Mi ero un po’ esasperato di fronte a certi sofisti che cercano, dopo gli attentati francesi, di ribaltare la logica dell’incommensurabilità fra la blasfemia di Charlie Hebdo (e sua difesa macroniana) e le ammazzatine islamiste (e le spaventose dichiarazioni di Erdogan). Leggendo tal Mauro Armanino, per esempio, ho trovato una tale ingarbugliata incoerenza, un tal minestrone illogico, che avevo anche iniziato a scrivere una replica, poi cestinata pensando che – mi scusi Armanino – forse la mia verve polemica poteva meglio essere impiegata altrove. Ma poi, niente, eccone un’altra, stavolta sulla Stampa, e stavolta a firma della prestigiosissima Donatella Di Cesare, nota filosofa, saggista, pensatrice e chi più ne ha più ne aggiunga, che scrive qualcosa che non condivido affatto – e fin qui peggio per me, ovvero per nessuno, e “chissenefrega” aggiungetelo a piacere – ma che per sostenere ciò che sostiene compie quello che Ryle ha definito un “errore categoriale”, che è un tipo complicato di fallacia logica.
I nostri lettori sanno come funzionano questi miei interventi, poiché ne faccio abbastanza spesso: prendo un testo e cerco di mostrarne logiche e fallacie, non tanto (o non solo) per una critica al tema trattato, ma per mettere in guardia contro un modo di ragionare che – compiuto dal nostro macellaio di fiducia o dalla nota filosofa – semina disorientamenti nei lettori. Insisto: l’arzigogolato commento in punta di penna, destinato a essere letto da poche centinaia di colti e mediamente colti è l’equivalente delle fake news diffuse via Facebook a migliaia di sempliciotti. Combattere le fake news è un dovere, ma anche smontare piccole aberrazioni concettuali lo è, perché seminano il dubbio (ma lo fanno con premesse errate) fra un pubblico che dovrebbe, invece, ragionare con lucidità e aiutare l’opinione pubblica ad orientarsi.
Scrive Di Cesare, proprio nelle prime righe del suo intervento:
Davvero la libertà consiste nel diritto alla blasfemia, nella pretesa di insultare, bestemmiare, profanare quel che è “sacro” per gli altri? Una società liberale sarebbe allora quella dove, ad esempio, oltre a essere oltraggiato il Tetragramma, il nome ebraico di Dio, potrebbero venir infangati i simboli cristiani, offesa ogni altra forma di religione.
Questo è solo l’incipit, e già dobbiamo indicare l’arbitrarietà dell’equivalenza, piuttosto esplicita, fra libertà e blasfemia, e fra blasfemia e oltraggio e infangamento (delle altrui religioni). È assolutamente ovvio che la ‘libertà’ (concetto vago, di grande intensione, polisemico, declinabile in una discreta quantità di varianti) non è riducibile a ‘blasfemia’; ma dove l’ha letto? Ma dove l’ha sentito? Né si può sostenere che la blasfemia sia, sempre o necessariamente, oltraggio. Anche limitandosi al caso in questione, le stupide vignette di Charlie Hebdo e quel che ne è seguito, non c’è mai stata tale speciosa equivalenza.
Ho già avuto varie occasioni in passato per smascherare questa specie di “trucco”: si propone un asserto iniziale, non discusso, non argomentato, che definisce l’a priori attorno al quale erigere un castello argomentativo successivo; la fallacia magistrale non è più (solo) nelle pieghe di tale argomentazione, ma nel fatto che il suo valore si basa sull’a priori, e tale a priori è invece indimostrato.
In questo caso la blasfemia può essere (per me lo è, per alcuni lettori forse no) uno degli indicatori (= componenti) del concetto di ‘libertà’ (come ho argomentato QUI); in termini logici: è una delle sue componenti intensionali. Assieme alla libertà di voto, alla possibilità di viaggiare e di leggere, alla libertà d’impresa, di avere relazioni omo oppure eterosessuali e decine e decine di altre che, tutte assieme (alcune di più, altre di meno; alcune più importanti per me, altre per voi…) formano ciò che chiamiamo ‘libertà’. Se io scrivessi un testo polemico verso gli omosessuali iniziando con “Davvero la libertà consiste nel diritto all’omosessualità, nella pretesa di vestirsi da donna e girare seminudi nei cosiddetti Gay Pride…?” voi pensereste certamente i) che sono forse omofobo, ii) che nessuno ha mai ridotto la libertà al Gay Pride, e iii) che il Gay Pride e le unioni omosessuali sono una delle componenti intensionali del concetto di ‘Libertà’. È ovvio che lo sia. Anche se siete contro le unioni omosessuali, sotto un profilo strettamente logico si tratta di una libertà, una delle tante possibili; ma ovviamente ‘libertà’ è anche un’altra montagna di cose…
Continua Di Cesare:
La libertà dell’insulto ricorda quella di chi gira senza mascherina.
No, esimia filosofa, qui c’è un altro macroscopico errore categoriale. Vedo di spiegarmi. Girare senza mascherina consente al virus di trasferirsi dalla vostra bocca ai miei polmoni, o viceversa. È un fatto (prendendo per buono il mainstream scientifico, che in questo caso mi pare sensato). Se voi girare senza, quindi, attentate alla mia salute, contribuite a vanificare le misure di contenimento del governo e delle autorità sanitarie, contribuite a intasare gli ospedali e ad aumentare la spesa pubblica. Questi sono fatti facilmente documentabili, i posti letto sono monitorati, i costi sono calcolabili.
La libertà di insulto può disturbare, essere di cattivo gusto e provoca reazioni assassine ma, diamine! parliamo di opinioni, che si esprimono sopra o sotto le righe ma opinioni restano. Indipendentemente dal pensiero religioso, o laico, della filosofa, viviamo dentro le nostre opinioni (di comunisti o di anticomunisti, di romanisti o laziali, di atei o devozionisti…) che sono sì, queste, componenti piuttosto rilevanti del concetto di ‘libertà’ come tramandato nella vulgata occidentale. Se io scrivessi: “La libertà di essere comunisti ricorda quella di chi abusa di minori” probabilmente insorgereste; ma cosa dici? mi gridereste, ma cosa c’entra? Ecco: la sintassi è la medesima, nella mia frase e in quella della filosofa. E in entrambi i casi c’è il medesimo errore categoriale che però, in un testo giornalistico, passa veloce sotto gli occhi e si pianta nella mente, come un seme maligno.
Prosegue Di cesare:
All’indomani di ogni attentato viene riproposta, con accenti reboanti, l’alternativa tra “laicità e fanatismo”. O con Macron o con Erdogan! Ed è il caso allora di rispondere chiaro e forte: né – né.
Altra fallacia, piuttosto banale devo dire: nel lessico occidentale ‘laicità’ fa riferimento sia a comportamenti che a forme di governo (ha molta estensione) ed è solitamente connotato positivamente (tranne che da Adinolfi, probabilmente), mentre ‘fanatismo’ è solo un comportamento che – come quasi tutti gli -ismi – ha connotazione in sé negative. Quindi: che razza di paragone propone? L’ Autrice aveva altre scelte: contrapporre “infantilismo”, “volgarità”, “imprudenza” del giornale Charlie Hebdo al fanatismo. Forse qui un discorso (ma di breve respiro) ci poteva stare. Ma poiché la Nostra ha una tesi preconcetta anti-macroniana (leggere l’articolo, qui non posso dilungarmi) ha dovuto fare una giravolta: non parlare più di Charlie Hebdo ma di Macron e del suo modo – negativo secondo Di Cesare – di difendere la laicità francese. Quindi, leggendo, si è passati dalle stupide vignette di un giornaletto che hanno scatenato la furia omicida di fanatici islamisti, alla politica laica di un Paese sovrano e di come quel Paese intende preservarla, contrapponendola agli assassini che, malgrado quanto scrive l’Autrice, ne escono depotenziati nell’orrore di quanto hanno commesso (anche l’Armanino citato all’inizio, con molti meno strumenti culturali e linguistici di Di Cesare, compie una forzatura analoga).
I miei pochi lettori saranno a questo punto già sfiniti. Mi congedo quindi rammentando al volo come Di Cesare compia altre scorrettezze, anche gravi: per esempio definire la difesa della laicità come “laicismo” (un altro -ismo, negativo quindi, da evitare, da disprezzare); o compiere generalizzazioni (a mio avviso errate) senza dimostrazione (per esempio: “Nel mondo globalizzato le religioni svolgono ormai, che lo si voglia o no, un ruolo importante”; ma chi l’ha detto? Nel mondo globalizzato le religioni stanno perdendo vistosamente terreno a favore della laicità); e, infine, una tesi davvero enorme, se non abnorme:
E, da tempo, la “laicità” non è più il luogo neutro di confronto.
Ma come: se non è territorio neutro la laicità, dove tutte le religioni sono parimenti accolte, dove crede, la filosofa, di trovare tale terreno? La laicità, ovviamente, è una pratica, e come tale compie errori e si declina in mille modi; può anche darsi che quello francese, e di Macron in particolare, non sia stato il migliore, ma la riduzione a errore del “laicismo militante” di Macron di fronte alla follia ottusa, cieca, vile dell’islamismo terrorista, di fronte al cinismo fascista di Erdogan, di fronte alla vaghissima e blanda presa di posizione del mondo islamico che si considera moderato, ecco: di fronte a tutto questo il testo di Di Cesare non è solo un confuso bla bla retorico infarcito di fallacie logiche ed errori categoriali, no, è qualcosa di peggio: è un gesto insensato, è un tradimento realizzato per autocompiacimento.
La cosa che mi sconcerta è la leggerezza con la quale una persona di grande cultura e di evidente esperienza e competenza può compiere sciocchezze di questo genere. Il suo testo è tutto un errore logico (e sì che la Di Cesare – traggo dalla Wikipedia – fa parte del Comitato scientifico della Internationale Wittgenstein-Gesellschaft e dei Wittgenstein-Studien. Povero Wittgy!). Perché accade? Io ho una risposta, che credo abbastanza valida in generale, non posso sapere nello specifico caso di Di Cesare: accade per ideolog-ismo, accade perché si scrive “a tesi”, ovvero per dimostrare (con artifici linguistici) un’idea preconcetta. Siamo tutti intrisi di idee preconcette, pre-saperi, routine mentali, saperi taciti… (ne ho parlato recentemente QUI); è così, va bene così, ci servono, quelle routine, per la nostra vita quotidiana.
Ma l’intellettuale ha il compito di alzarsi un pochino sulle punte dei piedi, cercare di guardare un po’ oltre. Se investi un’ora, o un pomeriggio, del tuo tempo per prendere una posizione pubblica, da diffondere in una testata di prestigio, ecco: si deve supporre che tu – intellettuale affermata – investi un pochino di tempo per liberarti delle tesi e degli a priori dai quali sei dominata, e che con la sagacia dell’età, e l’esperienza della tua professione, eviti fallacie, errori, falsità, e trucchetti linguistici buoni, al massimo, per un Travaglio qualunque.
Aggiornamento 3 novembre 2020, ore 9,50: Questo articolo è stato scritto prima che arrivasse la notizia dell’attentato di Vienna. In modo sinistro e indesiderato, mi pare che assuma una valenza ancora più inquietante verso coloro che in nome di un errato relativismo, di un terzomondismo mal inteso o di un anti-occidentalismo militante assolutamente fuori luogo, intendono galleggiare fra laicità e islamismo, fra democrazia e violenza, fra libertà e servitù senza prendere una parte chiara e decisa (CB).