Un robot pagherà le tasse al posto mio?

Come i nostri lettori più assidui sanno, Hic Rhodus s’è occupato in più occasioni delle profonde trasformazioni che le nuove tecnologie informatiche e cibernetiche porteranno nella nostra vita, e probabilmente in noi stessi. Il tema dell’impatto sulla società di robot dotati di capacità intellettuali confrontabili con quelle umane è passato dalla fantascienza ai programmi di ricerca, e ora ha raggiunto i tavoli della politica.

Infatti, è sicuramente sorprendente scoprire che un organismo considerato “imbalsamato” come la Commissione per gli Affari Legali del Parlamento Europeo ha prodotto un documento che prevede uno scenario in cui, di fatto, un “robot autonomo” potrebbe avere uno status simile a quello di una persona non umana, con le relative implicazioni legali.

Per l’esattezza, il documento in questione è un rapporto elaborato all’interno della Commissione per gli Affari Legali, e delinea una mozione che prende atto che “grazie agli impressionanti progressi tecnologici dell’ultimo decennio, non solo gli odierni robot sono in grado di svolgere attività che erano tipicamente ed esclusivamente umane, ma lo sviluppo di capacità autonome e cognitive, ad esempio la capacità di apprendere dall’esperienza e prendere decisioni indipendenti, li ha resi sempre più simili ad agenti che interagiscono col loro ambiente e sono in grado di modificarlo in modo significativo”. Anche per questo, “in ultima analisi, l’autonomia dei robot solleva la questione della loro natura alla luce delle categorie legali esistenti, di se debbano essere considerati come persone naturali, persone legali, animali od oggetti, o se debba essere creata una nuova categoria, con le sue specifiche caratteristiche e implicazioni riguardo l’attribuzione di diritti e doveri”.  [qui e altrove, la traduzione e il grassetto sono miei]

Se da un lato ci sono le implicazioni etiche, e le corrispondenti responsabilità penali e civili che possono derivare da “atti autonomi” di robot e computer (a questo proposito il rapporto cita le Tre Leggi della Robotica del grande autore di fantascienza Isaac Asimov, il che per un vecchio lettore del genere è quasi commovente, e peraltro il robot R1 di cui si è recentemente parlato sui nostri giornali, mi ha ricordato parecchio Robbie, il protagonista del primo racconto robotico di Asimov), un punto che vorrei sottolineare in questo post riguarda invece il lavoro, il sistema fiscale e il welfare.

Da questo punto di vista, il rapporto considera che “l’Umanità si trova sulla soglia di un’era in cui robot sempre più sofisticati […] sembrano destinati a dar vita a una nuova rivoluzione industriale […] [e che] lo sviluppo della robotica e dell’Intelligenza Artificiale potrebbe risultare nella presa in carico da parte dei robot di una gran parte del lavoro oggi svolto dagli esseri umani, sollevando preoccupazioni sul futuro dell’occupazione e sulla sostenibilità dei sistemi di welfare se si mantengono le attuali regole per l’imponibile fiscale, creando le basi per un aumento della disuguaglianza nella distribuzione di ricchezza e influenza”.  Più o meno esplicitamente, il rapporto propone una linea di ragionamento che personalmente condivido e trovo ineludibile:

  1. Ci troviamo solo all’inizio di una transizione di fase, o, se vogliamo, di quella che gli esperti di Intelligenza Artificiale e di innovazione tecnologica chiamano una (o la) singolarità: i robot, intesi in senso ampio come agenti artificiali autonomi, stanno per acquisire capacità cognitive confrontabili con le nostre, almeno sotto certi aspetti; e nel momento in cui questo accadrà, basterà ben poco tempo perché queste capacità diventino nettamente superiori alle nostre, mentre noi poveri umani dovremo probabilmente “innestarci” componenti cibernetiche per non restare troppo indietro.
  2. Per questo motivo, i robot non sostituiranno gli uomini solo in lavori come l’autista o il fattorino: la sostituzione riguarderà sempre più, e anzi preferenzialmente, lavori “intellettuali”, come il medico, il giornalista, l’avvocato, l’insegnante, l’analista finanziario, eccetera, ossia in particolare i lavori che si fondano sull’elaborazione dell’informazione.
  3. Questo comporterà, da un lato, un enorme incremento di produttività di questi lavori, sollevando il problema della base imponibile che cita il rapporto. Infatti, chi intascherà i profitti derivanti da questa cresciuta produttività? Se a guadagnarci saranno solo gli imprenditori, l’effetto sarà quello che il rapporto paventa: un collasso dei sistemi di welfare (perché ci saranno molti meno lavoratori a pagare le tasse, e molti di più ad avere bisogno di assistenza sociale) e un grande aumento di ricchezza concentrata in poche mani, quelle dei proprietari dei robot e dei loro utilizzatori. Questo tema è in realtà stato sollevato già da qualche tempo dagli osservatori più preoccupati del possibile impoverimento diffuso che i robot potrebbero provocare (v. ad esempio un articolo del MIT di qualche tempo fa).
  4. Proprio per questo, un modello possibile è quello in cui i robot diventano produttori di reddito imponibile, e come tali vengono tassati (quindi non come semplici apparati industriali). Il rapporto accenna a uno scenario di questo tipo, tanto che alcuni commentatori lo sottolineano. Questo consentirebbe, in linea di principio, di redistribuire a tutti i cittadini i benefici economici dell’introduzione di queste nuove tecnologie.

Naturalmente, questo scenario rischia di sembrare allo stesso tempo fantascientifico e catastrofico. Diversi commentatori sostengono che i robot non sono altro che un nuovo stadio dell’automazione applicata alla produzione, e che, come tutte le precedenti, non comporterà un crollo dei posti di lavoro per gli esseri umani ma piuttosto la creazione di nuove e più interessanti professioni, lasciando ai robot le attività più ripetitive e banali.

robot pensosoIo non la penso così. La singolarità (il termine non è mio) cui facevo cenno prima è ben altra cosa rispetto ai “gradini” di innovazione tecnologica cui siamo abituati; già da alcuni anni, a mettere in guardia nei confronti di questa transizione epocale non sono dei nostalgici “luddisti” ai margini del progresso, ma scienziati e apostoli dell’innovazione, alcuni dei quali, come Elon Musk, fanno previsioni addirittura apocalittiche in merito.

L’avvento dei robot superintelligenti è passato dall’essere un argomento da cinema di fantascienza a costituire un problema concreto di cui occuparsi; e se probabilmente è inevitabile che i robot sostituiscano gli uomini in diverse attività chiave, si proporranno problemi sociologici (di cui qui su Hic Rhodus abbiamo parlato), ma anche economici. A mio avviso, non possiamo permetterci di far diventare questo avvento l’ennesima leva di arricchimento dei ricchissimi e di impoverimento di tutti gli altri; come abbiamo già visto, nei paesi ad economia avanzata il fenomeno dello schiacciamento della classe media e del prevalere dei redditi da capitale su quelli da lavoro sta provocando delle sperequazioni socialmente insostenibili. Consentire che il “valore aggiunto robotico” si concentri nelle mani del solito “top 1%” significherebbe predisporre una bomba sociale a scoppio neanche tanto ritardato.