Leggo che il personaggio di Apu, l’indiano dei Simpson, verrà cancellato per evitare polemiche sugli evidenti stereotipi verso la comunità degli indiani-americani. Giusto: quel personaggio – certamente secondario – è servile, imbroglione e parla un anglo-americano incerto, mentre gli indiani d’America sono fieri, onesti e parlano benissimo (almeno la seconda generazione, certamente la terza).
Mi aspetto che la comunità italo-americana protesti per gli stereotipi sugli italiani, con quei gesti ridicoli che dovrebbero scimmiottare la nostra gestualità, e poi i mandolini, la mafia, l’accento e i baffetti. Sarà poi il turno dei cinesi, dei messicani, dei tedeschi, irlandesi e via discorrendo, mentre gli afro già non si sa se chiamarli ‘neri’ o ‘colorati’ ma assolutamente non negri (anche se lo stesso Martin Luther King li apostrofò così nel celebre discorso).
Dopo avere aboliti gli stereotipi etnici di tutti, e sulla buona strada per quelli di genere, saremo tutti semplicemente “persone”, e nessun film, documento, libro, vignetta, potrà permettersi alcuno stereotipo odioso, cliché, luogo comune sempre intrinsecamente riduttivo e mortificante.
Sulle religioni ci stiamo lavorando: certo è difficile non ridere di certi tic e nevrastenie degli ebrei ma, come è noto, solo scrittori e umoristi ebrei possono ridere di loro stessi, noi gentili non possiamo perché offendere un ebreo equivale a dar linfa ai peggiori impulsi nazisti. E guai a ridere o irridere i musulmani, che quando quelli s’incazzano tutti i servizi segreti vanno in fibrillazione, vedi i casini successi in Francia…
Il linguaggio politicamente corretto, poi, deve riguardare singole categorie di persone: gli handicappati, passando per ‘disabili’ sono approdati a ‘diversamente abili’ e, credo, siano anche andati oltre per non stigmatizzare le loro mancanze che non sono mancanze ma solo cose diverse, come il colore degli occhi e il numero delle scarpe. Gli spazzini sono operatori ecologici. Le fiabe dei Fratelli Grimm sono sessiste. “Vagina” è una parolaccia (almeno negli Stati Uniti) e “buco davanti” ha avuto una fortuna brevissima, vorrà dire che torneremo all’implicito me la dai? lasciando alla destinataria del messaggio capire il soggetto sottinteso.
Naturalmente c’è un parallelo comportamento politicamente corretto. Guai, per esempio, dare la precedenza a una giovane donna, o fare il gesto di portarle un peso o di aprirle la porta, perché implica un galateo evidentemente sessista e paternalista. Guai guardare insistentemente una donna, anzi: guai distogliere lo sguardo dagli occhi di una donna procace e scollata perché – dio non voglia – se lo sguardo sfuggito al vostro teutonico controllo accennasse per un nanosecondo a sfiorare una latitudine al di sotto del collo l’etichetta di sessuomani maiali non ve la toglie più nessuno. E le donne velate? Mica potete fissarle! E i neri seduti nel treno coi piedi sul sedile davanti? Mica potete dir loro di toglierli! E i rom che rovinano canzonette con la fisarmonica, e i napoletani che ti vogliono appioppare i calzettoni, e i romani finti gladiatori che devono pur sbarcare il lunario, e l’omosessuale che cerca di approcciarti, e il gruppo di pellegrini che biascica in coro il rosario, e questo, e quello, e quell’altro?
GUAI! Non puoi più dire, in maniera educata, di smettere di recitare il rosario perché saremmo intolleranti atei, non puoi dire di no al napoletano che si arrabbia subito dicendoti che lo stai umiliando (mi è capitato), guai tre volte se protesti col gladiatore, guai infiniti se sbagli una sola mezza mossa con donne del nuovo femminismo #metoo (secondo me sono anche telepati), guai, guai guai.
Nello stesso istante, negli stessi spazi, ci massacriamo dicendoci le peggiori cose e augurandoci la morte, dando delle puttane alle figlie altrui, mandando a cagare i disabili che pretendono i loro parcheggi, maltrattando donne e neri e rom.
Siamo scissi. Mentre amplissimi livelli sociali bassi e medio-bassi ululano il loro odio verso tutti, una parte rilevante delle élite del mondo occidentale si preoccupa di non essere razzista, sessista, islamofoba, e mille altre fisime che non solo non aiutano di un ette i soggetti considerati, ma creano un’aura di ipocrisia talmente palese da diventare controproducente, stancante, e infine vuota di significati.
Il problema del politicamente corretto è una forma di ipocrita censura profondamente errata. Una buona educazione borghese basta e avanza per non dire volgarità a una donna, per trattare umanamente un disabile o per affrontare con sufficiente saggezza la distanza culturale con un musulmano, mentre l’implicita negazione delle differenze (di genere, di nazionalità, di religione…) porta a un appiattimento falso; l’omologazione del dire che nega la differenza nell’essere e nel fare.
Quindi, per quel che mi riguarda, rassegnatevi a non vedermi piegato a questa umiliante negazione del lessico.