rosatellum, ogni partito solitario che prenda il 3% su base nazionale ha diritto a seggi; se è in coalizione gli basta l’1% (a patto che la coalizione raggiunga il 10%). I problemi quindi sono due:
1) accettare di entrare in una coalizione e, ovviamente, essere accettati;
oppure:
2) rappresentare almeno il 3% degli italiani (a livello nazionale può significare che si vale zero in una parte d’Italia ma 5, 6 o 7% in altre; questo vale per partiti molto personalizzati, quello di Renzi, quello di Mastella…).
Direi che se una forza politica schifa le coalizioni esistenti o è da queste schifata (perché troppo estremista, perché ha un programma inaccettabile…) e non riesce a convincere il 3% di elettori, beh… mi pare anche giusto che non abbia seggi, senza andare inutilmente a popolare il gruppo misto con una pletora di atomi identitari insignificanti, buoni solo per prestarsi alla compravendita di voti in caso di crisi.
Eppure…
Eppure la tentazione di presentarsi, di fondare una lista, alleandosi fra individualità senza alcun seguito per fare massa e provare il brivido di una conferenza stampa, di un trafiletto con foto su qualche giornaletto, e vuoi mettere le soddisfazioni delle loro mamme?
In alcuni casi, almeno, c’è una tradizione storica: penso alla frantumazione di comunisti e post comunisti, che onestamente mi sembrano un po’ patetici ma, per carità, alle spalle c’è (o sembra esserci, che è più corretto) una storia secolare e fior di pensatori. Ma più spesso c’è semplicemente il nulla, il vuoto, la pura chiacchiera, l’esaltazione narcisista, la fantasia paranoide. Un nugolo di Narcisi, di “Io so’ io…”, di Unti dal Signore che somigliano a quei predicatori fondamentalisti sotto il tendone che si vedono in certi film americani; e anche qui c’è tutto: il politico apocalittico, il codazzo di groupie, il tendone (da circo)…
Questa – sarò lapidario – non è politica ma anti-politica. Concetto importante che vorrei riepilogare, assieme ai suoi cugini, perché stiamo assistendo a tutta questa gamma di perversioni della politica vera, seria, razionale e costruttiva:
a-politico: indifferente alla politica (non necessariamente contrario o ostile); non interessato, apatico, non informato e non interessato a tale informazione; probabilmente non va a votare per disinteresse (e forse ignoranza);
impolitico: politicamente inopportuno e poco accorto (Gabrielli), e quindi ingenuo (o stupido, o malevolo) e dannoso (niente a che vedere con Le considerazioni di un impolitico di Thomas Mann); sono impolitici gli esagitati che a una manifestazione spaccano d’impulso un parabrezza o una vetrina, come i senatori che inscenarono la gazzarra dello spumante e della mortadella alla caduta del Governo Prodi; a livello popolare sono ‘impolitici’ per esempio gli atteggiamenti di astensione dal voto “perché tanto non cambia niente, sono tutti uguali, comandano sempre loro”;
prepolitico: concetto nato con Locke (‘600) che nei significati attuali ha a che fare con una riflessione politica senza prassi conseguente (nei suoi significati positivi, più rari) oppure con una riflessione politica inconsistente o incompiuta (nei suoi significati negativi, più usuali); per esempio votare per appartenenza (“la mia famiglia è sempre stata di sinistra quindi anch’io voto a sinistra”), oppure condurre analisi politiche vincolate a un’ideologia e quindi con sintesi scontate, o anche utilizzare un linguaggio stereotipato e ricco di cliché;
antipolitico: anche se il termine ha molteplici significati, anche positivi, assumo qui il significato prevalente nel dibattito di questo periodo intendendolo secondo la definizione di Carlo Galli:
Avversione e disprezzo per le forme e le attività della politica, e per i suoi protagonisti singoli (i politici), collettivi (i partiti), e istituzionali (i poteri pubblici).
La pagina politologica è finita. Adesso la mettiamo in pratica osservando la stratosferica congerie di liste che stanno cercando di presentarsi alle prossime elezioni, alcune antipolitiche, alcune prepolitiche, e perfino qualcuna impolitica. Evitiamo di mettere in elenco i partiti e movimenti più grandi e noti, e ci concentriamo sugli scalpitanti Narcisi che cercano freneticamente un posto al sole (fonte, con mie elaborazioni):

Attenzione: alcuni di questi partiti, per ragioni diverse, non riusciranno a partecipare alla competizione elettorale. Ma ci sono. Esistono. Hanno canali di informazione (pensiamo solo a Paragone e alla sua estrema capacità di costruire notizie false riscuotendo grande ascolto e seguito) hanno protezioni, sponsor, quotidiani e canali YouTube. Forse qualcuno non arriva in Parlamento, ma con la sua opera informativa o disinformativa contribuisce a creare orientamenti e sentimenti che si rifletteranno nel voto popolare.
Probabilmente il quadro è incompleto e in divenire. Rappresentano comunque piuttosto bene il mix di incultura politica, personalismo, estremismo e desolazione che attraversa la Penisola.