Pensare la democrazia nel Terzo Millennio. 2 -La pratica dei diritti

Una serie di punti chiave, chiari, ineludibili, per ripensare la politica, da tempo scomparsa in Italia e – probabilmente – in stato comatoso in tutto l’Occidente. Una serie di punti che riteniamo fondamentali, in ordine logico, che proporremo in diverse puntate ravvicinate. In questa seconda puntata: differenze dei diritti a livello pratico.

Invitiamo tutti i lettori a dibattere questi temi scrivendo suggerimenti e critiche nei commenti.

2. È necessario prendere atto della difficoltà della trasposizione della nozione di diritto dal profilo concettuale a quello fattuale. Proprio perché i diritti non sono un dato di natura ma un’elaborazione culturale, dichiararli non ha di per sé altro effetto che quello simbolico, che storicamente è certo stato estremamente rilevante per la crescita della dignità dell’individuo e per la fondazione delle moderne forme di Stato liberale. Eppure, se occorre ripensare la democrazia, allora dobbiamo riconoscere anche le insufficienze della consueta nozione di diritto, e perché essa, di fronte alle esigenze e alla complessità della società attuale, deve probabilmente essere superata. L’enunciazione di un “diritto” non lo rende effettivo; non solo perché, in quanto astratto, ha poi la necessità di essere tradotto in norme della legge ordinaria, regolamenti, procedure, ma perché la stessa universalità del diritto lo rende, in quanto tale, un’astrazione non esigibile. Ma per meglio chiarire questo punto, è opportuno introdurre una distinzione tra: 

2.1 “Diritti” di libertà, che non comportano un impiego di risorse comuni. Il diritto all’espressione del pensiero, il diritto alla mobilità, il diritto all’esercizio di un culto, sono tutti diritti che esprimono in realtà l’assenza di specifiche costrizioni. Questi diritti sono accomunati dalla caratteristica di “essere gratis”: uno Stato, per riconoscere il diritto di libera stampa, non ha bisogno di fondare giornali o radiotelevisioni spendendo soldi pubblici. È sufficiente che non impedisca ai cittadini di farlo, e saranno i cittadini a destinare le risorse che riterranno opportune a queste attività.

2.1.1 Questo comporta che questa categoria di diritti sia idealmente fruibile universalmente. Anzi, se io fruisco di un diritto di questa categoria spesso ne facilito la fruizione ad altri. I diritti di libertà sono per natura moltiplicativi: l’esercizio della libertà di mille cittadini rende più agevole al milleunesimo fruire della medesima libertà.

2.1.2 Per questa categoria, anziché di diritti è preferibile parlare appunto di libertà.

2.1.3 Il ruolo della politica, nel garantire le libertà dei cittadini, non è quindi investire in tali libertà, proprio perché esse devono per loro natura essere gratuite per la collettività. La creazione di organismi e istituzioni che, con l’utilizzo di risorse pubbliche, pretendono di garantire i “diritti” di libertà sono una distorsione, che non di rado anziché promuovere quelle libertà le ostacola. La libertà di stampa non si favorisce creando quotidiani e TV di Stato, né la libertà di culto si agevola finanziando una Chiesa con denaro pubblico; quando la politica lo fa, tipicamente sottrae libertà e non l’accresce.

2.2 “Diritti” di servizio, che richiedono risorse per essere fruiti. In questa categoria rientrano evidentemente il diritto all’istruzione, alla salute, alla sicurezza; diritti che i cittadini non esercitano in autonomia, ma fruendo di altrettanti servizi pubblici (o equivalenti privati, che però per essere oggetto di “diritti” devono evidentemente essere finanziati da risorse pubbliche). Questi “diritti” sono tipicamente la generalizzazione dei bisogni più comuni delle persone, proprio perché, richiedendo cospicue risorse per essere soddisfatti, comportano la costituzione di un’organizzazione pubblica per essere tradotti in realtà.

2.2.1 Proprio perché accedervi comporta l’impiego di risorse e presuppone un’organizzazione pubblica per erogarli, anziché ‘diritti’ sarebbe opportuno chiamarli servizi essenziali.

2.2.2 Chiamarli esplicitamente servizi rende evidente come questi “diritti” non possano essere realmente universali e incondizionati. Dato che le risorse a disposizione sono per definizione limitate, ogni cittadino che richieda l’accesso a un servizio compete per le risorse necessarie con gli altri che richiedono lo stesso servizio e con tutti i cittadini che richiedono l’accesso agli altri servizi, visto che per forza di cose le risorse della collettività sono un “paniere” finito. I diritti di servizio sono per loro natura ripartitivi: la loro effettiva applicazione richiede di implementare una politica di allocazione e ripartizione delle risorse. Questa politica non discende semplicemente dal riconoscimento dei diritti, e deve essere contrattata come ogni altra politica, che per definizione non potrà soddisfare ogni esigenza.

2.2.3 Per lo stesso motivo, è impossibile, quali che siano le dichiarazioni di principio sulla carta, riconoscere indistintamente l’accesso ai servizi essenziali a chi non fa parte della collettività che raccoglie le risorse occorrenti per erogarli. A chi non è parte dello Stato o dell’organizzazione sovrastatale che li finanzia, i servizi essenziali possono essere erogati solo nella misura in cui sono disponibili, senza possibili garanzie di universalità.

2.2.4 Il ruolo della politica, nel garantire servizi essenziali ai cittadini, è quello di investire e progettare. I servizi essenziali non si organizzano “da sé”: saranno disponibili in funzione della quantità di risorse e della qualità dell’organizzazione che lo Stato avrà loro riservato. Solo nella loro progettazione, che include stabilire quante e quali risorse assegnare loro (e sottrarre ad altri usi), si concretizzano i “diritti di servizio”.

2.3 In sintesi, la politica commette una simmetrica distorsione quando pretende di promuovere direttamente i “diritti di libertà” o di riconoscere universalmente i “diritti di servizio”. Nel mondo di complessità crescente in cui viviamo, lavorare per rendere fruibili i “diritti” non significa enunciare dichiarazioni di principio, ma progettare servizi efficaci ed efficienti, e stabilire con quali risorse erogarli. È la presenza di questa progettualità la vera pietra di paragone che distingue una politica che garantisce i suoi cittadini da una che si limita a dei semplici flatus vocis.

Prossimo tema: la cittadinanza digitale.

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