Due doverosi riconoscimenti iniziali: il termine ‘Sussidistan’ è conio del Presidente di Confindustria, e ripreso da Pietro Garibaldi in un breve ma incisivo testo in cui critica il reddito di cittadinanza e il suo sostanziale fallimento, come stiamo per vedere. Il termine goliardico ‘cazzo di cane’ è una citazione da cinefili, e per ciò stesso dotta, ammissibile, con riferimento alla mia serie TV preferita, nonché fantastica parodia della società italiana (Boris).
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Tributati doverosamente gli onori a chi li ha meritati, torno al testo di Garibaldi dove si legge
Il problema del reddito di cittadinanza non è nel tentativo [si noti: “tentativo”… – NdA] di aiutare i poveri. Il problema è invece legato ad alcuni suoi vizi di definizione e soprattutto alla confusione che è stata fatta tra l’obiettivo di combattere la povertà e quello di assistere i disoccupati a cercare lavoro. Nel disegnare il reddito di cittadinanza ci si è troppo concentrati sugli annunciati 780 euro per ciascun individuo, finendo così per dare troppo ai single e troppo poco alle famiglie numerose. Un cambiamento ovvio dovrebbe pertanto riguardare la decurtazione o l’azzeramento dell’importo per quelle famiglie che non abbiano usato per intero il sussidio caricato sulla loro carta sociale.
Continua Garibaldi:
A luglio 2020, secondo l’Inps vi erano circa 1,3 milioni di persone maggiorenni beneficiarie del sussidio che secondo il cosiddetto patto di servizio con lo Stato erano disposte a lavorare. […] E’ questo il vero ovvio fallimento del reddito di cittadinanza. Basti pensare che al primo appuntamento con i centri per l’impiego si sono presentati soltanto 7 destinatari del reddito su 10. In sostanza, quasi 400 mila persone non hanno nemmeno sentito il fastidio di presentarsi all’incontro, forse ignare che – in un Paese normale – un comportamento di questo tipo dovrebbe portare a perdere il sussidio.
E conclude:
Questo approccio tutto italiano ai problemi strutturali è ciò che infastidisce e insospettisce i nostri partner europei. Se vogliamo presentarci più credibili all’appuntamento con per il Next-EU fund, proviamo seriamente a mettere le cose a posto nel paese delle meraviglie. Sul reddito di cittadinanza, concentriamo ogni sforzo per evitare che il sussidio sia concesso a persone che hanno problemi con la giustizia, che lavorano in nero o che siano proprietari di auto di lusso, come troppo spesso ci capita di leggere in questi giorni. Una volta affrontato seriamente questo compito a casa, sulle politiche attive e sul sostegno alla ricerca di lavoro, diciamo la cruda verità ai nostri partner europei. Ammettiamo che i nostri centri per l’impiego sono troppo pochi e mal funzionanti, che i navigator non possono risolvere il problema della ricerca di lavoro e che le infrastrutture digitali per far incontrare domande e offerta di lavoro sono inadeguate.
Insomma, dietro una prosa cortese e pacata, mi pare che nulla del reddito di cittadinanza sia salvabile, secondo l’opinione di Garibaldi che sottoscrivo. Ma quello che mi interessa è la chiusura (ultima citazione qui sopra): un “approccio tutto italiano ai problemi strutturali”. Un approccio… parola grossa. Certamente un andare incontro ai problemi, un buttarsi da qualche parte e in qualche modo, ma la parola ‘approccio’ non deve in nessun caso dare l’illusione di una riflessione razionale a monte, di uno studio preliminare o – non sia mai! – di una valutazione delle costose politiche messe in atto così, alla buona. Alla cazzo di cane (si veda l’esempio attualissimo del Recovery Fund, ce l’ha raccontato tristemente pochi giorni fa Ottonieri).
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La cosa di cui personalmente non mi do pace è che fare le cose bene, o farle alla cazzo di cane, costa esattamente lo stesso sforzo; consente di andare a parlarne nei salotti TV allo stesso modo; fa lavorare i Ministeri allo stesso ritmo; la gente continuerebbe a votare a vanvera come sempre… Voglio dire: fare le cose bene, se non posso appellarmi a un senso di responsabilità delle classi dirigenti (appello che oggi appare borbonico, e quindi ridicolo), almeno farebbe fare bella figura in Europa, ti strapperebbe un titolo sul Wall Street Journal (che lo puoi sempre mettere nel curriculum), farebbe fare a Bild una copertina anti italiana in meno, farebbe cambiare faccia a Rutte… Ecco: fatelo per Rutte! Poiché state in Parlamento esattamente per fare queste cose, diamine, fatele bene!
Credo di fare il mio dovere di cittadino modello proponendo qui di seguito i pochissimi punti essenziali da seguire per fare le cose bene. Cerco di spiegarmi con parole facili, se Toninelli non capirà, anziché farselo spiegare da Castelli mi chiami in privato che gli faccio i disegnini.
- Non ci sono problemi strutturali nazionali semplici, con soluzioni ovvie conosciute anche dalla massaia di Voghera che basta volerlo e si risolve tutto in due e due quattro. Ogni problema sociale, economico, amministrativo, gestionale, etc., va compreso nelle sue molteplici cause; va inoltre compreso che il mondo non funziona a stanze separate, e che ogni problema influenza, in qualche modo, vari altri ambiti socio-economici. Quindi: prima si studia, poi si interviene.
- Lo studio e il successivo intervento non sono ideologici ma si basano su analisi economiche, sociologiche e quanto serve, fatte da studiosi accreditati, terzi, di chiara fama. Non da studiosi amici degli amici, non da studi professionali servi, non dai compagni di scuola di Di Maio né dal popolo sovrano.
- Ogni soluzione a un problema comporta, di regola, l’apertura di nuovi problemi, di altro tipo; ogni beneficiario di un intervento pubblico comporta l’indebolimento (semmai relativo) di altre categorie; ogni “vincitore” di politiche pubbliche comporta dei “perdenti”. Il ruolo della politica è appunto questo: scegliere chi beneficare anche a scapito di proteste di presunti perdenti, favorire certe politiche e non altre; sempre sulla base di indicazioni razionali, ovvio, ma assumendosi la responsabilità di scelte strategiche.
- Ogni politica, per quanto attentamente pianificata, va poi monitorata e verificata, e valutata. Nessuna esclusa. Perché il mondo cambia in fretta e bisogna cambiare e adeguare le politiche che prima andavano bene; ma anche perché la programmazione delle politiche non ha molto a che fare con l’esattezza della chimica, e ogni studio preliminare, per quanto accurato, ha margini di incertezza che devono poi essere valutatati.
In Italia, invece, in questo Sussidistan dove si fanno le (poche) cose che si fanno su base estemporanea e ideologica, o per fare un dispetto agli avversari, si buttano soldi qua e là, nell’indubbia felicità di chi li riceve immeritatamente, e non si risolve un solo problema reale del Paese: quota 100, reddito di cittadinanza, centri per l’impiego con gli inutili navigator, costi strampalati in sanità, immigrati respinti o trattenuti o lasciati scappare così, secondo il clima e la distrazione del momento senza risolvere il problema (che ormai va contato per lustri, neppure per anni o mesi), la gestione della scuola al tempo della pandemia, una buona legge elettorale che non sia scritta da Cetto Laqualunque, e questi sono solo temi immediati, neppure troppo grandi se comparati al buco nero della Giustizia e delle carceri, alla mai pervenuta politica estera, ai difficili rapporti con l’Europa, al PIL tracollato e a un sistema produttivo in affanno verso il quale si fanno solo chiacchiere…
Allora: per favore non venitemi a parlare dello stipendio di Tridico; non perdete tempo con l’assoluta e definitiva mascalzonata perditempo del taglio dei parlamentari; la politica (politics) significa realizzare delle politiche (policies); prendete un pezzo di carta e scrivete i primi dieci giganteschi problemi che vi vengono in mente, uno per Ministero, toh, così lavorano tutti. Incominciate a studiare. STU-DIA-RE, cari ministri, cari direttori generali, cari capipopolo. Affidatevi a bravi professionisti che non vi toglieranno il potere, restando vostre le scelte strategiche, come scritto sopra. Mettete in campo politiche strutturali vere e monitoratele e valutatele, che la valutazione è la più grande alleata della politica, se fatta bene.
Certo, questo porta a scrivere molti meno tweet infuocati, molti meno stati Facebook indignati, molti “si vergogni!” in meno nei talk show. Eh sì, questo è davvero un prezzo alto da pagare…
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