Luca d’Alessandro scrive sull’HuffPost che condivide la proposta francese di fornire un pass ai vaccinati per accedere a determinate attività sociali (cinema, ristoranti…), negandolo ai non vaccinati; io mi dichiaro d’accordo con lui, su Facebook, e un amico mi becca; questo il nostro scambio:
Amico: Una “libertà di scelta” non differente dal “libero arbitrio” della Spagna nel 1500. “Sei libero di fare come vuoi ma te ne faremo pentire amaramente”.
Io: credo che tu faccia un filo di confusione storica…
Amico: non credo ma sono disposto a leggere le tue critiche alla mia considerazione. Trovo che come al solito la “sicurezza” (leggasi controllo sociale) stia prevalendo sulla “libertà”. “Puoi non vaccinarti ma a stento ti concederemo di fare la spesa, il resto scordatelo”. Onore alla Germania se riuscirà a resistere a questa tentazione. Credo oltretutto che gli svedesi se la ridano alla grande pensando al green pass…e sì, non si sono estinti senza lockdown e menate varie – antiliberali – e totalmente autoritarie.
L’argomento merita un approfondimento, ma ci sono dei sotto-argomenti correlati. Il tema principale è quello relativo al concetto di libertà; i sotto-argomenti riguardano la comparazione storica (in questo caso alla Spagna del 1500), quella transnazionale (in questo caso la situazione pandemica in Svezia, giudicata migliore senza privazioni di libertà per i cittadini) e infine la connotazione ‘liberale’. Non posso sorvolare su queste ultime, quindi il lettore dovrà pazientare: sbrigherò le questioni secondarie in maniera veloce per per poi concentrarmi sul tema della libertà.
Le comparazioni sono la porta dell’inferno, per chiunque argomenti e in particolare per chi lo fa in modo in qualche modo professionale; se sei un politico, un commentatore, un analista di politiche pubbliche, un sociologo, un giornalista, attenzione alle comparazioni sociali (se comparate la qualità chimica dei dentifrici non avete questi problemi). La Spagna del 1500 – con allusioni all’inquisizione, ai roghi degli eretici e delle streghe, etc. – è da rigettare senza neppure perderci troppo tempo: la cultura cattolico-totalitaria che generò quel clima, e produsse l’Inquisizione, era una melassa omologante totale, capillarmente diffusa in ogni strato della popolazione e senza alcuna alternativa; il mondo contemporaneo consente la molteplicità, la pluralità, il dissenso, e ogni articolazione del pensiero viene sostanzialmente accolta e accettata; nessuno è messo sul rogo perché sospettato di eresia, e la proposta francese non obbliga direttamente nessuno, lasciando liberi i no vax di continuare non solo a non vaccinarsi, ma di dirlo e di propagandarlo, ma impedendo loro di eventualmente diffondere il morbo col contatto con gli altri: ciò riguarda la libertà (il nostro tema principale, che tratterò più avanti) e non il clima culturale, il consenso sociale, l’obbligo a pensare in modo conforme, la morte. Veramente un paragone infelice, non vale la pena insistere.
Salvo scivoloni pseudo-storici, la comparazione con altri popoli è assai più frequente; stando entrambi i termini nella contemporaneità, si azzera la differenza storica vista or ora, e i paragoni sembrano reggere, ma come sa qualunque analista di dati così non è. Limitiamoci al paragone fra Svezia “liberale” e altre nazioni (oscurantiste?) in merito alle politiche anti-pandemiche. Intanto va sfatato il mito della Svezia che avrebbe battuto la pandemia lasciando la popolazione in piena libertà; così non è stato: la Svezia ha avuto più casi, e più morti, delle altre nazioni scandinave (con le quali è lecita una comparazione con un qualche senso) ed è stata criticatissima da epidemiologi, politici e commentatori svedesi, inclusa Sua Maestà (in rete ci sono centinaia di dati e cronache, io suggerisco QUESTA, un po’ lunga, va letta tutta; se volete una lettura più veloce, con dati terribili sul disastro svedese, allora QUESTA); poi, effettivamente, date le politiche svedesi avverse al contenimento (e addirittura all’uso di mascherine) ci si poteva aspettare una catastrofe maggiore di quella che è in effetti stata; il perché le cose – in Svezia – siano andate male e non malissimo “rimane un mistero epidemiologico”. L’aggettivo ‘epidemiologico’ è rilevante; occorrono studi ad hoc che anziché fare di ogni erba un fascio identifichino i fattori di rischio e quelli che lo hanno contenuto: età della popolazione, distribuzione sul territorio (un fattore enormemente differente da quello dell’Europa continentale e specialmente del sud), stili di vita etc. Perché se no, per qualunque questione a me non vada bene posso citare qualcosa di differente accaduto in Kissadovestan, e usare impropriamente questa comparazione. Potrei aprire una parentesi tecnico-scientifica su come debba essere imbastita una comparazione per funzionare e avere un senso, ma non è questo il luogo.
Infine l’etichetta di liberale (o il suo opposto critico, illiberale) che mi ha definitivamente stancato. Scrivo da anni – qui su HR – che detesto le etichette, che sono gabbie, non fanno ragionare. Oggi tutti, forse eccettuata la Meloni, si dicono liberali, e l’aggettivo viene svenduto a GranCasa in offerta speciale. Siamo tutti liberali nel senso che ci piacciono le libertà? Perché se dobbiamo intenderlo nel senso originario, diciamo come lo intendeva Gobetti (che già Croce lo interpretava diversamente) allora i liberali in Italia non sono più di cinque o sei e sono già tutti morti. Lasciamo stare. Non usiamo etichette. Quando anche Di Maio si è dichiarato liberale ha fatto capire al mondo che anche questo concetto si è logorato, nel laminatoio dell’informazione veloce e della politica accattona.
E finalmente veniamo al concetto di ‘libertà’, che sarebbe svilito e mortificato dalla proposta francese, e quindi da ogni sua imitazione, da qualunque limitazione imposta a comportamenti ritenuti pericolosi per la potenziale trasmissione del virus (per inciso: il testo di Luca d’Alessandro, col quale ho aperto, si intitola “Da liberale condivido Macron…”). Allora: il mio amico critico (ma moltissimi altri) sostiene che se mi imponi di avere un green pass (due vaccinazioni) per andare al cinema, sei antiliberale e autoritario; la semplice argomentazione che se ti lascio andare al cinema, e sei infetto, puoi infettare altri, e semmai farli morire, conta evidentemente poco di fronte all’argomentazione autoritaria. Io ci ho pensato su, e ho capito che avverso questo modo di pensare non c’è vera risposta, perché i due argomenti (quello sanitario e quello sul totalitarismo) non si muovono sullo stesso piano logico ma su due piani distinti, che non sono destinati a incontrarsi. Qualunque ragionamento epidemiologico può essere condiviso, ma potrebbe restare in piedi una pregiudiziale etica, politica, chiamatela come volete.
Allora un ragionamento sulla libertà nel contesto pandemico deve trovare un altro indirizzo, se no io continuo a dire che bisogna impedire con ogni mezzo la diffusione del virus, il mio amico continua a dire che tutto ciò è illiberale, e non troveremo mai un punto di sintesi.
Per trovare la sintesi occorre per prima cosa capire che la libertà è una dimensione relazionale, sociale, a somma negativa. Vale a dire: non è vero che la somma di tutte le libertà (mia, tua, del mio amico, degli svedesi) dia zero, cioè che gli elementi di libertà e i limiti sociali che diamo ad esse siano equamente ricomposti e pareggiati. La famosa frase “la tua libertà finisce dove comincia la mia” sembra alludere che i reciproci limiti (tu non mi uccidi, io non ti derubo…) siano compensati equamente dai vantaggi di libertà (io viaggio dove mi pare, tu esprimi le opinioni che credi…). Non è così. I limiti alle libertà, i vincoli, le costrizioni, non solo sono maggiori delle libertà concesse, ma sono in crescita.
Sarebbe assai lungo e complesso spiegare il come e il perché. Diciamo così: le libertà sono sostanzialmente astratte, simboliche, generali; difficile “misurarle”. I vincoli sono specifici, puntuali, concreti. E numerosi. Faccio alcuni esempi: sì, abbiamo diritto di parola (è una libertà) ma non possiamo parlare bene del fascismo, non possiamo bestemmiare in pubblico, non possiamo fare propaganda alla pedofilia, non possiamo minacciare o denigrare terzi, eccetera. Possiamo fare impresa come vogliamo, ma non possiamo produrre inquinando, non possiamo sfruttare i lavoratori, non possiamo far lavorare minori. Ogni nostra libertà ha dei limiti, dei vincoli, delle condizioni: vuoi fare il poliziotto? Non devi avere tatuaggi. E questo non è un limite alla libertà? Vuoi fare il medico? Devi essere laureato, e no, il diploma da naturopata non vale. Che ingiustizia! E vogliamo parlare dell’obbligo a pagare le tasse? Del fascistissimo obbligo a fermarsi col semaforo rosso?
Che la libertà sia un insieme di pratiche e relazioni a somma negativa significa, in sostanza, che ciascuno di noi “paga” più di quanto riceve, in termini di possibilità di fare le cose che vuole fare; e quanto paghiamo aumenta col tempo, stringendo gli spazi (apparentemente) infiniti di libertà che poteva avere il Walden di Thoreau rispetto all’uomo occidentale contemporaneo.
Per dare un ordine al caos sociale, ci serviamo di regole che diventano più numerose man mano che il tempo passa e la complessità sociale cresce, ponendo nuovi problemi che suggeriscono nuovi divieti. Molti sono sbagliati, lo dico per primo e da libertario. Molti sarebbero inutili in una società illuminata perfetta (è ovvio che non si deve fumare in casa e al chiuso, perché mai dovrebbe servire una legge specifica? È privo di dubbi il fatto che sul treno devo pagare il biglietto, a cosa dovrebbero servire delle regole e una sanzione?). Molti limiti e divieti sono astuzie del Potere per controllarci (ma qui mi fermo che il complottismo è subito dopo quest’angolo). Insomma: le società occidentali contemporanee proclamano il diritto a molteplici e vaste libertà, in astratto, ma nella pratica impongono una quantità enorme di vincoli, eccezioni, divieti.
Il punto fondamentale, per tornare alla pandemia e alla proposta macroniana, è che essendo un gioco a somma negativa qualcuno deve prendersi la responsabilità di decidere verso quale lato penderà la bilancia.
Lasciamo per un momento stare la povertà culturale dei nostri politici (dai, adesso c’è Draghi, gli altri non contano poi molto): il fatto è che sono loro a valutare se lasciare correre l’epidemia o contenerla; nel primo caso saranno responsabili dei morti, delle sofferenze e dei costi anche economici conseguenti; nel caso decidano per politiche di contenimento (mascherine, lockdown, vaccinazioni…) allora è evidente che – come in qualunque altro caso – queste decisioni limiteranno la libertà di qualcuno. Il lockdown è stato una limitazione delle nostre libertà; anche mettere la mascherina; anche la vaccinazione.
Per uscire definitivamente da ogni equivoco manca ancora un tassello a questo ragionamento. Se la libertà è una forma di relazione a somma negativa, e se qualcuno (la politica) deve assumersi la responsabilità della privazione di alcune libertà, in base a cosa si decide? Se non vogliamo scadere nel pietismo, che è sempre cattivo consigliere, l’unico parametro per una corretta decisione è quello razionalistico. Che può sembrare arido ma almeno è facile da capire (no, i nostri politici non lo stanno applicando se non spannometricamente, per vaghe intuizioni).
Il dilagare del virus ha dei costi enormi, che con un po’ di pazienza si potrebbero stimare. I costi sanitari sono i più ovvi, ma non stupirà il lettore sapere che ogni vita umana ha un valore economico, e che quindi ogni morto è un “costo” per la società (in termini, per esempio, di produttività mancata); il perdurare della crisi sanitaria ha sfiancato le piccole imprese artigiane e commerciali, e questo è stato evidente, e su questo vanno aggiunti i costi del sostegno dello Stato a imprese e lavoratori (per esempio col prolungamento della Cassa integrazione). Questi costi, è facilmente comprensibile, sono alla fin fine costi e svantaggi per ciascuno di noi, individualmente. Oltre al computo ragionieristico dei costi in Euro, i costi sociali (dolore, famiglie distrutte, competenze disperse, scuola sfilacciata…) hanno conseguenze enormi, e di lungo periodo, sullo sviluppo della società, la sua coesione, la sua capacità di sviluppo; solo in tema di scuola, e sui danni della DAD, c’è già una fiorente letteratura. Ciascuno di noi, in conclusione, ha una sua bilancina costi-benefici: su un piattino mettiamo l’obbligo della mascherina, le vaccinazioni ed eventualmente il green pass, mentre sull’altro piattino mettiamo i costi economici per noi, per le nostre tasche, l’impoverimento economico, la riduzione di prospettive per i nostri figli, le sofferenze sociali.
Quindi: lasciare correre la pandemia ha dei danni chiari e visibili, e questo sta su un piatto della bilancia; sull’altro piatto ci sono delle libertà individuali di natura egoistica (quelle libertà che vanno sotto il titolo “io voglio fare come mi pare”).
È lecito sostenere che anche queste libertà siano sacre (io non lo credo), ma è altrettanto lecito che chi governa prenda una decisione e agisca. Dal lato dei cittadini – questo io credo – va abbandonato l’infantile senso di onnipotenza (quello del “faccio come mi pare”) a favore di un concetto più alto, di responsabilità civica.