Una legge per identificare gli utenti di Facebook: il mezzo sbagliato per un fine giusto

In questi giorni, sta ottenendo una certa attenzione una petizione, promossa dal deputato di Italia Viva Luigi Marattin, che propone che “i social network, per legge ed avvalendosi di autorità terze, possano esser messi nelle condizioni di garantire che ad un account corrisponda un nome ed un cognome di una persona reale, eventualmente rintracciabile in caso di violazioni di legge [il grassetto è mio]. L’intenzione è quindi di avanzare una proposta di legge che obblighi Facebook e gli altri Social a identificare in modo forte (verificando un documento di identità) ogni persona che apra un account, per poterle poi attribuire la responsabilità penale e civile delle sue eventuali violazioni della legge.

Chi ci segue regolarmente ricorderà certamente che in diversi articoli (ad esempio questo) ho auspicato che Facebook adotti appunto un sistema di identificazione “forte” dei suoi utenti, in modo da poter attribuire univocamente un’identità reale a ogni contenuto pubblicato; e anzi mi sono spinto fino a suggerire che i Social più importanti utilizzino un unico sistema di identificazione degli utenti, per poter applicare adeguate sanzioni in caso di violazioni delle policy sulla correttezza e veridicità dei contenuti.

Quindi, direte, sei d’accordo con l’iniziativa di Marattin? Ecco, purtroppo devo dire che questa petizione è la risposta sbagliata alla domanda giusta. Perché sbagliata? Perché ha come scopo dichiarato facilitare l’identificazione di chi commette reati, come la diffamazione. Ma il problema non è questo: quando si tratta di perseguire un criminale, la polizia postale ha già oggi, sostanzialmente, gli strumenti per farlo, risalendo, grazie agli Internet provider, all’indirizzo IP del computer utilizzato (non entriamo qui nei modi in cui questa ricerca può essere ostacolata). È quello che su Hic Rhodus ha scritto il nostro amico LibertarianMind. E imporre per legge (solo in Italia?) un’identificazione certa implica l’ovvia conclusione che a utilizzare le informazioni su quest’identificazione sarebbe un potere dello Stato, il che fa risuonare corde molto sensibili nel “popolo della Rete”.

Non a caso, contro la proposta s’è immediatamente levato, compatto, il muro degli esperti di Internet, che hanno giustamente a cuore la libertà del Web, e diffidano profondamente degli interventi legislativi in materia, che spesso tradiscono l’intento di “schedare” e condizionare l’espressione di dissenso in Rete. Eppure, tra le voci degli esperti, da quelli che stimo meno (ed evito di citare) a chi stimo di più, come Massimo Mantellini che ha parlato di “una cretinata”, fino a chi stimo moltissimo anche per il suo equilibrio, come Corrado Giustozzi che ha commentatonihil sub sole novi”, ricordando una precedente analoga iniziativa parlamentare rimasta poi lettera morta, nessuna ha riconosciuto che ci troviamo di fronte a un problema reale e grave, e che, come al solito, se non viene affrontato in termini di efficace autoregolazione diventa facile esca per tentativi, anche maldestri o capziosi, di eteroregolazione.

L’anonimato su Internet ha, come molti hanno osservato, un valore anche di tutela del dissenso e della libertà di parola, specialmente nei casi e nei luoghi in cui dissenso e libertà di parola sono repressi. Ma un sistema di identificazione forte degli utenti non implica che gli utenti stessi non possano usare un nome falso quando scrivono, o che chiunque debba avere accesso alla loro identità: ognuno potrebbe anche avere cento account fake, l’importante sarebbe che tutto quello che si scrive sia riconducibile, da parte di chi gestisce la piattaforma, a un’identità certa, un nome e cognome (o, molto meglio ancora, a un token permanente rilasciato da uno IAM terzo, ma qui vado un po’ nel tecnicismo).

In conclusione: è vero, la proposta di Marattin è, in sé, sbagliata. Ma sarebbe il caso che, di fronte al crescere dell’attenzione mediatica e politica su questo tema che è reale e cruciale, chi è in grado di elaborare proposte “giuste” e di promuoverle presso i grandi player di Internet, lo facesse, anziché limitarsi ad assegnare patenti di cretino. Altrimenti, penso sia solo questione di tempo prima che venga approvata una legge che non risolve il problema e ne genera magari altri.