L’ansia della fine del tunnel nell’epoca del dominio tecnologico

Siamo tutti amareggiati, confusi, un filino spaventati. Diciamo pure depressi. Il mondo va a scatafascio, i giovani non lavorano, l’Italia frana, annega e trema da tutte le parti, in America c’è Trump, le guerre dilagano, c’è strage di bambini, i populisti sono ovunque come gli imbecilli, se guardi storto qualcuno rischi di andare all’ospedale, se sei donna rischi direttamente l’obitorio, non si capisce cosa farà Grillo e, insomma, ho anche un mal di schiena tremendo che proprio non vuol passare. Non so voi, ma io il mondo me lo ricordavo meglio (ma forse mi sbaglio…). C’erano i buoni e i cattivi, ma non come ora: erano cattivi i comunisti ma stavano in Russia, mentre i buoni facevano spettacolari film di cowboy dove vinceva l’eroe dal viso virile; erano buoni gli italiani, quasi per antonomasia, e cattivi i viet cong, tranne nella canzone di Morandi; con un posto fisso vivevi tranquillo e ci campavi la famiglia; i Beatles facevano innamorare, peace and love, sognavamo di andare a Machu Picchu ma quasi nessuno di noi c’è stato, ci facevamo al massimo qualche canna e prendevamo qualche sacrosanta sberla dai genitori. Bei tempi.

Oggi non sappiamo se moriremo di riscaldamento globale, di troppo cibo, di troppo poco cibo, di incidente stradale (prima causa di morte nella fascia d’età 15-24; fonte Istat), di rapina finita male o per colpa di un asteroide. E mentre cerchiamo di non pensarci troppo la fiction – grande specchio della nostra società – ci illumina sui nostri timori, enfatizza le nostre paure trasportandole in un contesto narrativo allegorico che non dobbiamo ignorare, perché la fantasia cinematografica non è solo fantasia ma, in un certo senso, esplorazione del nostro inconscio e, per ciò stesso, anticipazione, premonizione, visione (è un sentiero scivoloso, lo so; qualche approfondimento preliminare QUI). Ne abbiamo parlato – non ancora in questi termini – in una specie di recensione a The Walking Dead ma adesso un’occhiata a Netflix mi fa fare un balzo in avanti nel tunnel…

schermata-2017-01-22-alle-19-02-30Aperto Netflix scegliamo “serie TV” e poi la sottocategoria “fantascienza”. Col puntatore su ogni serie compare un pop-up con poche righe di spiegazione:

  • Black Mirror: il mondo di domani offre opportunità che superano i nostri più bei sogni. Il prezzo da pagare? I nostri peggiori incubi.
  • Terra Nova: solo un viaggio indietro nel tempo li salverà dalla desolazione di un pianeta morente.
  • Travelers: sono arrivati da un futuro crudele e senza speranze per salvarci dal nostro più grande nemico: noi stessi.

E via discorrendo. Ma la letteratura contemporanea non è da meno. La moda letteraria che Pivano, sprezzantemente, definiva “fantastica”, da Murakami ad Auster, per capirsi, esprime l’idea dell’alterità, della verità – solitamente tremenda – tesa ad escluderci dall’attualità, non più sopportabile (capolavoro nella descrizione di questa desolazione quasi onirica, Nel paese delle ultime cose di Auster). Ma anche autori “realisti” come Cormac McCharty ha scritto il catastrofico La strada… Sono spezzoni di suggerimenti e indizi, non è questo il luogo per lunghe analisi critiche; ma certo, oggi, è più facile immaginare un grande disastro planetario anziché un radioso avvenire.

Questa nostra disperazione ha molti padri (secolarizzazione, globalizzazione, complessità sociale…) e una sola madre: la tecnologia, che nella versione contemporanea è tecnologia della comunicazione, intelligenza artificiale, robotica, internet eccetera. Non sto esagerando, e i pericoli – quanto meno “spirituali” – di questa novità nel panorama umano è nota da tempo a sociologi, psicologi, filosofi ma anche ad addetti ai lavori (ne abbiamo parlato QUI). Se nell’antichità la tecnologia era una piccola componente nel quadro delle diverse società, dominate dalla paura superstiziosa, dalla lotta con la natura, ben integrata nel quadro complessivo del pensiero collettivo (ciò che gli antropologi chiamano “cultura”, evidentemente non in senso scolastico), si è sviluppato nei secoli un processo di allontanamento tecnologico dall’uomo, spodestando pian piano la natura medesima, e con essa dio. Oggi la tecnologia non è più solo meccanica (in qualche modo ancora comprensibile) ma elettronica, informatica, pervasiva e magica. Per immaginare una catastrofe non abbiamo più la necessità di immaginare una società senza elettricità, ma senza smartphone e internet. Scrivere a mano… senza correttore ortografico; ricordarsi l’indirizzo del mittente senza ricorrere alla rubrica elettronica; vedersi di persona in una stanza per discutere e decidere! Andare in piazza sperando di incontrare gli amici per prendere un aperitivo assieme…

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(Questa immagine semplifica pensieri complessi. Ne tratterò in altra occasione)

È inseguendo questo pensiero che altrove ho parlato di “perdita del futuro”. Il susseguirsi delle generazioni lottando contro una natura ostile dà una prospettiva di futuro; conquistare il mondo e arricchirsi a maggior gloria di dio dà una prospettiva di futuro. Perché le tecnologie erano nostre e le utilizzavamo per costruire tale prospettiva: arare la terra, domare i cavalli, anche sparare agli invasori… Ma oggi non temiamo il fulmine e non glorifichiamo più dio, e le tecnologie stanno sostituendo la nostra capacità elaborativa. Quanti numeri telefonici ricordate a memoria? Qual è la vostra principale occupazione in treno? Quale forma hanno i vostri auguri di Natale? Come disegnate, come scrivete, come progettate? Come comunicate? Quale fonte rifornisce la vostra immaginazione? Quale formato hanno le vostre informazioni? La tecnologia non è più parte di noi (e da noi utilizzata), ma sempre più sostituto di noi (e da noi subìta).

Pensate a questa cosa straordinaria: fra il primo volo dei fratelli Wright (1903) e il primo sbarco sulla Luna (1969) sono passati solo sessantasei anni. Meno della vita media di una persona; dal primo impulso telegrafico di Marconi oltre oceano (1901) alla prima email (1971) solo settanta. Cos’è successo dopo, negli ultimi quaranta, cinquant’anni? Tutto sta avvenendo ora, in questo momento di eccezionale accelerazione tecnologica. Quello che sarà possibile fra un anno non riusciamo a immaginarlo. Quello che sarà possibile fra dieci potremmo incominciare a temerlo. Ecco perché trovo interessanti gli scenari fantascientifici in voga; non futuri radiosi di un’umanità in pace e affrancata dalle malattie e dalle miserie del lavoro (certo, un film così farebbe veramente pochi soldi al botteghino…) ma orrori totalitari, società blindate, scenari orwelliani riveduti e corretti. Fortunatamente è solo cinema. È solo finzione. Serve per esorcizzare le nostre paure. Ma non sottovalutiamo la capacità predittiva degli artisti e ricordiamoci che Verne e non pochi altri hanno previsto abbastanza precisamente la direzione verso la quale stiamo andando. Intanto, semmai, guardiamoci un bel film d’amore.

P.S. Questo post segue Mai stati così bene, mai così disperati dove mostravo il progresso positivo dell’umanità (in termini di vita, salute, benessere…) malgrado la continua percezione del contrario. In questo approfondisco tale percezione e in un terzo, prossimo, cercherò di concludere su alcuni “antidoti” alla depressione.

P.P.S. Questo post non è antimodernista, antitecnologico, nostalgico del bel tempo in cui scrivevo con meravigliose penne stilografiche. Se avete avuto questa impressione mi scuso, ho scritto veramente in modo confuso e cercherò di far meglio nell’ormai famoso prossimo terzo post. O nel quarto…