Ecco le mie riserve sul Green Pass

Inutile nasconderlo: l’andamento della nostra vita nei prossimi mesi sarà ancora pesantemente condizionato dal Covid-19, e le nostre risorse psicologiche e materiali saranno messe ulteriormente alla prova dalle difficoltà che si accompagneranno alla “ripartenza” di cui, sia pure faticosamente, stiamo vedendo l’inizio. Tra le decisioni che risulteranno decisive per come vivremo nel prossimo futuro c’è certamente quella relativa al cosiddetto Green Pass, il documento che attesterà l’essersi sottoposti alla vaccinazione contro il Covid-19 e che presumibilmente sarà obbligatorio per poter accedere ad alcune attività. Quali? È appunto di questo che vorrei discutere in questo articolo.

Prima di cominciare, però, vorrei sgombrare il campo da possibili malintesi. Le obiezioni di principio contro il Green Pass che definirei massimaliste, ossia quelle che lo presentano come incostituzionale, anticamera della dittatura, o addirittura strumento pensato apposta per controllare e dividere la popolazione, e così via, queste obiezioni, dicevo, sono fuori luogo. Le autorità hanno il diritto, e il dovere, di imporre provvedimenti anche restrittivi della libertà personale, quando è indispensabile e tenendo conto di un appropriato bilanciamento tra diversi diritti e priorità fondamentali dei cittadini (e ci torneremo). Inoltre, i vaccini sono sicuramente lo strumento principe e di elezione per la lotta contro la pandemia: i dati ci dicono che tutti (quale più, quale meno, ma tutti) sono efficaci, anche contro le principali varianti al virus, e tutti presentano un tasso di effetti collaterali pericolosi molto basso. Se le autorità ci invitano a vaccinarci hanno pienamente ragione, almeno per la gran parte delle fasce di età, e anzi sarebbe desiderabile che la campagna vaccinale si completasse anche più rapidamente. Io tra qualche giorno assumerò la seconda dose e davvero non vedo l’ora.

Quindi, le mie riserve sul Green Pass non sono astratte, ma relative a questa situazione, in questo momento, e sono quindi “negoziabili”, non massimaliste. E ora procediamo.

Anzi, prima di procedere, proprio perché bisogna essere concreti, stabiliamo che ai fini di questo ragionamento per Green Pass, visto che in Italia non ne esiste una versione chiaramente definita, intenderemo quello “alla francese”, obbligatorio a partire da agosto per accedere tra l’altro a bar, ristoranti, centri commerciali, treni, aerei e corriere (una descrizione aggiornata e precisa si trova in questo articolo di Le Monde). Naturalmente anche in Francia il dibattito è aperto, ci sono proteste vivaci, e non è detto che lo scenario non sia destinato a mutare, ma diciamo che prendiamo questo come esempio di riferimento indipendentemente dalle misure definitive che saranno applicate in Francia.

Ora, diciamolo chiaramente: questa forma di Green Pass è pensata per imporre un obbligo vaccinale de facto senza imporlo de jure: in pratica, Macron ha annunciato un lockdown limitato a chi non ha il Green Pass. L’obiettivo, per altro dichiarato, è di spingere il maggior numero possibile di cittadini a vaccinarsi, superando dubbi e possibili resistenze, e si tratta di un obiettivo certamente condivisibile. Tuttavia, il punto non è questo, bensì se le restrizioni imposte a chi non disponga del Green Pass siano o meno eque e ragionevoli.
Iniziamo col dire che si tratta di restrizioni molto severe, tali da limitare drasticamente la libertà personale e incidere pesantemente sulla vita quotidiana. Lo sappiamo bene, perché abbiamo tutti vissuto in lockdown, e ne abbiamo sperimentato le durezze; in più, se in un lockdown universale esistono almeno alcune mitigazioni per l’isolamento, proprio perché quell’isolamento è di tutti, un lockdown “ad personam” comporterebbe certamente un’esperienza ancor più difficile.

Quali ragioni dovremmo ritenere sufficienti per giustificare l’imposizione selettiva di limitazioni così pesanti a una parte della popolazione? Evidentemente, ragioni molto forti. Perché una misura come il Green Pass “alla francese” fosse giustificata, occorrerebbe a mio avviso che fossero verificate almeno tre circostanze:
1) Il vaccino anti-Covid ha un’altissima efficacia nell’impedire la diffusione del virus;
2) chiunque voglia può vaccinarsi immediatamente, e comunque prima dell’entrata in vigore delle restrizioni;
3) chiunque si vaccini, sulla base delle migliori informazioni di cui disponiamo, ha statisticamente un rapporto favorevole tra rischi e benefici derivanti dalla vaccinazione, quindi non ha un motivo razionale per non vaccinarsi.
In presenza di queste tre condizioni, potremmo affermare che chi non si vaccina si sottrae deliberatamente e ingiustificatamente alla collaborazione contro la pandemia, e una misura che ne limitasse la libertà si giustificherebbe non solo sanitariamente ma anche in termini di equità. Perché, inutile dirlo, dal punto di vista esclusivamente sanitario la condizione ideale per fermare il virus sarebbe un lockdown generalizzato e permanente.

Per facilità di discussione, comincerei dal punto 2: è vero che il vaccino è immediatamente e liberamente accessibile a chiunque? Evidentemente, no. Io stesso, che non sono più giovane e che sono da mesi ansioso di vaccinarmi, non ho ancora potuto assumere la seconda dose. Inoltre, l’accesso alla vaccinazione è stato pianificato e garantito dalle autorità seguendo, giustamente, una scala di priorità molto precisa, che ha privilegiato le persone più vulnerabili e ha lasciato indietro quelle meno a rischio. È quindi pacifico che, in particolare, i giovani non hanno avuto pieno accesso alla vaccinazione, e saranno gli ultimi a ricevere il vaccino anche volendolo. La figura qui sotto riporta la situazione per le diverse fasce di età:

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ora, è chiaro che una strategia vaccinale come questa può essere considerata equa (e io la considero tale) solo se l’unica implicazione dell’essere vaccinati è la protezione dal virus. Se invece essere vaccinati equivalesse a un “lasciapassare” per compiere le normali attività della vita quotidiana, questo criterio di distribuzione dei vaccini sarebbe palesemente iniquo, tenendo anche presente che in Italia sono state utilizzate il 93,5% delle dosi di vaccino distribuite alle Regioni, quindi possiamo dire che non sarebbe stato realisticamente possibile vaccinare più persone di quanto si sia fatto.

Passiamo ora al punto 3: possiamo dire che chi non si vaccina rifiuta di compiere un atto razionale e che, al meglio delle nostre conoscenze di oggi, rappresenta per lui una riduzione complessiva del rischio? La risposta è molto tecnica, e dipende da diversi fattori, ma in sintesi mi sentirei di dire che non è così per tutti. Anche in questo caso, infatti, il rapporto tra rischi e benefici della vaccinazione è variabile in base ad almeno tre fattori: l’età (e le condizioni sanitarie generali), il tipo di vaccino a cui si ha accesso, e ovviamente il livello di diffusione del virus, che costituisce il rischio contro cui ci si vaccina. Ribadisco un punto: io credo che i vaccini disponibili siano efficaci, che siano stati sottoposti a dei test ragionevoli date le circostanze, e che i loro effetti collaterali avversi gravi siano molto rari. Penso anche che sia eminentemente assurdo dire che visto che “non si sa” esattamente quali effetti avversi a lungo termine possano avere si debba evitare di usarli: tutte le decisioni che prendiamo nella vita si basano su dati insufficienti e incorporano un’alea, e quella di vaccinarsi, o di non vaccinarsi, contro il Covid-19 non fa eccezione. La decisione razionale è quella di scegliere l’alternativa con il miglior rapporto rischio/beneficio in base a quanto sappiamo oggi.
Detto questo, un calcolo preciso di questo rapporto rischio/beneficio non è agevole, o almeno non lo è per tutti. Per me, uomo maturo in salute complessivamente buona, è facile: mi conviene vaccinarmi. Dato che vaccinarmi è anche la scelta socialmente più utile e raccomandata dalle istituzioni, ho molti buoni motivi per vaccinarmi e nessuno per non farlo, quindi se non lo faccio poi non posso lamentarmi troppo se questo ha conseguenze negative. Ma le cose non sono così semplici per tutti.

Solo a titolo esemplificativo, guardiamo la grafica riportata qui sotto, che è prelevata dal documento online dell’EMA AstraZeneca’s COVID-19 vaccine: benefits and risks in context. Il diagramma in sostanza spiega che in presenza di un elevato tasso di infezione (ossia nella condizione in cui i benefici del vaccino sono massimi) la somministrazione di una dose di vaccino AstraZeneca staticamente evita 733 morti ogni 100.000 vaccinati tra gli ultraottantenni, e zero morti tra i giovani tra i 20 e i 29 anni di età. I casi di trombosi trombocitopenica (solo una parte dei quali, ovviamente, mortali) sono invece statisticamente circa 2 nei 20-29enni e 0,4 negli ultraottantenni.

Fonte: EMA.

Cosa ne concludiamo? Che estendendo una simile analisi a tutti i vaccini disponibili e a tutti i loro effetti indesiderati, cosa che io ovviamente non ho fatto, è plausibile che si trovi che la vaccinazione anti-Covid, mentre è enormemente vantaggiosa per gli anziani e discretamente vantaggiosa per le persone di mezza età, abbia un rapporto rischio/beneficio negativo per i molto giovani, per il semplice motivo che il rischio in quella fascia di età è estremamente piccolo. Vale la pena di osservare che la categoria svantaggiata in questo caso (i molto giovani) è la stessa che lo sarebbe in base alle considerazioni del punto precedente.
Ebbene, io ritengo che nessuna persona possa essere obbligata a sottoporsi a un trattamento sanitario che non sia per essa (statisticamente) vantaggioso, neanche se questo rappresenta un beneficio per gli altri. La salute personale non è un bene “disponibile” per l’interesse collettivo. Non è questo che si può intendere come “bilanciamento” tra diritti, ossia l’esproprio di quelli essenziali di una categoria a favore di quelli di una categoria magari più ampia. Non è lecito utilizzare nessuno come donatore forzoso di salute per qualcun altro.

Per non essere ulteriormente prolisso, accenno solo che relativamente al punto 1 possiamo certamente dire che oggi i vaccini sono efficaci. Dato però che nessuno può realisticamente pensare di eliminare il Covid almeno nei prossimi anni, è certo che si avranno altre nuove varianti del virus, contro le quali gli attuali vaccini potranno essere più o meno efficaci, ed è probabile che dovremo sottoporci a nuove dosi di vaccino a intervalli più o meno regolari. A quel punto cosa faremo? Se tra un mese dovesse comparire una variante meno vulnerabile ai vaccini attuali, avremo i Green Pass di serie A, B e C?

La mia conclusione è che il Green Pass è sicuramente una cattiva idea se pensato “alla francese” e applicato a tutti per consentire l’accesso ad attività normali e quotidiane, e che adottarlo tal quale costituirebbe una grave forma di discriminazione verso i cittadini più giovani, che non hanno pari accesso al vaccino e che dal vaccino traggono benefici almeno dubbi. Provocatoriamente ma non troppo, lo considererei applicabile magari solo agli ultratrentenni e/o limitato ad attività “non essenziali” come i viaggi turistici all’estero.
Meglio ancora, a mio avviso, se davvero fosse questo l’orientamento politico prevalente, sarebbe dichiarare apertamente obbligatoria la vaccinazione per tutte le fasce di età per le quali il rapporto rischio/beneficio del vaccino sia favorevole. Le attività sarebbero aperte (o chiuse) per tutti, ma i cittadini dovrebbero presentarsi su convocazione diretta e nominativa (non col solito “iscrivetevi al portale” che lascia l’onere al cittadino) a sottoporsi obbligatoriamente al vaccino in una certa data, e lo stesso per eventuali successivi richiami. Dovrebbe essere onere dello Stato garantire che siano vaccinate le persone giuste nei numeri necessari, e l’obbligatorietà del vaccino, incidentalmente, significherebbe anche che eventuali e rari casi di reazioni avverse dovrebbero essere risarcite dallo Stato.