A me Annunziata piace, anche quando non sono d’accordo con lei. Donna intelligente, non convenzionale, capace di esprimere posizioni “antipatiche”. Oggi sull’HuffPost un suo articolo a difesa (memorabile!) di Renzi, che secondo lei non solo non deve essere oggetto di critiche per la sua scissione ma che – a fortiori – con tale scissione ha ancora una volta mostrato l’ipocrisia altrui, il trasformismo altrui. Annunziata conclude con questo brano:
Renzi, insomma, non pone direttamente un pericolo numerico per la stabilità, ma occupa di nuovo lo spazio pubblico: quello dei media, delle polemiche, dei social, insomma di quella agorà permanente che è oggi il vero spazio della politica. Non a caso quello che ha occupato e continua ad occupare Salvini, di cui vuole diventare, come ha detto subito, l’unico antagonista. Il vero pericolo che Renzi costituisce per il Governo, insomma, non è quello di farlo cadere, ma di metterlo in ombra. Ed è già accaduto.
Vorrei riflettere un momento su questa affermazione (specie il primo periodo del brano riportato) perché dire che oggi lo spazio politico è “quello dei media, delle polemiche, dei social” vuol dire indicare un problema di democrazia enorme. E il fatto che sia scritto da Annunziata en passant, in quanto cosa ovvia, dovrebbe far tremare i polsi. Per carità, niente di ignoto, ma è appunto l’ovvietà che riveste il concetto che mi folgora. Diamine! Lo spazio della politica è quella dei social? Ma cos’è diventata la politica?
Cercando di farla breve: la politica del Novecento era costruzione di programmi di governo (= gestione degli affari pubblici) attraverso sistemi rigidi di valori veicolati da partiti. I partiti erano libere associazioni di persone che si riconoscevano in determinati valori, proposti come fondamenta di possibili programmi di governo. Ecco il Partito Comunista, il Partito Socialista, Liberale etc. Si chiamavano (non solo in Italia) quasi tutti “Partito qualcosa” mentre oggi (non solo in Italia) l’unico a chiamarsi ‘partito’ è il PD, mentre tutti gli altri sono movimenti, fratellanze o incitazioni (Forza Italia! Italia Viva! +Europa!) e questo non è casuale, ma il segno che la forma partito è tramontata (come abbiamo già noiosamente scritto due anni fa su questo blog) a favore di qualcosa di assai più liquido nei contenuti (vedi lo stratosferico cambiamento di programma, valori e parole d’ordine della Lega, da Bossi e Salvini) e nelle forme (vedi il continuo adattamento all’ambiente del M5S, che dopo avere giurato su tutto ha fatto tutto il contrario senza fare una piega). Non si fanno più Congressi veri (salvo che nel PD, almeno apparentemente), anche perché non ci sono linee politiche da approvare né leader da eleggere. È il contrario. Emerge un leader, propone la sua linea, e scala il partito se ce la fa (Renzi). Se il leader è troppo forte, conviene andarsene (Toti). Finché il leader vince, tutti zitti (Lega).
A parte il PD e in certe forme arcaiche la sinistra, ancorati a tradizioni del secolo scorso, tutto il resto è estremamente mutevole; perché non c’è il cemento ideologico che nel bene e nel male accumunava le coscienze fino a un paio di decenni fa,
Ora funziona il leader in quanto comunicatore. Quello aggressivo, burbante, truce, della ruspa, che vellica il peggior protofascismo italico; quello parimenti aggressivo ma più ironico e con qualche contenuto in più di Renzi; e basta. Non ce n’è nessun altro. La comunicazione di Zingaretti è penosa e balbettante; quella di Berlusconi inutile, tutti lo considerano vecchio, stanco e politicamente morto; la Meloni è l’amica sfigata di Salvini, che cerca di imitare. E quelli di +Europa, che dire? Cercano di fare discorsi seri e di indicare problemi reali, gli illusi!
Il grande problema della democrazia del Terzo Millennio è quindi questo: mettere dei contenuti nella liquidità politica; costruire un abbozzo di programma e di visione, e saperlo comunicare in parole semplici, con tweet ironici, con slogan accattivanti. D’altronde a pochissimi interessano i programmi; il successo di Salvini, specie nella prima metà di questo 2019, non è dipeso da un programma convincente, a meno che “non sbarcheranno” non sia inteso come programma! Salvini non raccontava un programma ma se stesso: che mangiava la Nutella, che stava con Isoardi, che beveva mohjto al Papeete, una narrazione dove la punteggiatura era composta da “porti chiusi”, “ruspa ai rom” e “Carola zecca tedesca”. Il popolo stolto era affascinato dalla narrazione del Truce, e ripeteva “porti chiusi!” Idem con Renzi; la sua narrazione è il giovane ambizioso e capace avversato da arnesi ottusi, quelli della Ditta, da rottamare; è la narrazione di chi vorrebbe rifare l’Italia e ci ha pure provato, è stato sconfitto e si è messo da parte (?) ma ora, ah! cari miei, ora è tornato!
C’era una narrazione anche pentastellata, costruita sapientemente a tavolino da Grillo e Casaleggio e mandata rapidamente a puttane da Di Maio, troppo sprovveduto, inabile e sciocco.
E che narrazione avrebbero Zingaretti, Fratoianni, Berlusconi? Ma anche Calenda, o Della Vedova?
Ecco allora l’enorme sfida. Perché è vero che questo è un problema fondamentale per la Democrazia, ma non è risolvibile; più che ‘problema’ va definito come dato di contesto: oggi le ideologie sono per lo più morte e sostituite da deboli simulacri, come deboli sono i legami sociali, di contro trovando una rapidissima comunicazione “social” (tutte questioni a lungo dibattute su HR, scusate se lo ripeto, sarò noioso…). Questo è il contesto, dove il problema, ovviamente, non è come cambiarlo ma come sopravviverci. Come costruire politiche sociali eque? Come frenare il declino economico italiano? Come pagare il debito, riformare scuola e giustizia, dare speranze ai giovani? Come farlo, ottenendo maggioranze parlamentari che ti consentano di attuare le necessarie riforme, nell’epoca della politica liquida contesa sui social? Dove le parole valgono nel momento in cui sono pronunciate e subito dopo dimenticate, sconfessate, reinterpretate?
Le soluzioni, forse, ci sono. Ma credo siano troppo dure da digerire e troppo lontane dagli ideali democratici del secolo scorso. Lavoro per la prossima generazione, non per la mia.