Viva la RAI? No, non è la BBC

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In questo post, vorrei dedicare qualche riflessione a una vicenda emblematica: la controversia sul taglio di 150 milioni di Euro “imposto” dal Presidente del Consiglio Renzi alla Rai. Si sono infatti visti all’opera tutti insieme fenomeni di cui abbiamo parlato in diverse occasioni: l’inclinazione del Governo ad annunciare tagli di spesa “virtuali”, il coalizzarsi delle diverse forze che contrastano qualsiasi richiesta di maggiore efficienza della cosa pubblica, la consolidata abitudine dei sindacati di schierarsi dalla parte di una categoria e non della collettività, il tutto praticamente senza mai entrare nel merito. Vediamo quindi se davvero Renzi stia chiedendo alla Rai un sacrificio sproporzionato, magari per arrivare a “svendere” RaiWay come sostiene Roberto Fico, presidente della commissione di Vigilanza della Rai.

Innanzi tutto, proviamo a capire esattamente cosa stia chiedendo Renzi alla Rai, e se si tratti di un colpo più o meno sanguinoso alle finanze di questo ente.

La materia del contendere è contenuta nel Decreto Legge n. 2014/66, che nell’articolo 21 si occupa della Rai. Vale innanzitutto la pena di osservare che il Decreto non riguarda specificamente la Rai, bensì l’adozione di una serie di misure legate alla riduzione della spesa pubblica (ad esempio, l’articolo 8 prevede una riduzione di 2,1 miliardi di Euro nella spesa per acquisti di beni e servizi, l’articolo 9 riguarda l’aggregazione degli acquisti attraverso la Consip e centrali di committenza regionali e l’articolo 13 riguarda i tetti di retribuzione per i dirigenti pubblici). Si tratta insomma di alcune delle misure a suo tempo annunciate dal Governo (v. anche la nostra analisi di quanto elaborato dal commissario alla spending review). Ebbene, per quanto riguarda la Rai, il decreto riduce di 150 milioni di Euro le somme che lo Stato le trasferisce per l’anno 2014, e rimuove alcuni vincoli su quello che essa può fare per assorbire questo taglio, in particolare autorizzandola a vendere sul mercato quote di società partecipate (in sostanza, di RaiWay). La riduzione è probabilmente una forzatura dello scopo dell’imposta da cui si prelevano i trasferimenti verso la Rai, ma va sottolineato che il Governo non ha indicato come indispensabile una vera riduzione dei costi operativi dalla Rai, sia perché il taglio dei 150 milioni è (almeno per ora) una tantum, sia perché appunto la Rai potrebbe compensarlo con la dismissione di asset patrimoniali.

Naturalmente, in una TV pubblica i soldi non sono tutto. La Rai, come sentiamo spesso ripetere in questi giorni, è un servizio pubblico, e un parametro di giudizio importante è la qualità dei programmi che offre, visto che i suoi scopi non sono prevalentemente commerciali. Purtroppo, la mia opinione è che difficilmente questo parametro possa essere utilizzato a beneficio della Rai: i suoi programmi raramente la distinguono in modo netto dalla qualità media delle TV commerciali. Questa è anche l’opinione del pubblico italiano, se vogliamo credere a uno studio commissionato appunto dalla BBC che confronta tra l’altro la soddisfazione dei telespettatori di diversi Paesi:

survey on TV quality Come si vede, l’Italia è il Paese dove il più basso numero di intervistati giudica la TV pubblica (PSB) “molto buona”. Quindi, forse il tasto della qualità è meglio non toccarlo.

Ma qual è la situazione del bilancio della Rai, e quanto pesa questa riduzione nei trasferimenti? Ci sono spazi strutturali per incrementare l’efficienza dell’azienda Rai? Per capirlo meglio, ho attinto tra l’altro a un eccellente articolo su lavoce.info, che mette a confronto la Rai con la BBC e ha anche il merito di ricostruire alcuni dati non sempre semplici da recuperare (basti osservare che siamo a giugno 2014 e sul sito della Rai non è ancora stato pubblicato il bilancio 2013, di cui pure sono stati annunciati alla stampa i dati salienti  già da circa due mesi).  Per le valutazioni di dettaglio farò quindi necessariamente riferimento, come fa anche l’articolo che indicavo, al bilancio 2012; sul bilancio 2013 dirò solo che è in lieve attivo, quindi in netto miglioramento rispetto al 2012, peraltro anche a seguito di un’operazione di riduzione del personale voluta dal DG Gubitosi, che obiettivamente è anche colui che ha reagito in modo più ragionevole al decreto.
Quello che è però importante è notare che tutti coloro che commentano i bilanci Rai osservano che gli anni difficili sono quelli “pari”, perché ci sono le grandi manifestazioni sportive (Olimpiadi o Mondiali di calcio) che comportano pesanti costi per i diritti TV e le produzioni. Su questo tornerò dopo.

Ispirandoci appunto all’articolo di lavoce.info, analizziamo quindi alcuni dati prelevati dal bilancio 2012 della Rai, da quello 2012-2013 della BBC, e dal bilancio 2012 di Mediaset, per confrontare la Rai con una “best practice” europea e col suo principale concorrente italiano. Inoltre, il confronto con Mediaset è opportuno anche perché, mentre la BBC è quasi interamente sostenuta dal canone, la Rai ha come sappiamo un modello “semi-commerciale” e dovrebbe quindi collocarsi idealmente tra BBC e Mediaset. Per Mediaset dove possibile ho utilizzato i soli dati relativi alle “attività televisive integrate”, come definite nel documento di bilancio. Una sintesi di alcuni dati significativi è riportata nella tabella qui sotto, dove le voci economiche sono espressi in milioni di Euro, convertendo quelli della BBC originariamente in sterline:

tabella sintesi

Già da questi numeri si vede che la Rai, per numerosità e costo del personale, è molto lontana non solo da Mediaset, ma (in proporzione al fatturato) anche dalla BBC. Questa difformità è particolarmente evidente nel grafico qui sotto, che evidenzia come i costi del personale della Rai incidano sul totale in misura proporzionalmente più che doppia rispetto a Mediaset e nettamente superiore anche alla BBC. grafico costi personale Tuttavia, la differenza tra Rai e BBC nell’incidenza delle retribuzioni non è solo legata al numero di dipendenti: la Rai ha un’incidenza nettamente più elevata di retribuzioni alte o altissime (non dispongo di dati relativi alle retribuzioni dei manager Mediaset, che però in quanto azienda privata risponde ad altre logiche specie per le figure manageriali).

La tabella qui sotto, presa sempre dall’articolo di lavoce,info, mostra la distribuzione delle retribuzioni (in migliaia di Euro) dei dirigenti della BBC e della RAI (quest’ultima ha in organico 622 dirigenti contro i 444 della BBC, che pure ha un totale di dipendenti molto più elevato): tabella retribuzioni RAI BBC Come si vede, la Rai oltre ad avere più dirigenti ne ha anche alcuni retribuiti a livelli altissimi (4 sopra i 500.000 Euro annui). Di questi, due in realtà superano anche i 600.000 Euro. Naturalmente ora, appunto col decreto citato, è entrato in vigore il tetto degli stipendi pubblici a 240.000 Euro, ma vedremo se non si troverà modo di aggirarlo.

E, infine, dove la Rai potrebbe trovare i famosi 150 milioni? Difficile dare una risposta certa dall’esterno. Tuttavia alcune considerazioni sono inevitabili:

  1. 150 milioni sono circa il 5,7 % del bilancio della Rai. Onestamente, è difficile pensare, anche solo alla luce delle osservazioni precedenti, che sia così arduo individuare un 5% di sprechi su cui intervenire subito; basti pensare che lo stipendio di oltre 500.000 Euro che risalta nella colonna relativa ai giornalisti della tabella qui sopra riguarda l’attuale senatore di Forza Italia Augusto Minzolini, le cui virtù giornalistiche esulano dall’argomento di questo post ma le cui prebende facevano impallidire i più ricchi giornalisti BBC anche dopo che Minzolini è finito “in panchina”. Allo stesso modo, è difficile credere che la Rai non possa razionalizzare le spese che effettua per acquistare servizi esterni; secondo un’inchiesta dell’Espresso,  riportata anche da altri organi di stampa, l’Antitrust e la Procura della Repubblica di Roma starebbero indagando sulla conduzione di gare d’appalto nelle quali, gestendole correttamente, “la Rai avrebbe potuto risparmiare centinaia di milioni di euro”. Teniamolo presente, indipendentemente dagli aspetti giudiziari, specie considerando che spesso i servizi esterni vanno a scapito delle competenze del personale interno, come ricorrentemente (e in questo caso a ragion veduta) i sindacati denunciano.
  2. Non è mica detto che la Rai debba per forza risparmiare 150 milioni: potrebbe incassare di più dal mercato della pubblicità. Mi sembra emblematica la constatazione, che ricorre in moltissime analisi, del pesante aggravio che negli anni pari il bilancio Rai subisce a causa dei costi relativi ai grandi eventi sportivi. Peccato che a questi costi non corrisponda però un’adeguata valorizzazione del prodotto in termini di entrate (pubblicitarie). Sempre facendo riferimento al bilancio 2012, è facile osservare che le entrate della pubblicità televisiva della Rai sono calate del 23,7% rispetto al 2011, mentre quelle di Mediaset sono calate “solo” del 16%, nonostante il fatto che nel 2012 la Rai abbia trasmesso Olimpiadi ed Europei di calcio (nei quali l’Italia ha raggiunto la finale!). Quindi, nel 2012 la Rai non solo ha speso di più per i diritti, ma ha perso quote di mercato pubblicitario anziché guadagnarne, il che è inammissibile. Se la perdita fosse stata in percentuale pari a quella di Mediaset (quindi a mio avviso ugualmente insoddisfacente), la Rai avrebbe incassato circa 65 milioni in più. Una bella fetta dei famosi 150.
  3. Infine, e solo infine, la Rai può dismettere parte delle quote RaiWay, o altri asset. Può farlo se non riesce a ricavare tutti i 150 milioni dalle azioni per ridurre i costi e aumentare le entrate, e non deve necessariamente cedere una quota di controllo. Però è chiaro che una Rai credibile nel razionalizzare e rendere più efficiente la propria gestione è anche un contraente più forte in un’eventuale trattativa per la cessione di parte dei suoi asset esterni. Gubitosi ha già comunque avviato le attività per portare RaiWay alla quotazione in Borsa entro l’anno; si tratta peraltro di un’operazione che Mediaset ha già effettuato alcuni anni fa (oggi Berlusconi ha conservato il 40% di EI Towers).

In conclusione, la Rai non può pretendere di essere un centro di spesa isolato dalle difficoltà economiche del Paese. Tanto meno può pretenderlo di fronte all’evidenza della modesta qualità dei programmi, del calo della raccolta pubblicitaria non imputabile interamente alla crisi, delle spese come minimo ampiamente razionalizzabili (senza chiamare in causa il codice penale). La Rai dovrebbe piuttosto chiedersi se restituisce al Paese un valore corrispondente ai soldi che dalle tasche dei cittadini finiscono a finanziare dirigenti superpagati, società esterne che spesso duplicano competenze del personale interno, strutture ridondanti.

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