Calenda offre a Giorgia Meloni una sua proposta di documento finanziario. In un’intervista a Repubblica dichiara:
In una fase complicata per il Paese noi ci siamo assunti l’onere di fare una proposta di bilancio strutturata, che poi abbiamo offerto sia alle opposizioni, sia alla maggioranza. Il Pd non ha mai risposto, mentre Meloni dicendo che mi vuole incontrare ha fatto un gesto importante.
Incalzato dal giornalista, che chiede, provocatoriamente, se non si accinga a diventare “stampella della maggioranza”, Calenda risponde:
No, noi restiamo all’opposizione, che però non sarà mai pregiudiziale. Se il governo dovesse sfaldarsi sarebbero problemi per l’Italia e io non me lo auguro. Hanno vinto le elezioni e devono governare. Vediamo cosa sanno fare e se non sono in grado spetterà agli elettori decidere. È finito il tempo dei governi d’emergenza o d’opportunismo.
Naturalmente non sono risparmiate critiche da “sinistra”. Per esempio Piero Ignazi (politologo, ordinario, scrive su Domani) afferma a chiarissime (e sprezzanti) lettere:
Essendo fallito quello sfondamento elettorale che tanti analisti ritenevano possibile – magari solo perché lo dicevano loro, ignorando le dinamiche del comportamento elettorale degli ultimi vent’anni – incomincia a definirsi il progetto di Azione e Italia Viva. Invece di assumere una postura di netta opposizione insieme a Pd e M5s, offrono ora come potenziale soccorso al governo in caso di necessità, viste le insoddisfazioni di forzisti e leghisti verso l’asso pigliatutto meloniano. […] Di fronte al governo più a destra di tutto l’Occidente non ci possono essere ambiguità, strizzatine d’occhio e disponibilità. L’intransigenza, oggi, è una virtù. Come è lo stata, di pochi coraggiosi, un tempo.
La mossa di Calenda arriva dopo il sostegno alla candidatura di Moratti in Lombardia, e dopo una campagna elettorale in cui il cosiddetto Terzo Polo e tutto ciò che si dichiara essere di “sinistra” se le sono date di santa ragione.
Ora: se due indizi fanno una prova, e tre dispongono a una sentenza definitiva, il quadro è chiaro: Calenda (il pariolino) e Renzi (il berluschino) sono due politici di destra. Allora: questo è assolutamente vero se si parte dall’assunto ideologico che tutto ciò che non è di sinistra sia, per ciò stesso, di destra, un assunto che ha un corollario: cosa sia di sinistra lo definisce chi è di sinistra; poiché perfino Conte si definisce tale, e c’è gente che gli crede (nel PD se ne trovano a frotte) capite che c’è una trama politica paradossale: chi si dice di sinistra stabilisce cosa sia di sinistra, e chi ne faccia parte.
Per spiegare come questo discorso sia inficiato da profondi bias negativi, mi permetterete di rifarmi a vecchi discorsi (anzi: proprio perché vecchi, da tempo proposti qui su HR, sono a prova di opportunismi e fascinazioni dell’ultimo minuto). Il 7 settembre, in uno dei post preparatori delle elezioni, scrivevamo sulla necessità di un “razionalismo politico”, per noi fondamentale per affrontare i temi politici nell’epoca attuale della complessità sociale esasperata, e fra le altre cose proponevamo questa figura:

La frattura fra razionalismo e populismo (che si aggiunge alla storica differenza fra destra e sinistra) fa riferimento a una riflessione fondamentale se si vuole comprendere la contemporaneità politica; restare ancorati a ‘destra’ e ‘sinistra’ con le medesime categorie e i medesimi concetti appresi nel Novecento (destra = autoritarismo, fascismo, conservatorismo, liberismo, impresa, sfruttamento…; sinistra = uguaglianza, fratellanza, democrazia, lavoratori…) non solo non aiuta a capire il mondo, ma ci consegna – come attraverso lenti deformanti – un’idea di mondo falsa. Le differenze fra ‘destra’ e ‘sinistra’ esistono e sono reali, ma in un modo (e in un mondo) nuovo da quello che generò quei concetti (che risalgono addirittura all’Ottocento).
Abbiamo spiegato approfonditamente questo tema quasi tre anni fa; se interessati questa è la breve serie di post collegati:
Da alcuni anni diversi esponenti politici (Calenda e Renzi, certo, ma anche altri, a partire da Della Vedova di +Europa) stanno cercando di collocarsi in alto rispetto a questo schema (in zona razionalismo), a partire da posizioni di sinistra (sinistra moderata, non massimalista, non ideologica), proprio mentre forze “di sinistra” sembrano trascinate in basso, in zona populismo, e sì, sto alludendo al PD.
Ciò che confonde commentatori come Ignazi è il fatto che il lessico novecentesco impregna ancora, fortemente, il nostro immaginario e la nostra narrazione dell’attualità. Le aree alta (razionalismo) e bassa (populismo), si dispiegano effettivamente da destra e sinistra, perché è immaginabile un razionalismo più conservatore e uno più riformista (come un populismo più esplicitamente fascistoide e uno più ugualitarista).
Concludo riproponendo un paio di ulteriori vecchie mappe concettuali (queste sono dell’anno scorso), che mostrano le differenti semantiche dei diversi quadranti risultanti dall’incrocio fra le due dimensioni viste:
Quindi: Calenda (e Renzi, e Bonino, Della Vedova, Carfagna e altri) sono (almeno tendenzialmente, con ovvie differenze) razionalisti; in quanto tali assumono punti di vista che, relativamente al banale pensiero lineare destra-sinistra, appaiono tendenzialmente più consoni, o meno, al pensiero ideologico, cristallino, fisso, aprioristico, di chi si fa portatore di una verità che viene celebrata (più che definita) come identitaria di una “sinistra” che non esiste più come la vivemmo (chi c’era) cinquanta o più anni fa.
Smettiamola quindi con le stupidaggini. Calenda vi può piacere o no. Potete condividere il suo programma politico o no. Non è immune a sbagli e scivoloni, e ha un carattere che non suscita facilmente simpatie. Ma il suo è un tentativo di iniettare componenti razionaliste nel panorama politico italiano ed è assolutamente razionale, da parte di una forza di opposizione, offrire un contributo costruttivo al governo, invitare a fare meglio, mostrargli alternative praticabili. Chi, come Ignazi, conclude la sua perorazione con frasi quali
L’intransigenza, oggi, è una virtù. Come è lo stata, di pochi coraggiosi, un tempo.
mostra di essere, più che un politologo, un attivista, residuo di quell’”intellettuale organico” gramsciano del quale, onestamente, non si sente più alcun bisogno.