La sindrome occidentale

Bel corsivo di Antonio Polito sul cronico ritardo dell’Occidente (tutto, lui fa vari esempi non solo pandemici) di fronte alle crisi. Scrive il giornalista:

tutto l’Occidente arranca. E viene da chiedersi perché. Perché società opulente, ricche di risorse economiche e tecnologiche, dotate di apparati statali elefantiaci e onnipresenti, vengono messe in scacco da una epidemia che sembra provenire dalla notte dei tempi? Eppure il Covid non è un cigno nero, un evento imprevisto e imprevedibile [eccetera].

Ecco, poniamoci il problema con una visione globale: il problema è dell’Occidente, perché, come sapete, In Cina, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Thailandia le cose vanno molto diversamente (anche in Australia e Nuova Zelanda, che ovviamente sono ascritte all’Occidente, ma lasciamole stare per un momento). Ci sono motivi differenti e vari, che in questo articolo sono spiegati abbastanza velocemente: tecnologie, big data, tracciamento, qualche intuizione felice… E già da noi queste cose (da noi Italia, da noi Occidente) sembrano irraggiungibili: solo sul tracciamento (una cosa ovvia, si potrebbe dire) la meschina esperienza di Immuni dovrebbe farci fischiettare imbarazzati guardandoci la punta delle scarpe…

L’andamento giornaliero dei casi di Covid 19 in Italia. Fonte: Johns Hopkins University.

Una cosa che sfugge, spesso, a chi come Polito propone queste riflessioni, è la superficialità del fermarsi ai comportamenti, senza capire che questi sono la manifestazione sociale di culture. Mi spiego: perché in Oriente il tracciamento ha funzionato, e da noi no? Perché il lockdown (ricordate quello memorabile di Wuhan, a inizio epidemia?) ha funzionato in Cina e da noi così così? Perché – sempre a Wuhan – in piena esplosione epidemica hanno costruito un efficiente ospedale robotizzato in dieci giorni, mentre da noi i reparti scoppiano, e rischiano di dovere respingere i malati?

Restando al caso cinese – il più eclatante e, ammetto, l’unico che conosco abbastanza bene – la risposta (ancora una volta superficiale e disinformata) è l’autoritarismo. Essendo la Cina autoritaria, possono fare il bello e il cattivo tempo e i cittadini devono obbedire e zitti, se no chissà cosa potrebbe succedere loro. Niente di più sbagliato. Intendo dire: sì, certo, la Cina è un Paese autoritario, e col Potere, là, si scherza poco. Ma se veramente pensate che i cinesi abbiano contenuto il virus sulla punta delle baionette, sbagliate di grosso. Nel ricordarci l’andamento (sostanzialmente prossimo allo zero) del Covid 19 in Cina, Fiammetta Rubini, su Money.it, ci fornisce qualche indizio: fra i vari fattori che hanno concorso a circoscrivere il contagio, la giornalista rammenta anche “l’accettazione dell’uso obbligatorio della mascherina da parte della popolazione senza polemiche o esitazioni”, e ci spiega, citando una fonte americana:

In Cina hai una combinazione tra una popolazione che prende sul serio le infezioni respiratorie ed è disposta ad adottare interventi non farmaceutici, con un governo che può imporre forti limitazioni alla libertà individuale, che non sarebbe considerato accettabile nella maggior parte dei Paesi occidentali. L’impegno per il bene superiore è radicato nella loro cultura; non c’è l’iperindividualismo che caratterizza gli Stati Uniti e che ha guidato gran parte della resistenza alle contromisure contro il coronavirus.

Eccola la chiave: il governo cinese, che non deve “accontentare” nessuna categoria perché non ha scadenze elettorali in agenda, impone con rapidità delle norme intelligenti ed efficaci che sono accettate dalla popolazione.

L’andamento giornaliero dei casi di Covid 19 in USA. Fonte: Johns Hopkins University.

La grande distanza fra cultura occidentale e orientale si consuma nelle diverse strade intraprese nel corso di 5.000 anni di storia. In particolare due grandi guide spirituali con importantissimi riflessi nella vita sociale, il confucianesimo e il buddhismo, hanno formato una società orgogliosa, tenace, operosa, ma soprattutto intrisa di un elevato senso di responsabilità sociale e di una accettazione del ruolo dell’individuo nel mondo che solo per ignoranza potremmo chiamare “fatalismo”. Per i cinesi, affrontare con successo l’epidemia era un obbligo nazionale, civico, etico. A Wuhan (epicentro e scaturigine della crisi) vivono i miei consuoceri, e conosco di prima mano il loro assoluto rigore nel rispettare le disposizioni governative, anche a costo di non vedere per settimane figlio e nipote (residenti in altra parte della città); alimenti e i farmaci essenziali portati loro a casa per non farli uscire, mai, neppure per fare la spesa, a cura di un servizio pubblico che aveva reclutato anche i taxi locali per la bisogna. I cinesi che cantavano l’inno nazionale dai balconi… (sì, qualcuno l’ha timidamente fatto anche da noi, a suo tempo; ora da noi non canta più nessuno).

Il tema non è la repressione: Russia, Brasile, diversi mediorientali, sono Paesi autoritari devastati dal virus, perché non basta affatto cercare di imporre, se non c’è adesione e partecipazione del popolo; questo può non essere vero in diversi ambiti sociali: il lavoro, la scuola, le tasse… ma quando arriva un nemico invisibile a gettare la gente nel panico e nell’incertezza, l’autoritarismo traballa. In Cina non ha vinto il governo, ma tutto il Paese: governo e popolo.

Ecco la sindrome occidentale che manifesta il vulnus delle sue storiche, sofferte, illuminate democrazie. È talmente scomodo affrontare questo argomento che posso immaginare di infastidire qualche lettore, ma ben venga il fastidio se ragioniamo assieme. In Occidente i governi sono eletti, sono fragili, hanno necessità del consenso… che in epoca di esplosiva complessità sociale significa decine e decine di parti sociali concorrenti, ciascuna con la propria agenda, ciascuna con le proprie logiche; significa mediazioni infinite che, inevitabilmente, deprimono la qualità della decisione finale; significa una selezione sempre più incerta e casuale della classe dirigente, come l’esperienza 5 Stelle ha mostrato in maniera drammatica; significa accoglienza di ogni istanza (e questo appare indubbiamente molto democratico) fino al masochismo autolesionistico, come riscontrabile dai profili dei rappresentanti politici (Sara Cunial, per dirne una; Donald Trump, per dirne un’altra…). La democrazia del Settecento, per cui si è combattuto nei secoli successivi, ha avuto alcuni bagliori di speranza a metà del secolo scorso, ma fattori storici già trattati su HR, e le conseguenze sociali di questi, hanno radicalmente mutato i presupposti concreti e fattuali di quella Democrazia che, nella realtà occidentale, è più un concetto astratto che una realtà praticabile.

L’andamento giornaliero dei casi di Covid 19 in Cina. Fonte: Johns Hopkins University.

Governo e popolo; popolo e sua cultura; cultura e comportamenti; comportamenti e classe politica; classe politica e governo.

Quando, insistentemente, parlo di un nuovo paradigma sociale e politico per il Terzo Millennio, dico esattamente questo: oggi, 2020, l’Occidente si trascina in un simulacro di democrazia che ha sempre meno connotati democratici: siamo una società ingiusta, disuguale, punitiva, con profusione di false libertà a fronte di una costante riduzione delle libertà una volta ritenute sacre. Siamo una società fortemente omologata, che nel mio personale lessico è quanto di peggio io possa dire di una società di massa che alleva servi, privi di pensiero autonomo. Il declino dell’Occidente è semplicemente segnato, perché la strada materialista tracciata, che insiste sulla produzione, il commercio, lo scambio economico e finanziario, premia l’Oriente e la sua capacità di costituirsi come una potente macchina da guerra.

Non sto tessendo le lodi della Cina. Sto dicendo che il suo modello (politico e sociale, culturale e morale…) è vincente. È vincente, ne sono convinto, sia che a me piaccia sia che non mi piaccia, e quindi è inutile la critica sterile: il Tibet è cinese; Honk Kong è cinese, e zitti; gli Uiguri? In culo gli Uiguri e i loro diritti del cazzo. Non vi piace? E chi se ne frega! La Cina ha una posizione dominante tale, costruita in decenni di paziente lavoro non guardato dai presuntuosi occidentali, che gli permette di infischiarsene altamente del nostro “democratico” parere. E per ogni colpa che imputiamo alla Cina la Cina ne può imputare due all’Occidente. E nessuno osa alzare un ditino per proporre sanzioni alla Cina…

Anche di fronte al Covid queste riflessioni sono pertinenti: noi inseguiamo il virus, tentenniamo con decretini superati dai fatti il giorno dopo; dobbiamo affrontare le contestazioni di piazza; non sappiamo pianificare nulla in emergenza perché ci sono vincoli, ci sono corporazioni avverse, ci sono leggi di traverso, c’è incapacità, c’è, soprattutto mancanza di assunzione di responsabilità, il concetto chiave, “responsabilità”.

Responsabilità fra i cittadini; responsabilità delle autorità locali (di De Luca, giusto per fare un nome a caso); responsabilità degli scienziati (Zangrillo, per fare un nome a caso); responsabilità dei parlamentari di opposizione (mettete pure voi i nomi che volete); e infine responsabilità del governo. Ma, ovviamente, bisognerebbe averlo, un “Governo”!