Buon Anno 2042

Basta parlare di Covid 19 nel modo che facciamo da due anni. A me – non specialista ma attento compulsatore di notizie – sembra evidente che il virus circola ed evolve, mentre noi occidentali ricchi e preoccupati gli corriamo dietro, cercando di fare qualche cosa di buon senso e nell’ostilità esplicita di una minoranza, che sarà minoranza quanto vi pare ma in termini assoluti è un bel numero. La storia finirà solo in uno di questi due modi: 1) si trova la cura definitiva che cancella radicalmente il virus dal pianeta (impossibile), oppure: 2) alla fine il virus imparerà a stare fra noi senza farci troppo male (con mutazioni meno dannose o addirittura innocue), e noi a difenderci da lui senza troppe rotture di scatole (vaccini più efficaci, per esempio), così come facciamo con molteplici altri virus e malattie. Nel frattempo, mentre attendiamo uno di questi due esiti, facciamo il possibile, sosteniamo la ricerca, miglioriamo i vaccini, adottiamo regole di prudenza e, specialmente, troviamo un modo serio e concreto di vaccinare africani, sudamericani, asiatici non cinesi e così via, perché se no la nostra cittadella vaccinata sarà fragile.

Accettando questa realtà, abbiamo un po’ di tempo per pensare, con uno sguardo prospettico, a come sta evolvendo il mondo. Perché ho capito che la pandemia è un problema serio, ma alzando gli occhi vediamo facilmente che non è l’unico, e forse non è neppure il primo per rilevanza.

Sul fronte della salute, così ci liberiamo subito dell’argomento, la crisi pandemica attuale ci deve rammentare che ce ne saranno altre, forse di impatto minore o forse di impatto maggiore. I virus esistono, mutano e periodicamente attraversano il mondo; fino a qualche secolo fa i virus viaggiavano a piedi o a cavallo, poi in treno, e mettevano anni per arrivare, trovandoci comunque sostanzialmente indifesi (l’esempio più noto è la spagnola); oggi impiegano ore perché viaggiano in aereo, ma abbiamo risposte sanitarie migliori. 

Questa conseguenza della globalizzazione riguarda anche la velocità con cui l’odio e il fanatismo ci possono raggiungere, e dall’11 settembre in poi l’abbiamo imparato a nostre spese; non forse in Italia, molto in Francia e in altri luoghi europei; poi l’Isis è stato sconfitto militarmente, ma il buco nero mediorientale è sempre lì, i finanziatori degli estremisti sono sempre lì, l’Afghanistan è tornato a essere uno strepitoso laboratorio d’odio, oltre alla Siria, e la Turchia ci mette del suo. Conclusione. Non è che oggi c’è il Covid ma sono spariti i jihadisti e, potete scommettere il vostro ultimo Euro, non mancherà poi molto prima che tornino a colpire. Poiché la situazione mediorientale è costantemente peggiorata, dalla prima guerra del Golfo il poi (1990), da una situazione che viveva su equilibri precarissimi e palesi ingiustizie già da molto prima, nel prossimo futuro avremo molto, ma molto da temere su questo fronte.

E poiché parliamo di geopolitica, alziamo il tiro: quanto pensate, seriamente, che Putin resti lì senza fare quel passo eccessivo (in Bielorussia, per esempio) che imporrà alla comunità internazionale una risposta militare concreta? Probabilmente Putin, che è certamente un bandito, non è stupido, e sul lato russo possiamo forse pensare di cavarcela (ma dopo Putin cosa succederà? Qualcuno immagina che la transizione al dopo Putin sarà tranquilla?), ma non possiamo dormire sonni tranquilli pensando alla Cina che sta allargandosi con prepotenza sia geopoliticamente (per la Cina tutto il quadrante orientale è cortile di casa sua, e il Giappone, e l’Australia, e ovviamente tutto il sudest asiatico, non potranno che subire una pressione crescente) che industrialmente e commercialmente; sappiamo che l’Europa morde il freno, mentre gli Stati Uniti la considerano già una nazione ostile. Non ci sarà dialogo; i cinesi dialogano finché conviene a loro, ma il risultato, in questi ultimi anni, è sempre il medesimo: fanno come gli pare. Ora immaginate il peggio: negli Stati Uniti abbiamo già visto vincere un Trump; che potrebbe ripresentarsi, rivincere, o potrebbe arrivarne uno peggio, come diversi commentatori temono (anche QUI su Hic Rhodus, pochi giorni fa). Lo scontro fra Cina e USA, o fra Cina + Russia contro Nato, o conflitti locali, chissà, la battaglia per Taiwan, dovranno incominciare a essere considerati come una possibilità concreta.

Nel frattempo l’ambiente sta andando in malora. Che sia tutta e sola colpa dell’inquinamento umano, che ci sia una componente ciclica naturale, direi che non ci può importare nulla. Io sto passando un Natale con temperature quasi primaverili, e le nevicate epiche della mia gioventù sono un ricordo. In un mondo in cui si fanno incontri di vertice sull’ambiente che costano anni di preparazione, e in cui alla fine un paese qualunque (l’India, tanto per dire) dice che “No grazie, noi continuiamo come prima”, capite che le preoccupazioni non riguardano più, “semplicemente”, se come specie riusciamo a capire che stiamo dando fuoco alla nostra casa, ma come diavolo sia possibile che, pur capendolo, gli interessi di una parte possano (legittimamente? Democraticamente?) mettersi di traverso sugli interessi di tutti. Che poi dal disastro ambientale viene facile passare alle conseguenze sociali globali. Già alcune popolazioni del Pacifico vedono restringersi lo spazio vitale delle loro piccole isole, sommerse dalle acque, e devono migrare. Ma queste migrazioni ambientali, le previsioni son già tutte fatte, diverranno esodi di massa biblici, che si mescoleranno a quelli dovuti alle guerre e alle iniquità che attraversano vaste aree del mondo. Le migrazioni, già difficili da contenere oggi, diverranno slavina incontenibile fra pochi anni, e non ci saranno muri, e non basteranno i Salvini e gli Orban a fare i Capitan Ganassa. Quale sarà la nostra risposta?

Il punto di sintesi di tutti questi temi non sarà fra 200 anni e, temo, neppure fra 20; vi confesso che nel titolo mi sono tenuto largo, e forse prima del 2042, voi che ci sarete, avrete ben altri problemi fra ambiente, guerre, migrazioni e pandemie, e risorse per le quali combattere, e controllo sociale di massa (già ben collaudato), e aumento delle disparità sociali.

Attenzione, però: tutto è più complicato e forse sfumato, rispetto a questa nefasta semplificazione, perché avremo anche medicine migliori, tecnologie migliori, migliore accesso alle risorse. Noi occidentali, nella nostra bolla dorata, stiamo complessivamente meglio di 40 anni fa, indiscutibilmente meglio di 80, e forse, sotto certi aspetti staremo ancora meglio fra altri 20 anni; ma “complessivamente” è termine equivoco e nasconde la verità del pollo di Trilussa. “Complessivamente” saremo più sani e camperemo più a lungo, ma individualmente dovremo fare i conti col crescente controllo, con un lavoro sempre più disumanizzato, con una realtà sempre più difficile da abitare, con una feroce marginalizzazione dei deboli; e se i deboli non saranno milanesi o napoletani, ma ivoriani e peruviani, siate certi che le conseguenze non saranno dissimili, anche al di là di ogni considerazione etica.

Ognuno dei problemi qui sommariamente menzionati, nessuno escluso, ha una soluzione pratica e praticabile. Ma davvero credete che sia impossibile mettere un freno al devastante cambiamento climatico? Certo che si può, a patto che noi ricchi edonisti con l’iPhone, Netflix, due automobili (o 3), aria condizionata a gogò, eccetera siamo disposti a fare qualche sacrificio, che ci sia un imponente piano, specialmente vero, di transizione ecologica, una diffusa e capillare coscienza ecologica e via di questo passo. Che ci vuole? Abbiamo la conoscenza e le tecnologie e le risorse per provvedere. Volendo. E davvero pensate che sia impossibile conciliare gli interessi americani, cinesi, europei, indiani con quelli, poniamo, della Nigeria, della Bolivia o del Nepal? È ovviamente possibile se le nazioni non fossero guidate da uomini che vogliono mantenere il potere, e pensano di mantenerlo solo se accarezzano per il verso giusto gli interessi dei potentati locali, strizzando l’occhio a privilegi di casa e creando consenso con lusinghe e parole d’ordine particolaristiche (tipo “Prima gli italiani”). E non crederete che sia impossibile essere preparati alla prossima pandemia, e a quella successiva, investendo in scienza e tecnologia e dividendo sapere e risultati con tutto il mondo, perché se ce li teniamo stretti, se facciamo a gara su chi firma prima il contratto di fornitura con l’azienda farmaceutica, continueremo a correre dietro ai virus mentre loro scappano da tutte le parti.

E così via.

Il problema, in sostanza, è la mentalità tribale che attanaglia la nostra specie che, per carità! nel neolitico è stata una gran risorsa, certamente, ma oggi è soltanto l’imbarazzante residuo superstizioso, predatorio, diffidente e difensivo di una specie che sarà anche andata sulla Luna, c’ha Internet e la Play Station, ha esplorato tutto il globo e mappato il DNA ma, al dunque, non ha la capacità di affrontare in maniera sensata e razionale i problemi che potrebbe conoscere perfettamente.

L’imperativo, per la nostra specie, è compiere un fondamentale strappo culturale, e quindi sociale, dalla mentalità neolitica. L’abbandono di ogni superstizione è il primo passo; che si tratti di devozionismo fanatico, di jihadismo criminale, di magismo antiscientifico, di ideologismo novecentesco non fa differenza, perché tutte le forme di superstizione (religiose, laiche o esplicitamente irrazionaliste) sono tribali, identitarie, esclusive. Un’epifania razionalista è il secondo passo; investire sul razionalismo non significa affatto occuparsi “solo” di scienza e tecnologia ma diventare inclusivi, egualitari e tolleranti, perché sono atteggiamenti razionali, che premiano tutti, che migliorano la qualità della vita di ciascuno (una cosa facilissima da dimostrare, sia in termini economici che sociali).

Sono le crisi che ci offrono l’opportunità di questa epifania. La crisi che stiamo vivendo non sembra sortire questo effetto, se non in maniera piuttosto tiepida. Vedremo la prossima; perché siatene certi, la prossima è già lì che si prepara.

Ah! dimenticavo: Buon 2022 a tutti!