Dichiaro subito che la mia massima aspirazione è fare assolutamente tutto ciò che mi pare. Credo che questo sia il migliore incipit al presente articolo perché sono certo di essere in buona compagnia, e in questo modo spero di avere catturato la vostra attenzione e benevolenza perché purtroppo, a partire da tale aspirazione, dovrò condividere con tutti voi l’impossibilità di realizzarla completamente. Poiché siete amici vi risparmio tutta la pletora di teorie socio-antropologiche su come siamo finiti, nei millenni, a costruirci una gabbia sempre più fitta di regole (che hanno molto a che fare coi doveri e un po’ coi diritti); sapete, io non uccido voi e voi non uccidete me, io non vengo a rubare la tua mucca e tu non provi a stuprare mia sorella… dopodiché se qualcosa va storto (succede spesso) c’è un giudice che chiarisce le colpe e le pene conseguenti… Poiché Hic Rhodus è un blog sostanzialmente politico salto anche tutta la parte giuridica, o meglio: di filosofia del diritto, e arrivo al nocciolo della questione che esprimerò in questo modo: perché così pochi diritti?
Non so se sembra solo a me, di avere pochi diritti (naturalmente sto parlando di diritti fondamentali, quelli definiti diritti della persona, diritti umani, diritti universali…). Ah, beh, ho diritto di votare se trovo un’offerta politica decente, di viaggiare se posso permettermelo, di leggere i libri che voglio e di sposarmi con chi accetta di condividere il mutuo con me, ma sinceramente non mi basta. Per esempio: se invece di sposarmi con una bella signorina volessi dividere la mia vita con un baldo giovane non potrei, almeno non ufficialmente; se, malato terminale, dopo avere detto serenamente addio ai miei cari volessi porre fine alla mia sofferente esistenza, comunque condannata, non potrei; se avessi difficoltà, con la mia giovane moglie, ad avere figli, non potrei accedere alla fecondazione eterologa; perfino una bazzecola come parlare male di una divinità nella quale non credo mi è preclusa, anche se qui al massimo rischio una multa…Certo, molti di voi stanno pensando a qualcosa del genere: “io sono etero e non mi interessa sposare un gay, sono sano come un pesce e non mi voglio terminare, ho già due bei bambini e il mio contributo alla specie l’ho già dato e in quanto a bestemmiare è molto volgare e non lo farei comunque, quindi questo discorso non mi interessa”.
Ritengo che voi ragioniate male, se ragionate così, e voglio provare a convincervi. Per farlo occorre una piccola e breve digressione sulla differenza fondamentale fra diritti e doveri, solo per segnalare che i primi sono individuali e riguardano se stessi, mentre i secondi sono collettivi e si riverberano sulla collettività. I primi sono ascritti a ogni essere umano a prescindere da una concessione dello Stato, mentre i secondi sono stabiliti a partire da un’organizzazione sociale e in virtù di quella. Per esempio il dovere di pagare le tasse riguarda tutti, nessuno escluso (tranne incapienti etc., non sottilizzate per favore!) e ha l’effetto di provvedere disponibilità finanziarie alle Autorità che devono poi riempire le buche delle strade a beneficio della collettività. Il mio beneficio personale (non rompere il semiasse su una buca) passa attraverso un patto sociale (obbligatorio) per cui non sono io a riempire la buca, ma provvede l’autorità che incarna tutti noi, il potere cui abbiamo delegato questo e altri obblighi verso tutti noi (non verso ciascuno, bensì verso tutti). Questo meccanismo si estende a tutti i doveri.
Ho il dovere di non rubare, perché non voglio essere derubato, e visto che abbiamo pochissima fiducia in noi stessi non basta darci la mano ma stabiliamo che ci siano leggi, guardie, e giudici, e prigioni. Dopodiché non mi è consentito fare eventualmente giustizia da solo, e quindi il dovere dell’onestà è garantito da regole collettive.
I diritti individuali (diritti della persona, diritti universali…) di cui parlo, invece, non hanno nulla a che fare con questo meccanismo che, in quanto collettivo, è normato, vigilato ed eventualmente sanzionato. Il mio diritto a viaggiare, per esempio, riguardando solo me stesso non ha alcun “filtro” collettivo: salgo in macchina e vado dove voglio (tranne che in Paesi liberticidi, appunto). Posso votare o non votare e nessuno mi sanziona, e il mio voto è segreto e posso realmente votare chi mi pare. Ne ho il “diritto”. I diritti riguardano quindi la mia espressività in quanto persona, la possibilità di estendere il mio io. Hanno a che fare con quella “ricerca della felicità” entusiasticamente affermata dalla dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti. Ed è questo il problema.
È un problema perché di gente strana in giro ce n’è molta e… come dire? qualcuno potrebbe avere aspirazioni davvero bizzarre, o pericolose per qualcuno, per esempio fare sesso con tutte le donne incontrate per strada o fare i giustizieri della notte e sparare all’impazzata su tutti gli uomini con la barba. Naturalmente sto solo facendo confusione, perché il piacere individuale di sparare si scontra col diritto collettivo a vivere pacificamente, e quindi questo e altri desideri sono impediti a monte dalla legge. Apparentemente quindi potremmo dire che la relazione fra individuo che vuole soddisfare i propri desideri, e collettività che si protegge (proteggendo quindi tutti gli individui) è molto a vantaggio della seconda, e infatti c’è una quantità di leggi che impediscono di fare innumerevoli cose e pochissime che dicono “in questo caso fate qual che vi pare”.
Ci sono, insomma, delle aspirazioni, dei desideri, delle “libertà” cui collettivamente rinunciamo perché pensiamo che – pur piacendo a un singolo individuo – portino danno ad altri. L’esempio della pedofilia è chiarissimo; non è stata sempre giudicata male, in alcune epoche e in alcuni Paesi è stata praticata, e ancora recentemente nella civile Europa c’è chi ha tentato di legalizzarla o quanto meno di promuoverla. Indipendentemente da questi casi particolari, perché la pedofilia genera orrore e viene perseguita? Perché non solo esistono pareri psichiatrici ormai generalmente accettati sull’essere la pedofilia un disturbo della sfera sessuale ma – ed è questo il motivo dirimente – perché le legislazioni occidentali considerano centrale la tutela del minore che viene considerato, nell’ambito di un rapporto pedofilo, vittima incapace di difendersi, anche laddove si dichiari consenziente (e non dico altro se no perdo il filo…).
Sarei pronto a scommettere che a qualcuno di voi viene in mente la massima di Martin Luther King che recita “la mia libertà finisce dove incomincia la tua”, che ha illustri antecedenti:
Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri) (Immanuel Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto)
e anche:
La libertà dell’individuo va limitata esattamente nella misura in cui può diventare una minaccia a quella degli altri (John Stuart Mill, Sulla libertà)
eccetera, ma mi chiedo: chi stabilisce quando esattamente tu hai varcato il confine e stai minacciando la mia libertà? Faccio un esempio spinosissimo che non tratterò a fondo per non ficcarmi in un ginepraio: i valsusini che difendono la loro valle dalla TAV, difendono veramente i loro diritti? Al netto di una discussione che qui non possiamo fare sulla reale importanza e strategicità dell’opera per il Paese (l’Italia), non potrei forse dire che loro calpestano i miei, di diritti, impedendomi di godere, come italiano, del progresso e dello sviluppo economico che quell’opera consentirebbe? Ogni volta che un gruppo locale protesta in ottica NIMBY per difendere i propri diritti, non va a calpestare un pochino quelli degli altri?
Il problema è irresolubile perché ha a che fare con la complessità sociale (fenomeno esponenzialmente crescente e sostanzialmente nuovo) che posso proporvi così:
Il concetto di complessità sociale […] viene usato per riferirsi, talora partitamente ma a volte in modo congiunto, a molteplici referenti, quali: il grado di interdipendenza oggettivamente osservabile tra membri o componenti strutturali di una società; la varietà e variabilità dei mutamenti di stato d’una società; […] (Luciano Gallino, voce Complessità sociale dell’Enciclopedia Treccani).
C’è molto di più, ma questo mi basta per segnalarvi che un sempre più alto numero di componenti sociali (persone che agiscono svariati ruoli + gruppi, associazioni, sistemi e sotto-sistemi sociali) moltiplicato il “numero e varietà delle relazioni di scambio informazionale, materiale e simbolico tra i componenti della società” (Gallino) finiscono col produrre un intreccio sovrapposto e non facilmente riducibile di “diritti”. Il moltiplicarsi di persone o gruppi con diversi interessi (e quindi una valorizzazione diversa di danno/guadagno) rende impossibile applicare con semplice buon senso la massima di Mill vista sopra.
Ciò che chiamiamo disinvoltamente “diritti” sono quindi più spesso diritti-specifici, diritti-antagonisti, diritti per qualcuno contestabili da qualcun altro (a torto o a ragione) in un gioco che non è mai a somma zero.
Ora torno agli esempi fatti in apertura, e vi chiedo: l’eventuale matrimonio gay chi danneggia? Quale categoria di persone viene tutelata vietandolo? E l’eutanasia? Se la richiedo espressamente e liberamente, per quale ragione mi viene negata? Eccetera. Comprendete che non c’è alcun motivo di tutela sociale in queste proibizioni. Con la fecondazione eterologa non danneggio nessuno, non tolgo nulla a nessuno: non provoco danni, non tolgo privilegi, non provoco costi sociali. E così per il matrimonio gay o per l’eutanasia. In realtà tutti questi comportamenti, oggi illegali e che io pretenderei come diritti, creano un solo problema che dobbiamo attentamente considerare: offende – così dicono – la sensibilità dei credenti in religioni in cui la divinità – così dicono – ha proibito queste pratiche. In realtà è molto di più. Non si tratta della generica sensibilità dei credenti, ma di quella del loro Dio. Poiché costoro credono in Dio, sanno con estrema e intima convinzione che Lui non vuole certe cose. E poiché Dio è assoluto, e la sua legge indiscutibile, e grande è il timore che genera (anche l’amore, sì…) la “sensibilità” si trasforma in un dovere, il dovere di far sì che la Sua Legge sia rispettata.
Eh no! Questa è tutt’un’altra cosa e io non ci sto! Mi dovete scusare ma io non sono neppure pastafariano, figuratevi cosa me ne importa se una superstiziosa credenza (e qui già sono blasfemo) induce taluni a pensare che Dio vuole obbligarmi a tagliare il prepuzio, digiunare il venerdì o fornicare solo nel modo a lui gradito! Vedete, so benissimo che per i cattolici praticanti sto esagerando, ma il problema è appunto questo: io esagero perché urto i loro sentimenti; loro urtano me esagerando alla loro maniera. Ma poiché loro hanno Dio dalla loro parte e io sono solo soletto con la mia morale e la mia ragione loro mi percepiscono diminuito, scarsamente affidabile, in torto per definizione (come non si può essere in torto contraddicendo Dio?). Ciò conduce a un’assimetria insopportabile perché i veri credenti credono che la morale sia loro, l’etica sia loro, la verità, soprattutto, sia loro. Ciò in cui credo io, non essendo un assoluto, è trascurabile, meschino, falso.
Naturalmente potrei solennemente infischiarmene se non accadesse che tale loro morale plasma le regole sociali del mondo in cui vivo e, come dicevo all’inizio, mi priva di molteplici libertà. Non già la libertà di fare del male, o anche solo dei torti ad altri membri della mia comunità, ma semplicemente la libertà di vivere la mia vita come pare a me, decidere di morire quando ne avrò voglia, oppure di vivere una vita serena a fianco di un amore del mio stesso sesso, o ancora pretendere che quella croce non sia negli uffici pubblici o nella scuola di mio figlio perché rappresenta una storia di separazione e conflitto che non mi appartiene, o che la mia compagna possa restare incinta anche se in maniera non tradizionale…
La storia della separazione fra Stato e Chiesa ha compiuto passi giganteschi nel mondo occidentale, almeno comparandolo con quello arabo o con alcuni paesi orientali. Ma ragioni storiche, politiche, sociali di facile comprensione ci ha lasciati ancora abbastanza a metà del guado. Non solo in Italia ma certamente molto in Italia. La pesante e continua ingerenza della Chiesa e l’affermazione di “cattolicità” di diversi politici, l’ipocrisia anche di tanti politici laici che trovano pericoloso contraddire frontalmente la morale cattolica, lasciano ancora il nostro paese in una condizione eticamente medioevale. Perse quasi tutte le speranze sui comunisti bigotti, incapace di trovare un solo liberale scampato alla mattanza berlusconiana, vedo il problema dei diritti individuali sempre accantonato, sempre rinviato perché i problemi sono ben altri, l’occupazione (giusto), la ripresa economica (giustissimo), la riforma dello Stato (concordo!) e mai c’è tempo per discutere, se non per finta, di questioni che riguardano la libertà. E la felicità. Eppure già i rivoluzionari francesi avevano la semplice ricetta: nulla può essere vietato che non nuoccia alla società. Basterebbe avere il coraggio di ammettere che ci sono molteplici strade per la ricerca della propria felicità che non nuocciono alla società, e lasciare che ogni singolo cittadino persegua la propria.
Postilla: Ad articolo chiuso leggo sull’Unità della proposta PD, fortemente voluta da Renzi, di una legge a settembre sulla civil partnership per le unioni omosessuali. Non un “matrimonio” ma un ottimo compromesso per dare una svolta positiva alla questione. Lo trovo incredibile. Se il cattolico, “democristiano” Renzi ce la farà, vorrà forse dire che non è uno scherzo, anche in Italia possiamo progredire!