Sulla necessità dell’obbligo vaccinale (e il green pass)

Io sono a favore dell’obbligo vaccinale, figuratevi del green pass (che non si è ancora ben capito se e come si farà in Italia). Ieri l’amico Filippo Ottonieri ha spiegato qui le ragioni delle sue perplessità, e mi sento di rispondere contro.

Per comodità dei lettori riprendo i tre punti dell’argomentazione di Ottonieri.

Al primo punto lui segnala che il virus ci accompagnerà nei prossimi anni, con le sue mutazioni; saremo quindi costretti a inseguire le varianti con nuovi vaccini creando stratificazioni di vaccinati con green pass eventualmente differenti, a seconda delle varianti per le quali ci si è immunizzati. Lo stesso Ottonieri lo considera un argomento secondario e non lo approfondisce, ma a mio avviso è in ogni caso un argomento non necessariamente corretto, e quindi non probante. Le mutazioni del virus, semmai in forme resistenti agli attuali vaccini, saranno (forse) una conseguenza del loro propagarsi proprio in mancanza di immunizzati; meno vaccinati = permanenza del virus fra la popolazione = mutazione del virus. Non so se vale l’opinione in questo senso del virologo Crisanti, o quella dell’igienista Ricciardi, ma proprio perché argomento secondario diciamo che non ci spenderei troppe energie.

Al secondo punto Ottonieri parla di organizzazione: se, presi da impeto vaccinatorio, tutti volessero vaccinarsi (e ottenere così l’ipotetico green pass se fosse adottato “alla francese”), semplicemente non potrebbero, almeno non in tempi brevi. Qui do ragione all’amico e dico: vediamo se e come verrà attuato questa sorta di obbligo indiretto. Governanti intelligenti non imporrebbero mai un obbligo impedito proprio da loro, dai governanti stessi (impedito non necessariamente per dolo o colpa, ma perché non ci sono i vaccini, perché ci sono dei tempi tecnici da rispettare, per qualunque ragione). Per me è questo il punto assolutamente secondario. Qualora ci si dovesse orientare verso forme di obbligo dirette o indirette, è chiaro che deve precedentemente sussistere un’organizzazione in grado di sostenerle. Poiché il problema è eminentemente tecnico (logistico, organizzativo, …), c’è per definizione una qualche soluzione tecnica (scaglionare gli obblighi in relazione alle concrete possibilità vaccinali; favorire la prima dose… non lo so, ci penserà Figliuolo). Questo argomento, di per sé, non può essere invocato a sostegno della diffidenza verso il green pass e/o l’obbligo vaccinale; le eventuali critiche saranno specifiche e puntuali verso le prossime, future (ed eventuali) difficoltà a coniugare l’obbligo imposto con la disponibilità ad ottemperare tale obbligo.

È il terzo punto quello a mio avviso più interessante e dove grava la differenza di  riflessioni e di conclusioni fra me (favorevole all’obbligo, e quindi anche al green pass) e Ottonieri (contrario).

Ottonieri dichiara che la vaccinazione (almeno per quanto riguarda Astrazeneca) offre un rapporto benefici/rischi sfavorevole per i molto giovani (20-29 anni); in questa classe d’età – secondo un documento EMA da lui citato – il vaccino previene 0 (zero) morti, mentre i rischi di trombosi trombocitopenica sono 1,9 ogni 100.000 persone. (Riporto qui a fianco il grafico completo).

Scrive Ottonieri:

io ritengo che nessuna persona possa essere obbligata a sottoporsi a un trattamento sanitario che non sia per essa (statisticamente) vantaggioso, neanche se questo rappresenta un beneficio per gli altri. La salute personale non è un bene “disponibile” per l’interesse collettivo. Non è questo che si può intendere come “bilanciamento” tra diritti, ossia l’esproprio di quelli essenziali di una categoria a favore di quelli di una categoria magari più ampia. Non è lecito utilizzare nessuno come donatore forzoso di salute per qualcun altro.

Qui si aprono due questioni: i dati citati da Ottonieri (se siano completi, aggiornati, opportuni), e il concetto di libertà, o di obbligo, come da lui declinato.

Contestare i dati a Ottonieri mi dà un’ebbrezza che il lettore non può capire: lui i dati non li sbaglia mai. Io invece sì. C’è quindi un elevato tasso di incoscienza nel mio timido dire che no, caro Filippo, non puoi sostenere un’impalcatura logica così elevata e importante con quel daterello. Le ragioni sono diverse, partirò dalle più piccole:

  • i dati si basano sul gennaio 2021; per carità, si usano i dati che si hanno, ma ci vuole prudenza (ma, appunto, i “dati che si hanno” non sono sempre necessariamente i migliori);
  • riguardano solo Astrazeneca che, per quanto importante e diffuso, è solo uno dei vaccini usati; metti che per Pfizer i dati fossero opposti (zero rischi nelle fasce d’età più giovani) ed ecco che tutto il ragionamento verrebbe a cadere. Poi, semmai, quelli di Pfizer sono anche peggiori, sto ragionando sul metodo dell’inferenza, non su come stia andando ciascun vaccino;
  • ma c’è di più, e di più sostanzioso: nel rapporto EMA citato da Ottonieri (ripropongo QUI il link) c’è molto di più, e nel suo articolo Filippo non ne fa menzione. Provvedo io.

A parte la mortalità, le ospedalizzazioni per Covid 19 nei casi di alto rischio, pur aumentando fortissimamente con l’età, non escludono affatto i più giovani (classe d’età 20-29), arrivando a 64 ogni 100.000 persone (resta – per comparazione – il rischio di 1,9 casi di trombosi ogni 100.000 persone). Le terapie intensive (ICU) sono 6 ogni 100.000, per i giovani 20-29. Sempre numeri estremamente bassi rispetto agli anziani (per la classe 70-79, per esempio, sono rispettivamente 547 e 78) ma discretamente superiori a quell’1,9 di casi di trombosi menzionato come rischio (nota: trombosi significa morte nel 26% dei casi, non in tutti quelli che ricadono nell’1,9%).

Il fatto di utilizzare solo il dato sulla mortalità offre alcune parziali ragioni a Ottonieri (che siano parziali lo vediamo alla fine), ma non si capisce perché utilizzare solo questo elemento, se non per il fatto che è più evocativo, più spaventoso, specie nella cultura occidentale contemporanea. Ma quei giovani ricoverati, e quel numero – sia pure esiguo – di intubati in terapia intensiva, offrono a mio avviso delle chiarissime ragioni per preferire il vaccino e i suoi (limitatissimi) rischi. Tutte le testimonianze di chi ci è passato, e quelle che vi possono riferire infermieri e medici di quei reparti (io ne ho conosciuti, e ho parlato con loro) vi portano a credere fortissimamente che quelli sono costi, e non parlo di quelli economici, che pure ci sono, ma costi per la salute di chi ci è passato, di enormi sofferenze, di strascichi prolungati nel tempo. Va bene, i giovanissimi (di questi dati) non muoiono, ma possono passarsela veramente male.

Ribadisco: quei dati. Non è poi così difficile trovare dati differenti, in rete; per esempio negli USA, ultimi due anni, piccoli numeri di bimbi e adolescenti (335) e di giovani 18-29 anni (2.446) sono morti per Covid (fonte). Molti studi scientifici includono giovanissimi nel computo dei morti, e per quanto riguarda i rischi per i giovani e le conseguenze dell’aver contratto la malattia, suggerisco fra le tante QUESTA fonte.

Resta il tema che alla fin fine è per me il più importante, chiaramente segnalato nel passo citato sopra di Ottonieri:

io ritengo che nessuna persona possa essere obbligata a sottoporsi a un trattamento sanitario che non sia per essa (statisticamente) vantaggioso.

Poiché ne ho scritto recentemente, e abbastanza esaustivamente, prego il lettore di riferirsi al mio testo La libertà è un gioco a somma negativa. Lì ho scritto il mio punto di vista politico, o se volete filosofico, sul perché io invece creda che lo Stato possa imporre a singoli individui un trattamento sanitario anche se esso è per lui svantaggioso. Poiché qui siamo sul piano dei principi, delle filosofie, delle concezioni del mondo e della vita, è ovvio che non c’è molto da discutere; le mie ragioni le ho argomentate là. Evviva chi è d’accordo e pazienza per chi non lo è.

Ma sul piano pratico (e quindi non quello speculativo) credo che anche qui Ottonieri si sbagli. Siamo pieni di leggi che impediscono o obbligano i singoli individui, in materia sanitaria, anche quando c’è uno “svantaggio” per il destinatario: prendiamo per esempio i TSO – Trattamenti Sanitari Obbligatori, disposizioni emanate dal Sindaco e immediatamente esecutive, di natura costrittiva, in casi di motivata necessità ed urgenza e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza, particolarmente in ambito psichiatrico (riferimenti: Legge 180/1978 e Legge 833/1978). Il cittadino con disturbi psichiatrici che sbrocca e spacca tutto, o ferisce o minaccia di ferire, o compie evidenti gesti autolesionistici, con un TSO viene preso di forza, portato in un repartino psichiatrico e imbottito di sedativi. Non credo si possa dire a cuor leggero che questa violenza nei suoi riguardi sia vantaggiosa per lui (o lei); può darsi, molte volte sì, ma in generale è vantaggioso per chi gli sta vicino!

Le vaccinazioni obbligatorie (antipoliomielite, antidifterite, antitetano, antitifo-paratifo, antitubercolosi, antiepatite B) presentano dei margini di rischi, sia pure lontani e rari (su tali rischi insistono i no vax) ma, appunto, sono obbligatori (un obbligo in Italia facilmente aggirato). C’è obbligo, per il personale sanitario, di segnalazione delle malattie infettive, con conseguente obbligo di ricovero o di isolamento (la quarantena, per esempio, è uno di questi obblighi), c’è obbligo per il trattamento di malattie veneree, eccetera. In tutti questi casi, o in buona parte, l’obbligatorietà è imposta da un’autorità per prevenire rischi e danni alla salute di terzi, e non certo per la tutela dell’ammalato (la cura è per l’ammalato; l’obbligo a curarsi e per tutelare gli altri). Quelle cure, ogni cura, comportano dei rischi, che possono essere esaminati con lo stesso criterio utilizzato da Ottonieri (patologie o morte conseguenti al trattamento).

Certo, Ottonieri scrive decisamente e senza dubbi, in altre parti del suo testo, che lui non ha nulla in contrario rispetto a tali obblighi in generale. Poiché quel suo passaggio è importantissimo mi permettete di riscriverlo per intero:

Le autorità hanno il diritto, e il dovere, di imporre provvedimenti anche restrittivi della libertà personale, quando è indispensabile e tenendo conto di un appropriato bilanciamento tra diversi diritti e priorità fondamentali dei cittadini [questa distinzione ha a che fare col vantaggio statistico già visto – NdR]. Inoltre, i vaccini sono sicuramente lo strumento principe e di elezione per la lotta contro la pandemia: i dati ci dicono che tutti (quale più, quale meno, ma tutti) sono efficaci, anche contro le principali varianti al virus, e tutti presentano un tasso di effetti collaterali pericolosi molto basso. Se le autorità ci invitano a vaccinarci hanno pienamente ragione, almeno per la gran parte delle fasce di età, e anzi sarebbe desiderabile che la campagna vaccinale si completasse anche più rapidamente. Io tra qualche giorno assumerò la seconda dose e davvero non vedo l’ora.

Tutto si gioca quindi (sul piano pratico, non su quello filosofico) su quello “statisticamente vantaggioso” che è in realtà piuttosto difficile da mostrare in maniera incontrovertibile, almeno in questo caso: se si prendono i dati Astrazeneca di gennaio relativamente ai soli morti, ha ragione Ottonieri (sotto il profilo statistico, non su quello politico, come ho già detto), ma basta prendere altri dati e le cose cambiano.

Nel mio mestiere (analisi delle politiche pubbliche e loro valutazione) mi sono trovato decine di volte in questa situazione, e spesso ne ho scritto anche su Hic Rhodus: prendete una manciata di numeri (indicatori) e gli fate dire quello che volete; basta prenderne altri e vi diranno altre cose; basta non prenderli tutti; basta interpretarli in un certo modo…

Alla fine della fiera, quindi, la prova dei “dati” mi sembra estremamente debole. Quello che fa la differenza è la scelta filosofica, politica, etica – chiamatela come credete – che ci muove, e che – inconsapevolmente – ci fa scegliere cosa leggere, a quali numeri dare significato, quali pareri apprezzare di più. Filippo Ottonieri ha tutto il diritto di pensare allo svantaggio statistico individuale come discrimine, come linea invalicabile di uno stato liberale e rispettoso dei sui cittadini; sono certo che anche lui mi riconosce il diritto di pensare allo svantaggio statistico collettivo come altra linea invalicabile di quel medesimo stato liberale e rispettoso dei suoi cittadini, tanto rispettoso da proteggerli contro i comportamenti individuali negativi, anche qualora – per questi cittadini – ci fossero rischi personali stimati nello zero-virgola-zero-zero-qualcosa (Nota finale: il 26% di morte per trombosi dell’1,9×100.000 persone – dati riportati sopra, al netto di ogni altra considerazione – significa 4,94 x 10 elevato alla -6 di possibilità di morte; morire per un fulmine, nell’arco di 80 anni di vita, ha una possibilità di 1×10 elevato alla -4 – fonte. Quindi: correte a vaccinarvi, ma attenti ai fulmini!).