Attenzione agli stereotipi di genere. Ma diamoci anche una calmata

Cinderella_by_Elena_Ringo

Premesso che nelle mie email di lavoro a gruppi misti, di maschi e femmine, io scrivo di regola “Car* collegh*” (con gli asterischi) per evitare un linguaggio sessista e che, naturalmente, mi sforzo in diversi campi e in forme differenti di rispettare una minima parità di genere anche in forme più sostanziali, ciò premesso sono infastidito dalla corsa a un anti-sessismo estremista e, permettetemi, un po’ cretino. Sarà che mi urtano tutti gli estremismi: sono vegetariano ma detesto gli estremismi di certi vegani; sono sportivo ma non sopporto i decerebrati che stazionano a ridosso di certi sport; analogamente comprendo e condivido la necessità di un’assoluta e reale parità di genere ma la rincorsa a un revisionismo formale della lingua, dei comportamenti, della letteratura perfino mi urta non poco. La notizia della revisione delle favole ritenute sessiste dalla ministra francese dell’Istruzione Najat Vallaud-Belkacem è appunto una di quelle notizie che stridono denunciando – a mio parere – una contraddizione fra realtà e necessità. Lungi da me pensare che “siano ben altri i problemi”, anche limitatamente alla questione della parità. Ho scritto – qui su HR – talmente tanti post sul linguaggio e sul suo “potere” che non c’è bisogno di convincermi della necessità anche di un linguaggio attento, oltre ovviamente ad azioni concrete (parità di trattamento economico, reali possibilità di accesso alle cariche pubbliche rilevanti etc.).

Oltre ad altri provvedimenti condivisibili la ministra se la prende insomma con le favole per l’infanzia:

come appunto Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Hansel e Gretel, spesso “imbottite di rappresentazioni sessiste”. L’associazione [Hubertine Auclert, autrice dello studio utilizzato dalla ministra per la sua denuncia] deplora che la maggior parte di questi capisaldi della letteratura per ragazzi schiaccino i “personaggi femminili ai loro stereotipi”. E per fortuna che nei ventidue volumi presi in esame ci sono anche alcune eroine forti, che “guidano l’azione senza dipendere dai personaggi maschili”, riconosce il centro Hubertine Auclert (La Repubblica).

L’articolo non spiega cosa proponga la ministra: abolire le favole? Correggerle in chiave femminista? Non lo so e non ci deve interessare troppo perché questa piccola notizia ci serve solo come pretesto per un ragionamento che spero semplice e non equivocabile.

Prima un esame di realtà: la divisione sessuale del lavoro, dei ruoli, delle responsabilità e, per farla breve, del potere, non è nata da una decisione razionale, da un colpo di stato, da una guerra o da una stregoneria. Ci sono biblioteche di storici e antropologi che ci spiegano come sono andate le cose a partire dall’incontestabile fatto che le donne portano in grembo i figli per nove mesi, poi devono allattarli, mentre i maschi no. Tutte le conseguenze (gli uomini vanno a caccia mentre le donne curano l’orto; gli uomini sono più grossi e forti e le donne meno; gli uomini sono aggressivi e difendono la tribù, le donne sono più miti e accoglienti e curano le loro ferite…) nascono dal dimorfismo sessuale nella specie umana (e in altre specie).

Pur permanendo tale dimorfismo oggi non occorre andare a caccia per sostentarsi, né difendersi dalla tribù vicina (almeno in Occidente) ma ovviamente millenni di organizzazione sociale e culturale orientata in questo modo non possono essere cancellate da pochissime decine d’anni di consapevolezza che tale organizzazione, centrata sul potere maschile, non ha più alcuna necessità e conseguentemente diventa un’ingiustizia per le donne. Una consapevolezza solo occidentale, visto che in amplissime aree del mondo la subalternità della donna è pressoché totale. Anzi: una consapevolezza che tocca alcuni settori della società occidentale, quella più colta e sensibile, perché una maggioranza di uomini e donne occidentali non percepiscono la disparità sessuale come problema pungente, o come problema punto. Il fatto che la disparità esista ma sia ritenuta odiosa solo da una minoranza (persone sensibili) di una minoranza (l’Occidente) non sminuisce il problema e non lo rende meno urgente. Tutt’altro. Ma rende necessaria un’intelligenza delle cose che inquadri il problema nella sua dimensione storica.

Tornando alle favole sessiste, collocarle nella loro dimensione storica significa comprendere che non sono affatto sessiste ma semplicemente scritte in un’epoca diversa in cui permanevano valori diversi universalmente accettati. Anche dalle donne. Perché |sessismo| non è un fatto, ma un’idea, se non proprio un’ideologia (e quell’ –ismo ve lo dovrebbe mostrare chiaramente), che nasce negli anni ’60 del Novecento in America in ambiti intellettuali elitari; non ci può essere sessismo fin quando l’idea sessista non viene formulata, così come non ci può essere razzismo fin quando qualcuno non sviluppa e diffonde l’idea che gli uomini sono tutti uguali (di fronte a Dio, di fronte a una verità universale…). Quando Charles Perrault o i fratelli Grimm scrissero le loro versioni di Cenerentola, rappresentavano semplicemente una realtà sociologica peraltro antichissima e comune a moltissimi popoli: l’orfana sfruttata da familiari cinici; con un lieto fine utile per adattarsi alla morfologia di quel tipo di narrazione; possibile che Propp non sia arrivato in Francia? Ciò vale per ogni fiaba classica, ovviamente: le fiabe avevano, e hanno, una funzione simbolica rilevantissima per il/la bambin*, e le fiabe dei secoli scorsi restano sociologicamente ancorate ai canoni della loro epoca senza che ciò ne sminuisca la funzione.

Un discorso identico vale per tutta la letteratura, dall’Iliade al Maestro e Margherita passando per ogni classico che vi possa venire in mente; smettiamo di proporre I promessi sposi perché sessista? Sarebbe ovviamente un’idiozia sesquipedale. Oggi (in questi anni, neppure tanti, e solo in Occidente) una nuova generazione di autori è in grado di proporre nuovi modelli da affiancare a quelli vecchi, non per sostituirli ma per completare una visione più equilibrata del rapporto fra i sessi. Attenzione anche qui: la cinematografia ci propone da molti anni figure di eroine inimmaginabili fino a poco fa: da Lara Croft ad Alice Abernathy vediamo guerriere, ammazza-vampiri, donne d’affari spietate che – guarda caso – riproducono esattamente i modelli comportamentali degli analoghi colleghi maschi. Non credo che sia questa la strada e ci serviranno decenni di buona letteratura femminile, di buona cinematografia femminile, di buona musica femminile ma anche di buona amministrazione, di buona politica, di buona scienza al femminile perché percoli, nella società di massa, un’adeguata considerazione dell’ovvietà della parità. Intanto, per favore, lasciamo stare Cenerentola.