E se archiviassimo il PD?

Una bella riflessione di Roberto Frega sull’HuffPost pone il problema con una argomentazione pulita e semplice, direi ineccepibile: il PD è un malato senza speranza, sembra il dramma dell’Alitalia trasposto sul piano della politica. Ma l’agonia della sinistra, comune a tutti i paesi europei, è stata risolta, altrove, con la nascita di forze politiche più fresche e capaci di rispondere alle sfide dei tempi e alle aspettative degli elettori: Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, En Marche in Francia e i Verdi in Germania hanno mostrato che non è la sinistra a morire, ma i vecchi partiti di sinistra sfiancati dall’incapacità di cavalcare la modernità.

Cosa ci insegna l’esperienza europea? Fondamentalmente due cose. La prima è che il progresso e l’avanzamento della sinistra e delle sue idee non passano necessariamente per i partiti che storicamente le hanno proposte. La seconda è che l’agonia dei partiti social-democratici finisce quando emergono formazioni politiche alternative capaci di perseguire in modo più efficace i loro obiettivi.

In Italia – continua Frega – il PD si pone come ingombro, immobile e stanco e incapace di evolvere, che impedisce il fiorire di due alternative di sinistra che sarebbero già disponibili:

Dalle disjecta membra del Pd sono usciti prima LEU, poi Italia Viva e Azione. Ora, è notizia di ieri 10 marzo, inizia a organizzarsi un polo liberal-socialista o social-liberalista che dir si voglia, in cui convergono forze europeiste, progressiste, che credono in un mercato efficiente ma redistributore. Dall’altro lato, LEU che raccoglie l’anima più radicale del Pd uscita in reazione alla gestione di Matteo Renzi, è pronto ad allearsi con il M5S, non si sa ancora per fare cosa, ma probabilmente per incarnare lo spirito più egualitarista e redistributivo della sinistra, mescolando assistenzialismo e populismo.

Mettendo tra parentesi il punto interrogativo costituito dal M5S, Frega sostanzialmente conclude:

Viene allora da chiedersi se l’eutanasia in corso di un partito attraversato da contraddizioni mai sanate e probabilmente insanabili non sia, in fin dei conti, il male minore. Lasciamo a Calenda, Bonino e Renzi da un lato, e a Grasso, Conte e Bersani dall’altro, fare ciò che la sinistra fa ovunque in Europa laddove riesce: difendere con due teste politiche differenziate due visioni del mondo sociale ed economico in parte diverso ma compatibile. […] Ciò che un partito unico non è riuscito a fare, sarà probabilmente più facile per una sinistra a due teste. Due teste più moderne e pragmatiche, libere dalle retoriche autoreferenziali e auto-assolutorie della sinistra con la S maiuscola che ha fatto la storia del Novecento.

Sono assolutamente d’accordo con Frega, questo è il mio medesimo pensiero, ma vale la pena segnalare le difficoltà materiali, pratiche, alla realizzazione di questa proposta che – per quel che mi riguarda – darebbe veramente un nuovo impulso a tutta la politica italiana, prima ancora che alla sinistra.

Prima questione: nessuno vuole morire; non è che si va da Franceschini, Orsini, Zingaretti e ora Letta e gli si dice “Avete fallito, mettetevi comodi in pensione!”. Il medium è il messaggio, la “ditta” è la ragion d’essere (la ditta non se l’è portata via Bersani, la ditta vive di vita propria); e guardate che non è banalmente ragione di poltrone e potere che non si vuole cedere ma, a un livello più profondo, un senso di sé che non si può abbandonare, un’idea di sé dalla quale non si può più recedere, Ego che si è strutturato in un determinato modo (indubbiamente rafforzato nel suo narcisismo dalla gestione del potere) e che rifiuta di contraddire se stesso. Questo accade e accadrà fin quando un potente esame di realtà, incarnato dalla fuga in massa degli elettori, non imporrà il tracollo del partito, anche contro la volontà dei tanti piccoli Ego che ne implorano la sopravvivenza. E questo ci rimanda alla seconda questione.

Seconda questione: l’appartenenza è adesiva; essere del PD, per un militante del PD, è  un elemento identitario; sancisce l’appartenenza alla sinistra, predefinisce una cornice di valori, e culture e un sostrato antropologico che si perde negli antenati (mio nonno partigiano, mio padre del PCI, in famiglia tutti di sinistra…). Se milioni di elettori, pur nel disorientamento, continuano a votare PD, malgrado tutto, malgrado lo strappo di Bersani, malgrado la nullità di Zingaretti, malgrado il bacio in bocca ai 5 Stelle, non è perché sono stupidi; è perché al loro disorientamento, e in alcuni casi disamoramento, non trovano un’alternativa, una delle due indicate nel testo di Frega: un’alternativa di sinistra redistributiva (LeU ed eventualmente altri) o un’alternativa riformista liberalsocialista (Calenda, Bonino e Renzi). E questo ci rimanda alla terza questione.

Terza questione: le due (possibili) alternative nascono viziate: partiamo dal polo liberalsocialista: Calenda è poco amato dalla base elettorale del PD: troppo intellettuale, precisino, un po’ cacacazzi; e Renzi? Dopo quasi un decennio in cui viene dipinto come il male, colui che avrebbe portato al disastro il PD, l’accoltellatore di Letta… è difficile ingoiare Renzi se la narrazione è questa; e poi Bonino: stimata, sì, ma fredda e distante come tutti i radicali, e certamente invisa ai cattolici di sinistra e a chi (per quanto mi riguarda: scioccamente) rinfaccia ai radicali antiche alleanze con Berlusconi, mostrando di avere capito poco di quell’operazione e della complessiva cultura radicale. Insomma: ammesso che tre caratteri così possano realmente stare assieme (una cosa della quale è lecito dubitare), ciascuno rappresenta una piccola nicchia ecologica del pensiero politico liberalsocialista che stentano a prendere quota, a rendersi interessanti e attrattivi. Il problema è nel manico; i tre hanno quel carattere, quelle presunzioni, quei difetti; non è che sono gli elettori a farglieli cambiare, semmai – più semplicemente – non li votano. Occorrerebbe uno sforzo titanico dei tre, aiutati da un gruppo di collaboratori in gamba, per fare quel cambiamento di atteggiamenti e di comunicazione atto a portarli a una proposta unitaria; semmai passando prima per una federazione. Lo faranno? Al momento non lo credo, ma annotiamocelo come una futura, interessante, anche necessaria possibilità. Viene bene quanto scritto proprio ieri da Ferrara sul Foglio:

Vedo i libbberali col botto che tanto sperano e si agitano e dicono e disdicono annaspare in un centro propulsore moderato e riformista, annegato nell’unità nazionale la più liquida, che non promette forza né voti, sebbene ne arrivi qualche buona idea, ma in un clima come sempre litigioso che non esclude, anzi implica, la solita lotta dei capi a sinistra e al centro

Sull’altro fronte, quello della sinistra-sinistra, condivido le perplessità di Frega circa qualunque apporto del M5S. Qui ho sempre dichiarato – e non ho motivi per cambiare idea – che il M5S delle origini era proto-fascista, e che quello attuale sia solo un’evoluzione opportunista di quello. L’idea che siano di sinistra, che possano costituire la base per un’alleanza di sinistra, a me fa solo venire i brividi. D’altra parte l’origine di LeU non è stata basata su valori (più redistributivi rispetto a quelli del PD, per esempio) ma semplicemente sulla frattura causata, nel PD, dalla contrapposizione fra Renzi e il gruppetto rappresentato principalmente da Bersani. In un certo senso sia LeU che M5S nascono in funzione di un contrasto, di una frattura, di un’opposizione, e non sulla base di idee, pian piano sedimentate e diventate programma, visione, e quindi alternativa. Anche qui facciamo un nodo al fazzoletto: può anche darsi che la maturazione personale di alcuni esponenti di quest’area, la reciproca frequentazione governativa e un deus ex machina cavato fuori all’improvviso (non può essere Grasso per LeU; non può essere Conte per M5S) riescano a creare quell’alchimia che ci consegnerà un partito di sinistra moderno, vivace, con un programma credibile.

Al momento tutto questo non c’è. C’è solo un PD morto già da tempo e mesmerizzato dai diversi leader che non possono che mantenere artificiosamente in vita questa balena spiaggiata; bloccando, nel frattempo, un enorme capitale sociale di elettori in qualche modo “di sinistra”, o comunque riformisti, socialdemocratici, liberalsocialisti, europeisti, inclusivi, che semplicemente sono in trappola. Il PD è diventato la Dunkerque della sinistra, e non si vede nessun Churchill capace di inviare la flotta per salvare i sopravvissuti e traghettarli sull’Isola per ritemprarsi, riorganizzarsi e partecipare con nuovo vigore alle sfide del Terzo Millennio.

Tutto questo non è semplicemente un danno per sinistra, che potrebbe importare di più a qualcuno e per niente a qualcun altro: questo è un grave danno alla politica italiana nel suo insieme, e quindi alla nostra democrazia.