Una giuria di New York ha prosciolto Kevin Spacey dall’accusa di molestie e aggressione sessuale nei confronti di Anthony Rapp. QUI trovate tutte informazioni per mettere a fuoco il caso, semmai non lo ricordaste; comunque riassumo così:
- i fatti in questione risalgono al 1986; la presunta vittima (all’epoca minorenne) ha raccontato la storia nel 2017, sull’onda del #MeToo e, nel 2020, ha fatto causa a Spacey;
- anche nel racconto della presunta vittima, non ci fu mai abuso o violenza sessuale, ma solo una pesante molestia, nel corso di un incontro, con Spacey ubriaco. Il processo ha potuto stabilire che non ci fu contatto con parti intime dell’aggredito, né violenza o altro di penalmente rilevante;
- in seguito alle accuse, Spacey è stato bandito dal mondo cinematografico e licenziato dal set di House of Cards:
In seguito alle accuse di molestie mosse nei suoi confronti nell’ottobre 2017, diversi progetti che coinvolgono Spacey sono interrotti: la produzione di House of Cards inizialmente sospende le riprese della sesta stagione della serie, e in seguito licenzia l’attore dal cast. Inoltre Netflix blocca l’uscita del film Gore con Spacey protagonista, mentre il 9 novembre Ridley Scott e la Sony decidono di eliminare le scene in cui compare in Tutti i soldi del mondo e di rigirarle sostituendolo con Christopher Plummer (fonte).
- Sempre in conseguenza alle accuse, Spacey ha dovuto ammettere la propria omosessualità che, evidentemente, preferiva mantenere segreta al grande pubblico.
- Infine, i quotidiani di tutto il mondo sguazzarono in maniera ignobile sulla vita privata dell’attore; non so se ricordate i titoli del novembre 2017 relativi alla festa che Spacey tenne al largo di Napoli, su uno yacht. Vi riproduco solo quello di Repubblica, che si suppone essere un giornale mediamente serio (ne scrivemmo, a suo tempo, QUI).

Arrivo subito subito alle conclusioni, ma visto che so per esperienza che una piccola parte di lettori legge una riga sì e una no, e di quelle che legge ne capisce una sì e tre no, mi occorre una premessa che sarebbe completamente inutile senza codesta minoranza di lettori distratti.
La premessa: ogni vittima di abusi, molestie, crimini di qualunque specie è sempre da sostenere e ha sempre ragione, se può dimostrare l’abuso, la molestia o il crimine subìto. Le vomitevoli giustificazioni a favore dell’abusatore (“Vestita così se l’è cercata” è il cliché più noto) sono da rigettare sempre e completamente; l’eventuale consenso a visitare la casa altrui, non è una forma di consenso implicito a qualunque cosa; quando è “No” è no, punto e basta; l’eventuale ubriachezza della vittima è semmai un’aggravante per l’abusatore; anche se la vittima decide di denunciare anni dopo, va bene così, perché le forme e i tempi dell’elaborazione dell’aggressione, o i vincoli esterni ai quali la vittima si è sentita condizionata, non possono essere oggetto di critica e dubbi sull’affidabilità della persona che denuncia. Credo di avere detto più o meno tutto, e potrei solo rimarcare che in troppe sentenze italiane, anche recenti, i giudici mostrano sapere giuridico e abissale ignoranza sociologica e inumanità.
E ora la conclusione, già anticipata: tutto quanto sopra solo se la vittima del presunto abuso lo può dimostrare. So benissimo che ci sono diversi casi in cui ciò non è possibile; mi dispiace moltissimo per le vittime di abuso sessuale, o di molestie, ma se non ci sono testimoni, video, messaggi, lesioni certificate o altro, il presunto abusatore o aggressore non può essere sottoposto a processo giudiziaro o mediatico. Succede la stessa cosa per le vittime di furti, raggiri, truffe e a volte anche omicidi; è la stessa cosa: se la presunta vittima di un comportamento criminale non può dimostrare nulla, ma proprio nulla, purtroppo non potrà avere la giustizia che desidera. Anche perché occorre ricordare le tante accuse di molestia verificate come false e le tante persone rovinate da tali falsi accuse (ne abbiamo parlato QUI).
Questo è un principio giuridico fondamentale che i garantisti hanno benissimo presente:
meglio un farabutto in libertà che un onesto in galera.
Se la vostra inclinazione è giustizialista, e preferite le galere piene perché nel mazzo ci sono sicuramente anche i rei, ma le strade sono certamente più sicure, probabilmente avete votato Lega, o Fratelli d’Italia, e siete nel blog sbagliato; in caso contrario avete un corto circuito in testa sul quale è meglio che meditiate.
Un’ultima cosa: il movimento chiamato #MeToo (che fortunatamente mi sembra in declino) è stato la più grande campagna di diffamazione di massa degli anni recenti. Dopo le diffamazioni razziali (sugli ebrei, sui neri) siamo arrivati alla diffamazione di genere (sostanzialmente il maschio porco, e il fatto che abbia toccato anche il mondo omosessuale implicherebbe solo un ragionamento più ampio che ora non ho voglia di fare). Attendiamo quella sui vecchi (mangiapane a tradimento, zavorra sociale, freno al progresso) e sui vegetariani (evidentemente anormali, cattivi maestri, negazionisti della carnivorità umana). Il #MeToo ha rovinato carriere e spubblicato moltissimi personaggi pubblici, senza mai portare a processo, salvo in rarissimi casi, e con ancora più rare condanne, i bersagli dei suoi strali, in questo sostenute da una pessima stampa che sguazza nel fango (vedi il trattamento riservato a Spacey) e solo anni dopo, ad assoluzione conclamata, rilascia un trafiletto asettico, in ultima pagina (vedi sempre come è stata trattata la notizia dell’assoluzione; voi l’avevate vista?). E guardate che non ci cascano solo i giornalacci scandalistici, se anche quel bravo ragazzo di Gramellini non ha rinunciato, pochissimi giorni fa, a commentare a rovescio le dichiarazioni di Emmanuelle Seigner moglie dell’”incontenibile” (aggettivo di Gramellini) Roman Polanski, che tentava – probabilmente non coi giusti argomenti – di difendere il marito da accuse di stupro. Ora: non voglio parlare di Polanski, di cui non so nulla sulla relativa innocenza o colpevolezza, ma l’andazzo è quello: c’è un tizio famoso che ha ricevuto un’accusa infamante; come io non so se sia un porco stupratore o l’ennesima vittima di una opportunista mitomane, non lo sa neppure Gramellini. Se rileggete le parole di Seigner, potete trovarle inadatte, ma la replica fuori centro di Gramellini mostra come sia facile, facile, troppo facile, scadere in un moralismo a senso unico, incapace di ricercare la verità, attendere la verità, sospendere il giudizio in attesa di una verità, anche scontando la possibilità che l’attesa sia infinita e frustrante, perché spesso la verità non è di questo mondo. Il moralismo è una forma di idiozia vestita di saggezza e bontà, ma resta idiozia; il contrario della ragione, e quindi sempre il contrario della verità.