Che siate di destra o di sinistra non credo possiate negare il caos amministrativo e politico del nostro Paese, che contribuisce pesantemente all’aggravarsi delle ingiustizie su base territoriale (oltre a quelle dovute alla crisi economica). Se provate anche solo la metà del disgusto che provo io di fronte agli sciagurati comportamenti dei presidenti regionali (vanitosamente, arrogantemente definiti “governatori”), non potete che disperarvi per le folli scelte che portarono il centrosinistra, nel 2001, a modificare il Titolo V della Costituzione permettendo questa deriva (in opposizione a Bossi, in cerca di visibilità, per calcolo elettorale…). I danni profondi di quella scelta (molto miope, di bottega, da rubamerende, di piccolo cabotaggio tattico, senza una visione alcuna, senza strategia, senza valutazione, senza spessore) sono ormai ben chiari, descritti, commentati da molti (alcuni riferimenti in fondo): molti commentatori, molti giuristi, diversi giornalisti, pochi politici (specie a “sinistra”). A livello popolare c’è piena coscienza del fatto “che le cose non vanno”, ma l’implicito tecnicismo della materia non consente una consapevolezza di massa sulla iattura del Titolo V (e questa è stata una delle principali ragioni del fallimento del referendum costituzionale di Renzi, nel 2016, che aveva come pilastro fondamentale questa riforma).
Ci possono essere molte forme di regionalismo, e alcune di federalismo (che ovviamente è qualcosa di più) a patto che l’architettura immaginata garantisca questo punto fondamentale: la soppressione delle materie concorrenti. Significa che, a differenza di quanto avviene oggi, e da venti anni, alcune cose le deve fare solo lo Stato e altre cose le devono fare solo le Regioni. Nelle competenze dello Stato, ciò che viene deciso è legge per tutti, e nessun satrapo locale può contestare o addirittura impugnare ciò che è di esclusiva competenza statale; di contro, ciò che viene contemplata come competenza regionale è di esclusiva competenza di ogni Regione, ed evidentemente non può essere contestata dal governo. Vi stupirà, ma oggi non è così, e su decine di questioni fondamentali le competenze sono confuse, sovrapposte, confliggenti, e quindi lo Stato e le regioni sono continuamente in contenzioso, con conseguenze concrete sull’efficienza, e quindi sulla vita dei cittadini.
È assolutamente evidente che, qualunque forma di regionalismo o federalismo si abbia in mente, occorre avere la medesima saggezza che governa il rito di salare l’insalata: moderazione, attenzione, lungimiranza. Una volta che le Regioni si vedano attribuiti alcuni poteri hanno ogni diritto di esercitarli discrezionalmente, e ciò può aprire spaventose disuguaglianze fra cittadini di regioni diverse. Se l’esempio della sanità non vi basta non saprei proprio che esempio migliore farvi. La salute è di tutti, è una responsabilità centrale (non a caso esiste un Ministero specifico), ma è di pertinenza anche regionale (la stragrande maggioranza dei bilanci regionali è assorbita dalla sanità; giri spaventosi di quattrini, primariati, potere…), e sappiamo bene come ci siano sprechi fantasmagorici ben collocabili in determinate aree della mappa regionale italiana (vi raccomando questo vecchio post di Filippo Ottonieri sui costi sanitari).
Il problema è come eliminare questa palla di piombo che ci porta a fondo.
Carlo Galli ne parla abbastanza chiaramente in un recente contributo sulla Repubblica, dove esprime con sufficiente incisività il danno tremendo alla nazione e alla sua integrità di questa situazione (forse un filino di critica e autocritica alla “sua parte”, che ne è responsabile, sarebbe stata apprezzabile), ma dopo la pars denstruens (che sottoscrivo) anche a Galli manca la proposta operativa. Scrive Galli:
La cura – difficile – è una sola; una politica che si assuma le proprie responsabilità a tutti i livelli, che si avvii chiaramente a porre riparo alla sconnessione istituzionale, alle inefficienze e alla trascuratezze che funestano il nostro presente, e alle disuguaglianze sociali e territoriali, così che i cittadini possano ancora sentirsi parte di un destino comune e di un Paese unito.
Questa non è una proposta operativa; è una generica raccomandazione, come quando diciamo al bambino “sta’ attento”, o al congiunto che esce in auto “vai piano”… Raccomandarsi di una politica “responsabile” è un alito di vento… Posso scommettere il mio ultimo Euro che è d’accordo anche Salvini, assieme a Paolo Ferrero, a Conte e Gianluca Iannone, tanto non vuol dire nulla.
Una “controriforma”, che sani i pasticci del governo Amato e del suo ministro alla funzione pubblica Bassanini, ha bisogno di passare attraverso un potente laminatoio che preveda:
- un reale dibattito autocritico nella “sinistra” che porti a un serio, sincero, reale, dibattito politico e istituzionale su questa materia;
- una reale apertura politica a quelle parti di opposizione aperte al possibile dialogo (probabilmente non Salvini; forse Berlusconi);
- una proposta parlamentare, bipartisan, per una seria riforma che abroghi l’orrore dell’attuale regionalismo.
Questi tre punti hanno un ordine logico e necessario.
Perché non se ne farà nulla? Molto semplice: il primo punto di questo elenco è improponibile, perché non esiste più una “sinistra” (per questo, da oggi in poi, utilizzerò le virgolette enfatiche); quel che ne resta non è assolutamente in grado di organizzare una seria riflessione corale, scontando una divisione per bande che vede, fra i diversi capibanda, non pochi satrapi al governo di regioni rosse, o rosa, ex rosse, o comunque ascrivibili a questa parte politica: e poiché questi capibanda governano un potere reale, maneggiano soldi, distribuiscono favori, controllano voti, è piuttosto difficile immaginarli seriamente all’opera per la costruzione di un progetto che toglierebbe loro potere. Infine: la svolta populista dell’attuale dirigenza PD ci lascia immaginare che il maggiore sforzo riformista, per Zingaretti & Co., si sia già consumato nel taglio delle poltrone, in sodalizio con Di Maio. Lo sforzo per ragionare su un nuovo regionalismo, onestamente, lo vedo superiore alle loro forze.
D’altro canto, poiché a destra l’egemonia è in capo al sovranismo becero di Salvini e Meloni, non è che mi possa aspettare qualche idea intelligente da quella parte.
Risorse per capire il disastro regionalista:
- Titolo V, ovvero uno dei più grandi errori della storia recente, “Alan Friedman”, 6 giu 2014;
- Federico Conti, L’Italia è una ventina di Repubbliche fondate sul ricorso, “Hic Rhodus”, 25 nov 2016;
- Alberto Abrami, Correva l’anno 2001:e la riforma del titolo V della Costituzione mandò in soffitta ogni residuo di competenza tecnica, “Pensalibero”, 17 giu 2018;
- Alberto Abrami, Alle radici del conflitto Stato-Regioni, “Pensalibero”, 11 ott 2020.