Il disegno di legge di bilancio è stato approvato dal CdM e adesso va alle Camere. Un impegno di 35 miliardi di Euro, non pochi, dei quali 22 per contrastare il caro-energia (ma solo per tre mesi: i 22 miliardi ci faranno solo scavallare l’inverno poi… si vedrà). Come ovvio, il problema ormai insostenibile, in mancanza di qualunque forma di lungimiranza nell’ultimo decennio, viene non già risolto ma semplicemente tamponato correndo a mettere una toppa puramente finanziaria, alla stregua di altre nazioni europee, certamente. 35 – 22 = 13, e già diventa una manovrina. Di questi 13, ben 5 vanno alla riduzione del cuneo fiscale e, per quel che mi riguarda, non posso che dire “evviva!”, anche se l’effetto concreto nelle buste paga dei lavoratori sarà infimo. 13 – 5 = 8, e qui siamo agli spicci dove si sono ficcate in manovra molte cose inutili e di bandiera, com’è ovvio che sia (“ovvio”, ma non giusto, non razionale, non necessariamente da accettare). Una cosa che colpisce (ma solo un ingenuo come me) è il sostanziale rinvio di problemi importanti: sugar e plastic tax, per esempio, la questione del superamento della legge Fornero (fortemente voluto dalla Lega) per la quale si procede con una soluzione ponte per il 2023, poi si vedrà; ma specialmente per il reddito di cittadinanza (RdC), per il quale si è congegnata un’altra soluzione ponte per transitare nel 2023 con alcune strette non eccessivamente drammatiche, rinviando all’anno prossimo l’ideazione di una riforma organica della previdenza che includerebbe l’abolizione del RdC a partire dal successivo 2024.
È indubbio che un governo con un mese esatto alle spalle non poteva tirar fuori dal cappello chissà quale coniglio, e questo è una parte di scusante accettabile. D’altro canto, i famosi economisti di destra (che non ci sono) avrebbero dovuto avere un discreto elenco di misure e proposte bell’e pronte, già dichiarate nel programma (dove non c’era che propaganda), con contezza dei problemi, risorse disponibili e vincoli, e quindi ci si sarebbe dovuto aspettare qualche slancio di più, rispetto alle sciocchezzuole messe in manovra, due spicci qua, tre là, per accontentare simbolicamente Salvini e Berlusconi (e comunque son spicci nostri, di noi italiani, e averli buttati fa leggermente irritare).
Insomma: molti euro per contenere il caro-bollette e sostenere le fasce deboli, sì, ma senza logiche strutturali, organiche, che diano un segno chiaro di svolta:
Con il ritorno dell’inflazione, e la prospettiva di uno scenario di stagflazione, la difesa dei redditi medio-bassi è il campo in cui si misurano l’efficacia e il consenso dell’azione di governo. Non a caso, il governo ha cercato di mostrare un volto di destra sociale e attenta alle esigenze dei lavoratori, ad esempio con il rinnovo del contratto del comparto scuola (100 euro in più al mese per 1,2 milioni di dipendenti). Oppure con l’aumento dell’Assegno unico per le famiglie numerose. Ma anche i provvedimenti più contestati, come ad esempio i condoni indicati dall’opposizione come un favore agli evasori, sono stati presentati dal governo come una misura “sociale” per aiutare chi non può pagare le “cartelle” a causa della crisi. (Luciano Capone sul Foglio)
Vorrei comunque fare una piccola riflessione sul RdC. Abbiamo riso all’annuncio dell’abolizione della povertà fatta da Di Maio nel settembre 2018, ma mi preoccupa oggi il fronte che, ignaro dei dati (o indifferente a essi) che dimostrano senza ombra di dubbi il sostanziale fallimento della misura, criticano il governo suggerendo il nuovo slogan: “Hanno ripristinato la povertà” (così Stefano Feltri direttore di Domani; Chiara Saraceno si esprime in modo simile).
Anche se gli interventi ponte per il 2023 vanno indubbiamente verso una stretta, rispetto all’attuale regime, non si tratta poi di grande cosa (se non fosse per la scemenza della riduzione a chi sarebbe occupabile), mentre a regime, nella volontà dell’esecutivo, c’è una riforma complessiva del sistema previdenziale. Che siano poi in grado di farla, farla bene, etc., è tutto da vedere, ma non è corretto stracciarsi le vesti per l’intervento sul RdC per nascondere, in realtà, una critica a priori verso il governo di destra.
Cosa succede al RdC per il 2023 (nella proposta del governo, ché ora si va alle Camere che, ci si può immaginare, proporranno cambiamenti)?
Dal 1° gennaio 2023 alle persone tra 18 e 59 anni (abili al lavoro ma che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età) è riconosciuto il reddito nel limite massimo di 7/8 mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili. E’ inoltre previsto un periodo di almeno sei mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale. In mancanza, decade il beneficio del reddito. Si decade anche nel caso in cui si rifiuti la prima offerta congrua. (fonte)
La platea di persone interessate è modesta, la riduzione parziale, e per il resto non si tocca (per il 2023) l’impianto generale. Si può essere contrari a queste misure, ovvio, ma non c’è alcun ripristino della povertà.
La vera sfida, ripeto, è per una riforma strutturale, se e come questo esecutivo sarà in grado di farla (laddove non c’è riuscito nessuno dei governi precedenti, di sinistra, di destra, populisti o tecnici); se sarà in grado di farla con sapienza ed equità, e non solo all’insegna ideologica di una “punizione” verso i 5 Stelle. A mio avviso i temi chiave di una riforma vera, e sperabilmente equa (che in questo caso significa più efficace) sono due:
- la separazione degli interventi sul mercato del lavoro da quelli per il contrasto della povertà. Da decenni si tentano riforme che sostengano il mercato del lavoro, con spese anche ingenti, ma, com’è noto, il lavoro non si crea per decreto, come titolò Elsa Fornero un articolo sul Foglio (luglio 2018), spiegando l’enorme complessità e intrecci di sottosistemi che rendono davvero complicato, per un governo (qualunque) sostenere politiche espansive in questo settore, specialmente a fronte dell’enorme debito pubblico, dell’inflazione, etc.;
- la sistematizzazione degli innumerevoli interventi, oggi separati, a favore di ceti sociali deboli, o in particolari situazioni di fragilità. Elenco incompleto: Pronto intervento sociale, Fondo povertà, Reddito di inclusione, Reddito di cittadinanza, PUC – Progetti Utili alla Comunità, Reddito di emergenza, misure per i senza dimora, misure per i disabili… (fonte). Ci sono persone, o nuclei familiari, che percepiscono una pluralità di benefici, altre nessuna. Occorre meditare sul diverso significato di povertà assoluta e relativa; capire che “povertà” e “lavoro” sono termini differenti, e non sono pochi i lavoratori poveri (e in questo sta la scemenza detta sopra: non è che se uno ha un lavoro – quale? di che tipo? – è certamente “ricco” e non ha bisogno di sostegno). Occorrono strumenti di verifica ex ante delle reali condizioni del richiedente, e poi strumenti in itinere per verificare l’impatto delle misure erogate. Occorre immaginare che l’intervento economico è rilevante, ma che altrettanto lo sono i servizi disponibili quali la presenza sul territorio di nidi e materne, di trasporto pubblico (semmai gratuito per i bisognosi), e di ogni altro aiuto indiretto. Insomma: un lavoro ciclopico.
Comunque la posta in gioco è rilevante se pensiamo che le persone in povertà assoluta sono, in Italia, al massimo storico (5,6 milioni di cittadini, fonte). A costoro occorre dare una risposta, non chiacchiere. Per quanto mi riguarda, se – putacaso – il governo di destradestra meloniano riuscisse a fare una buona riforma, diciamo accettabile, capace di fare meglio del (poco e male) fatto dal RdC, migliorando le condizioni di vita di un più ampio numero di bisognosi, io applaudirei. Ne dubito fortemente, sia chiaro, ma la critica si dovrà fare sui fatti, non sui pregiudizi preventivi.