L’Italia sta perdendo l’autobus dell’Agenda Digitale

Da tempo, mentre si continua a discutere su come “incentivare la ripresa” in Italia, si sa benissimo che c’è un singolo fattore di sviluppo che può fare la differenza, e che da solo è in grado di farci raggiungere tutti gli obiettivi di crescita che l’Italia si pone: rendere reale ed efficace la digitalizzazione dell’economia e della Pubblica Amministrazione.

Questo obiettivo, tradotto a livello europeo, è al centro della cosiddetta Agenda Digitale Europea, che pone al 2020 la data in cui l’UE dovrebbe conseguire una serie di risultati in grado, complessivamente, di garantire appieno a tutti i cittadini europei i benefici della digitalizzazione di processi e servizi, e alle imprese la possibilità di sfruttare al massimo le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Come si colloca l’Italia rispetto a questo scenario?

Terribilmente indietro, purtroppo.

Ieri, 8 luglio, al convegno Digital Venice il Presidente del Consiglio Renzi ha dichiarato “Ogni Euro speso in digitale è una scommessa sul futuro”. Si sbaglia: ogni Euro (ben) speso in digitale ha un ritorno positivo certo e immediato. Le stime sono variabili, ma un paper UE ad esempio quantifica nel 7% del PIL il beneficio complessivo che l’Italia potrebbe ottenere dal raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda Digitale Europea.

È di pochi giorni fa l’allarme del Censis, che in una sua pubblicazione ha stimato in 10 milioni di Euro al giorno il costo di quello che chiama spread digitale, ossia il ritardo dell’Italia appunto sui temi dell’innovazione digitale. Una stima anche più elevata l’aveva elaborata qualche tempo fa un Osservatorio del Politecnico di Milano, e, in sintesi, non c’è dubbio sul valore economico (e non solo economico) che avrebbe per il nostro Paese, così in difficoltà nell’innovazione, mettersi al passo con una trasformazione digitale così pervasiva da far ritenere a molti (inclusi noi di Hic Rhodus) che si stiano creando le condizioni per offrire agli utenti della Rete una vera e propria condizione di “cittadinanza parallela”, per accedere alla quale occorre disporre di adeguate infrastrutture tecniche e di una serie di servizi di supporto.

Per quanto riguarda l’Italia, il costo di realizzare queste infrastrutture è stato recentemente stimato in 13 miliardi di Euro. Sembrano molti? Per fare un confronto, è decisamente meno del costo dell’Alta Velocità ferroviaria sulla sola tratta Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli (v. ad es. i dati a suo tempo pubblicati da lavoce.info). Non ci possono quindi essere dubbi sulla convenienza sistemica e sull’urgenza di questo tipo di investimenti; eppure l’Italia è il fanalino di coda di un’Europa che, essa stessa, non è più all’avanguardia (l’Agenda Digitale Europea ha appunto lo scopo di colmare il gap rispetto agli USA e ad alcune aree dell’Asia).

In cosa consiste in pratica l’Agenda Digitale Europea? In breve, individua una serie di azioni che ricadono in sette “pilastri”:

  1. Unificazione del mercato digitale
  2. Adozione di standard di interoperabilità
  3. Sicurezza delle transazioni
  4. Disponibilità diffusa di accesso a Internet veloce e ultra-veloce
  5. Ricerca e innovazione
  6. Competenze e cultura digitale
  7. Ricadute positive sulla società nel suo complesso

Nella pratica, tra gli elementi qualificanti dell’Agenda ci sono:

  • Rendere disponibile a tutti i cittadini l’accesso alle Reti di nuova generazione (NGN, Next Generation Network, o anche NGA, Next Generation Access) che offrono velocità da 30 a 100 Mbps
  • Diffondere l’utilizzo di Internet per gli acquisti sia dei consumatori finali (il normale e-Commerce tipo Amazon) che tra le aziende
  • Rendere accessibili via Internet i servizi della Pubblica Amministrazione (il cosiddetto e-Government)
  • Diffondere le competenze digitali sia in ambito lavorativo che privato

A che punto è l’Agenda Digitale Europea, e soprattutto a che punto è l’Italia? Sul sito dell’Agenda Digitale trovate tutte le informazioni dettagliate, ma c’è una breve presentazione che riassume i dati principali aggiornati al 2013, dando un messaggio complessivamente positivo. Peccato che questo messaggio positivo non valga per l’Italia: se si consulta in particolare il rapporto relativo al nostro paese, si vede che siamo costantemente nella parte bassa di tutte le classifiche. Voglio riportare qui solo due grafici, ahimè, molto eloquenti.

eGov
Fonte: European Digital Agenda da dati Eurostat

L’Italia è al penultimo posto nell’UE per la diffusione dell’e-Government. Questo riflette ovviamente sia i ritardi nella digitalizzazione dei processi della nostra Pubblica Amministrazione (ne abbiamo parlato anche recentemente), sia il relativamente scarso uso di Internet da parte dei cittadini (d’altronde, un terzo degli italiani non ha mai usato Internet).

Fonte: European Digital Agenda da dati Eurostat

Il grafico qui sopra riguarda le competenze in ambito lavorativo: il 50% degli italiani ha competenze digitali insufficienti, e anzi il 27% non ne ha affatto.

Quindi, siamo in grave ritardo proprio nel percorso che potrebbe consentirci di recuperare i nostri svantaggi di competitività (o forse questi ultimi dipendono anche, e in buona misura, da questo spread digitale).
Se è vero che i benefici derivanti dalla trasformazione digitale sono sistemici, non c’è un singolo operatore di mercato che possa considerarsi depositario della missione di accelerare la transizione di cui parliamo. Se è vero che tra i fattori tecnici abilitanti il principale è costituito dalle NGN, è anche vero che gli investimenti necessari non necessariamente sono convenienti per gli operatori di telecomunicazioni come Telecom Italia, specie in un’economia depressa. Per quanto alcuni operatori stiano comunque modernizzando le proprie Reti, offrendo (specie in aree ad alta densità di potenziali clienti) accesso a Internet su fibra o con tecnologia mobile LTE, la diffusione di queste tecnologie è ancora molto inferiore agli obiettivi UE. D’altra parte, le sole infrastrutture non bastano certo a ottenere risultati concreti senza una trasformazione del modo di progettare e gestire servizi che, specie in un Paese come il nostro, non può non coinvolgere anche lo Stato, il cui peso sull’economia e sulla vita quotidiana dei cittadini è enorme.

Da un punto di vista complessivo, gli obiettivi nazionali dell’Agenda Digitale richiedono insomma una “cabina di regia” che possa coordinare interventi pubblici e privati per portare avanti i diversi “pilastri” della strategia che abbiamo visto, e curare in particolare il programma di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione che è al centro dell’Agenda Digitale Italiana, ossia della strategia nazionale che il nostro Paese ha individuato per perseguire il passaggio al Digitale, e che si focalizza sulla “misura con cui lo Stato, insieme alle Regioni e agli Enti Locali, interviene nel processo di digitalizzazione”.

In ambito pubblico, più che in qualsiasi altro, gli ostacoli sono soprattutto di natura “non tecnica”, legati a un’organizzazione, dei processi e dei centri di responsabilità frutto di normative che andrebbero profondamente modificate, come abbiamo già discusso qui. La trasformazione della PA verso l’ “era digitale” è insomma un compito già di per sé titanico, con fortissime implicazioni politiche e giuridiche prima ancora che tecnologiche.

In particolare per “perseguire il massimo livello di utilizzo delle tecnologie digitali nell’organizzazione della PA”, nel giugno 2012 è stata costituita l’Agenzia per l’Italia Digitale, le cui vicende sono però state sinora emblematiche del ritardo italiano in questo campo. Solo 18 mesi dopo la sua costituzione, infatti, il suo Statuto è stato finalmente approvato, e da allora il Direttore Agostino Ragosa ha lasciato l’incarico, mentre Francesco Caio, che rivestiva il ruolo di Digital Champion per la Presidenza del Consiglio, è diventato AD di Poste Italiane. In sostanza, l’efficacia operativa dell’Agenzia è stata finora limitata da burocrazia e ambiguità organizzative, e  il principale risultato che è stato raggiunto in questo periodo è l’attivazione della Fatturazione Elettronica per Ministeri, Agenzie fiscali ed Enti nazionali di previdenza e assistenza sociale. L’avviamento macchinoso, le difficoltà nel darsi un’organizzazione interna e la mancanza di strumenti organizzativi ed economici davvero incisivi hanno finora segnato il percorso dell’Agenzia, e anche il Sole 24 Ore e il Corriere sottolineano i danni provocati da decisioni contraddittorie e sovrapposizioni di competenze.

Proprio in questi giorni, peraltro, il Governo deve decidere sia le nuove cariche dell’Agenzia (Direttore e Presidente del Comitato d’Indirizzo, che è l’organo “di governo” dell’ente), sia il nuovo Digital Champion che assisterà il Governo nel coordinamento delle strategie nazionali in questo settore. Si tratta di nomine cruciali, e i candidati sono ovviamente molti; per la carica di Direttore, anzi, ce ne sono oltre 150, dato che le candidature sono state raccolte con procedura pubblica. I veri papabili sono in realtà molto meno, forse solo due, e la scelta è attesa in questi giorni, forse per domani 10 luglio.

Come spesso accade in questi casi, c’è il dubbio se la figura ideale sia un “tecnico” o un “politico” (tra i candidati ci sono alcune figure di eccellenza nel settore, ma non c’è dubbio che il Direttore avrà anche un forte ruolo di interlocuzione con le istituzioni); chiunque si scelga, però, avrà l’oneroso compito di recuperare un ritardo già pesantissimo, e di far funzionare un’istituzione che è da due anni in attesa di poter operare a regime. Speriamo che si faccia sul serio, perché probabilmente non c’è oggi in Italia un argomento più importante, con buona pace di leggi elettorali e immunità parlamentari.