La cieca ideologia di Zagrebelsky, Urbinati & Co.

Libertà e Giustizia è un’associazione di sinistra nata nel 2002 con lo scopo di 

spronare i partiti perché esercitino fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi. Vuole arricchire culturalmente la politica nazionale con le sue analisi e proposte. Libertà e Giustizia vuole essere “l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica” (dal loro Manifesto costitutivo).

Fra i promotori tanta bella gente, da Umberto Eco a Giovanni Sartori, poi Umberto Veronesi, Enzo Biagi e diversi altri. In parte morti, purtroppo, in parte non lo so, ma sta di fatto che oggi Libertà e Giustizia è gestita da altre persone, tutte di notevole spessore intellettuale e in buona parte note all’opinione pubblica, a principiare da Gustavo Zagrebelsky (Presidente onorario), lo storico Paul Ginsborg, attuale Presidente succeduto a Nadia Urbinati, che molto scrive e molto si agita e probabilmente l’avrete letta su qualche quotidiano, e diversi altri e altre, tutte persone di egregio livello. Che anziché “spronare i partiti” tendono a fustigarli; che anziché “arricchire culturalmente la politica” hanno da tempo imboccato il sentiero amaro dell’opposizione organica, a testa bassa, querula e ideologica di tutto ciò che ha il profumo di zolfo del riformismo moderato, ché il gruppo (immagino ben al di là delle intenzioni dei fondatori originari, menzionati sopra) si è radicalizzato su posizioni estremistiche. L’esempio più eclatante fu il ruolo di spicco che Zagrebelsky ebbe, contro Renzi, nel fare affondare il suo referendum costituzionale; come forse ricorderete il costituzionalista scrisse un manifesto che qui su HR analizzammo attentamente, disvelandone la sostanziale pochezza politica a fronte di una retorica ideologica disarmante (la potete rileggere QUI).

Pochi giorni fa l’associazione ha pubblicato un appello intitolato L’attesa messianica, e  ripreso proprio ieri dal Fatto Quotidiano, organo di stampa ufficiale del populismo di destra e di sinistra, col non equivocabile titolo: “Con il governo Draghi la democrazia è a rischio”.

Anche se il titolo del Fatto, contrariamente a quello originale, è già di per sé un cazzotto nello stomaco, diciamo pure che riflette correttamente il pensiero dei firmatari dell’appello che trovate integralmente QUI, e che adesso commenteremo assieme.

  • Pistolotto iniziale del genere captatio benevolentiae, sostenendo – come di rito – che giudicheranno Draghi per quello che farà, senza pregiudizio alcuno.
  • Ma – qui si inizia a preparare il terreno all’artiglieria – ci sono “alcune legittime preoccupazioni”. Non vorrei tediare il lettore sin dall’inizio con osservazioni linguistiche che parrebbero secondarie, e che invece sono potenti strumenti retorici per orientare il lettore: che le preoccupazioni (in questo caso di Libertà e Giustizia) siano “legittime” è un pleonasmo inessenziale, se non fosse che l’uso degli aggettivi e degli avverbi è uno strumento per la manipolazione del senso che si vuole dare alla propria retorica.
  • “Il secondo governo Conte è stato oggetto di un’imboscata frutto dell’alleanza di Renzi con la Lega e Forza Italia, puntualmente tornati al potere.” Abbiamo appena detto che le parole servono a orientare l’opinione del lettore; loro definiscono “imboscata” quella di Renzi contro Conte; ovviamente la si può chiamare così, oppure in altri modi meno coloriti, a patto che non ci si dimentichi che la crisi innescata da Renzi è stata interamente parlamentare, alla luce del sole, gestita (prima dal Parlamento poi da Mattarella) nei termini strettamente costituzionali previsti; e sarebbe utile anche rammentare che in 70 anni di storia repubblicana di tali “imboscate” se ne sono registrate a dozzine, perché il sistema rappresentativo italiano è fatto così, lo consente, e non è che quando le trappole sono allestite dai “nostri” sono cose buone, e quando le fa il malvagio Renzi sono “imboscate” (mi chiedo cosa farebbe Libertà e Giustizia se non ci fosse Renzi… le collette per i senzatetto, la petizione per la salvaguardia del pinguino piumato…).
  • Ed ecco l’affondo: “Ancor più grave è che la scelta di chiamare Draghi al vertice di governo, a prescindere dalle valutazioni circa i suoi meriti, ha avuto il sapore di una radicale delegittimazione del ceto politico italiano, nella sua totalità.” Come immagino tutti i lettori di Hic Rhodus ricorderanno, Mattarella incaricò prima lo stesso Conte, che fallì; poi assegnò l’incarico esplorativo a Fico, che fallì. Certo, Mattarella avrebbe potuto affidare un incarico esplorativo a Gustavo Zagrebelsky e certamente la scelta sarebbe stata aggettivata come “illuminata”, ma forse né il costituzionalista organico, né Nadia Urbinati, né le tante belle persone di questo sodalizio sono venute in mente a Mattarella, e qualche ragione ci sarà. La delegittimazione del ceto politico italiano non è stata causata dall’incarico a Draghi, ma esattamente l’opposto: poiché il ceto politico italiano è apparso completamente delegittimato (inane, sfinito, vuoto di idee, incapace di trovare una soluzione politica in un momento di tragica crisi nazionale), allora il Capo dello Stato ha dovuto cercare altrove e a trovato in Draghi una risposta. Questo ribaltamento della realtà, operato da Libertà e Giustizia, mi sconcerta oggi come ogni volta che mi ci imbatto, e non me ne do ragione se non nella furia ideologica e cieca di persone che, altrimenti, non fatico a descrivere come intelligenti e preparate – ciascuna nel suo campo, spesso distantissimo da quello politologico. Ci tornerò alla fine della disamina.
  • Continuano i liberal-giustizialisti: “Un altro motivo di preoccupazione democratica è che questo governo operi in quasi totale assenza di una opposizione parlamentare. L’entusiasmo unanimista fa perdere forse un po’ di senso dell’orientamento democratico: siamo di fronte a un’assoluta anomalia. Misura di una buona democrazia non è la quiete dell’unanimismo, ma la dialettica tra maggioranza e opposizione”. Mi verrebbe di rispondere con un’invettiva romanesca: se la gran massa dei partiti ha aderito al governo Draghi, lo ha fatto di propria volontà; la Democrazia non è “obbligare all’opposizione” esattamente come non è “obbligare al consenso”; che poi molte adesioni al Governo siano opportunistiche, certo, può essere, ma la politica non è esame psicologico e introspettivo del pensiero recondito di questo e quello. Occorre poi segnalare che la maggioranza di Draghi non è la prima ad avere una tale mole di voti: il governo Monti 1 ottenne il 91,8% di consensi al Senato (più di Draghi), e l’Andreotti IV l’82,9% (più di Draghi, che è terzo con l’81,6%). Seguono Letta (69,9%, sempre Senato) e altri (fonte). Tutti pericoli per la Democrazia? Non ricordo – colpa mia ovviamente – se Libertà e Giustizia protestò allo stesso modo anche per Monti e per Letta…
  • L’affondo finale dei liberal-giustizialisti è semplicemente abominevole: “Si vuole mettere in guardia dall’imporsi di una cultura che, dando per scontata l’insipienza dei politici, si affida acriticamente a ‘uomini della Provvidenza’, prescelti dall’alto anziché mediante il meccanismo elettorale dettato dalla nostra Costituzione. […] Dietro la modalità di formazione del governo Draghi e la grancassa mediatica che lo ha invocato si intravede il rischio di altri – e meno qualificati – ‘uomini forti’, spinti dal cinismo e dalla volontà di comando, anziché da competenza e spirito di servizio. E magari la riproposizione, questa volta unanime, di ‘riforme’ costituzionali intese a legittimare un sistema di potere ‘che promana dall’alto’ e non tollera opposizioni”. Quindi Draghi, uomo “forte”, calato dall’alto, osannato da politici e giornalisti come Uomo della Provvidenza, potrebbe essere il viatico per intollerabili emergenze autoritarie, massimaliste, ducesche, fasciste.

Conclusioni: ognuno la pensa come vuole. E certamente alcuni pezzi della maggioranza sono farlocchi; e confermo che il ruolo dell’opposizione è sacro; e certamente se avevamo una qualche forma di intelligenza nel ceto politico non arrivava Draghi; e probabilmente c’è stato un Osanna acritico (dovuto al sospiro di sollievo per il fatto che arrivava qualcosa di più dei due neuroni che si agitavano alle Camere). 

Ma…

Ma l’analisi di Libertà e Giustizia è strutturalmente scorretta. Usa una retorica idonea a stravolgere e occultare la realtà per sostenere una loro tesi; se la tesi è legittima, l’artificio utilizzato per sostenerla è semplicemente un falso, una menzogna, una scorrettezza. 

È legittimo chiedersi come possano, uomini e donne di cultura, persone di statura internazionale, non capire questo? Come possono scrivere sciocchezze sesquipedali infarcite di retorica e falsità pur di sostenere una tesi politica? La risposta è sempre quella: l’ideologia.

L’ideologia è una potentissima sovrastruttura culturale e psicologica che impedisce di descrivere la realtà, impedisce un giudizio razionale e terzo, induce alla manipolazione dei lettori (o ascoltatori) con l’uso retorico di locuzioni aggettivali o avverbiali idonee a suscitare determinate immagini, determinati sentimenti; con il ribaltamento lessicale di talune proposizioni (si veda il quarto punto dell’elenco) che stravolge semanticamente il senso offerto all’argomentazione, con fallacie logiche spacciate come logica verità. 

E purtroppo non c’è quasi nulla da fare; analogamente alla prima regola del Fight Club, le persone ideologizzate si ritengono non ideologizzate, ma ragionevoli, serie, informate; anzi: loro hanno capito tutto, ma perché noi non ci decidiamo ad aprire gli occhi?

Fortunatamente Libertà e Giustizia conta come il due di picche; ma tutti loro, più tutte le migliaia di intellettuali “organici” che agiscono nelle diverse organizzazioni, costituiscono un pericolo sottile: seminano dubbi costruiti ad arte; si fanno scudo del proprio personale prestigio per sostenere falsità; transitano sugli organi di stampa per avvelenare i pozzi della convivenza inclusiva, del razionalismo in politica, del riformismo possibile.