Auto da fé

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I jihadisti dell’Isis hanno raso al suolo il sito archeologico di Hatra, dopo Nimrud e dopo la furia iconoclasta contro le statue assire al museo di Mosul. Come scrive Giordano Stabile sulla Stampa

L’interpretazione estremista del Corano che segue l’Isis spinge i jihadisti a considerare inammissibili edifici risalenti all’epoca pre-islamica, ma anche quelli riconducibili ad altre fedi o ad altre sette dell’Islam o quelli in cui si onorano leader religiosi defunti.

Inutile deprecare dal salotto. Finché non elimineremo politicamente e militarmente questi pazzi fanatici assisteremo a teste mozzate, beni rubati e musei distrutti, oltre naturalmente agli avversari uccisi, alle donne stuprate, al terrore come normalità, all’ignoranza elevata a dogma e altre piccolezze di questo genere.

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(fonte: La Stampa; clic per ingrandire)

Ma questo scempio irreparabile, oltre a farmi infuriare, mi fa riflettere sul fatto che l’iconoclastia è un tratto caratteristico del genere umano. Nella Cina di meno di cinquant’anni fa la rivoluzione culturale si è scagliata con furia distruttiva contro le millenarie tradizioni culturali di quel paese: musica, teatro, filosofia, letteratura e beni architettonici sono stati distrutti in maniera brutale e imponente. I falò di libri, la massa furiosa che demolisce i templi, i processi pubblici ai vecchi suonatori tradizionali (alcuni – da me ascoltati – nascosero gli strumenti a rischio della vita), sono stati uno spettacolo comune nella Cina degli anni ’60, denunciati in opere di Tiziano Terzani e in altri libri come Cigni selvatici e mitigato solo dalla moderazione di Zhou Enlai. Vorrei sommessamente osservare come gli orrori della rivoluzione culturale, per quanto arrivati in forma mitigata in Occidente, avevano qui da noi molteplici ammiratori e difensori. Vogliamo arrivare anche all’Europa e al deserto culturale provocato dal nazi-fascismo? I falò di libri sgraditi e gli omicidi di intellettuali non allineati sono notissimi, come il primo tentativo storico di pianificare una cultura di massa omologata e priva di capacità critica.

Evito di citare l’Orwell del Grande fratello e cerco di interrogarmi sul costante tentativo dei vincitori (o di bande di energumeni che cercano di imporsi come tali) di distruggere la cultura del passato, dalla biblioteca di Alessandria nei primi secoli dopo Cristo fino ad Hatra:

  • l’intimidazione degli intellettuali, che non devono osare, con la forza della loro cultura, di contrastare i nuovi padroni, portatori usualmente di valori grossolani e approssimativi, violenti e disgregatori che non potrebbero confrontarsi con argomentazioni sofisticate;
  • l’efficace comunicazione verso il popolo (o verso alcuni ceti, o religioni, o verso l’esterno che non deve osare immischiarsi) con la semplice e molto efficace manifestazione dell’odio distruttivo;
  • l’uccisione simbolica del padre come ci spiega la psicoanalisi, attraverso l’eliminazione dei prodotti culturali delle generazioni precedenti; i padri, qui, sono anche le istituzioni precedenti che i nuovi padroni voglio sostituire con le proprie;
  • la semplificazione storica, perché l’insegnamento del passato non deve illudere su possibili vie di fuga diverse da quelle tracciate dai nuovi. Nulla c’è da imparare dal passato perché il passato viene distrutto.
Shoa
Shoa

Gli auto da fé culturali assumono oggi, in Occidente, forme più moderate sotto il profilo muscolare ma ugualmente devastanti sotto quello culturale: il negazionismo, per esempio, è una cosciente forma di distruzione culturale attraverso il tentativo di manipolare il passato, negando certi avvenimenti a favore di diverse interpretazioni. Ciò non riguarda semplicemente dei “fatti”, più o meno taciuti o manipolati, ma le conseguenze politiche e culturali di quei fatti nelle nostre coscienze: negare la shoa non è negare “un fatto”, ma ricostruire in maniera diversa il senso di un’epoca, narrare in forma differente gli ultimi settant’anni per trarne un diverso insegnamento e indicare nuovi e diversi obiettivi sociali da perseguire. Avere negato le foibe per così tanti anni è stato possibile in un contesto politico di pacificazione dopo la seconda guerra mondiale dove i valori di una certa resistenza iconografica, l’opposizione comunista a una lettura storica degli orrori titini (e stalinisti) e una disponibilità dei moderati a non inasprire il confronto in un’epoca di blocchi contrapposti, contribuirono a negare la realtà e a costruire una rappresentazione storica sostanzialmente falsa. Dobbiamo essere avvertiti del fatto che la “Storia” ufficiale è sempre quella dei vincitori, specie in epoche buie.

Scendendo ancora di livello, ovvero trattando casi che si avvicinano più alla cronaca che alla storia, dobbiamo allora essere sempre attenti alle ricostruzioni di parte: l’invasione di arabi ipotizzata da Salvini, la difesa degli interessi panslavi affermata da Putin, le colpe della Merkel sottolineate da Tsipras e via citando, non sono mai la ricostruzione storica reale ma un’elaborazione ideologica utile in quel momento per quello scopo. Ciò è abbastanza evidente ai più quando tale elaborazione ideologica è opera di avversari politici, assai meno quando è proposta da leader che amiamo, da partiti cui ci sentiamo appartenere. Dobbiamo combattere questa forma di omologazione; l’orrore passa ancora dalla deformazione della realtà prima e della storia poi; una storia edulcorata e che ci rassicura e conforta non costruisce meno orrore, nelle sue conseguenze di prospettiva, di una realtà scomoda che vogliamo rifuggire. La differenza è che a una realtà scomoda possiamo contrapporre una strategia realistica e razionale, mentre a una narrazione edulcorata non possiamo che assuefarci in maniera servile.

Copertina: Le Phénix renaît de ses cendres, anonimo del 18° sec., Biblioteca Nazionale, Parigi.