L’Ebola come metafora

L’epidemia di Ebola comincia a spaventare o, quanto meno, a preoccupare. Conosciuta da alcuni decenni è sempre rimasto un problema lontano, con pochi morti in remoti villaggi dell’Africa “nera”, buono per una frettolosa compassione o per spaventarsi in qualche disaster movie. Ma adesso le cose sono improvvisamente cambiate: circa 1.000 morti al momento in cui scrivo, un numero mai raggiunto nelle precedenti epidemie (solitamente di poche decine di casi e, raramente, alcune centinaia); 100 operatori sanitari (tutti locali) contagiati, di cui 50 morti; un morto in Arabia; un caso sospetto in America (non è però Ebola); primo caso in Europa! (ma ce l’abbiamo portato noi, rimpatriandolo in Spagna); tre casi a Lampedusa!! (ma è un falso, denunciato l’autore). Infine, ad alimentare l’incipiente psicosi, l’allarme lanciato dall’OMS e titolato “La peggiore epidemia da quarant’anni MA si può battere”, con quel “ma” micidiale, ipotetico (dubitativo?).

Io non sono un epidemiologo, e non vi argomenterò a proposito dell’estrema improbabilità dell’Ebola di diventare una pandemia minacciosa; nelle risorse finali troverete testi seri che trattano l’argomento, spero in modo rassicurante per voi (ammesso che siate preoccupati), dove viene spiegato che le modalità di contagio, il breve ciclo di vita del virus, le infinitamente migliori strutture sanitarie occidentali rendono davvero un’ipotesi improbabile, allo stato attuale, immaginare un rischio da noi. Voglio invece considerare le implicazioni sociali, o più correttamente psico-sociali, e comunicative, e antropologiche, di quest’epidemia 2014, le conseguenze per l’immaginario collettivo, le ragioni del turbamento irrazionale che ha generato.

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(Fonte OMS)

Partiamo da alcuni dati di realtà, invero piuttosto noti ma non considerati nelle discussioni allarmate e allarmistiche. Rispetto al migliaio di morti (al momento) dell’Ebola, nel mondo si muore, a milioni o a centinaia di migliaia, per diversi altri virus:

  • HIV: fra 1,6 e 1,9 milioni di morti all’anno;
  • epatite (tutte le varianti): un milione l’anno;
  • influenza: sì, la comune influenza uccide fra 250 e 500.000 persone l’anno;
  • papilloma virus: 275.000 l’anno;
  • rabbia: 55.000 l’anno.

E non è neppure vero che l’Ebola spaventi di più per l’alto tasso di mortalità: dalla tabella OMS inserita qui a fianco vedete come questa sia molto variabile, grosso modo sul 60-70% (in zone senza strutture sanitarie) mentre, per esempio, il virus Marburg raggiunge l’88% di mortalità nella ben organizzata Europa (epidemia del 1967 in Germania) e la rabbia uccide il 100% dei contagiati (QUI una diversa fonte sui tanti virus mortali coi quali dobbiamo convivere).

I dati quindi non sono preoccupanti; pochissimi morti (su scala planetaria) a causa dell’inadeguatezza sanitaria nelle zone di contagio, e pochissime probabilità di espansione del virus. E quindi? Quindi il problema riguarda il processo di elaborazione occidentale di questa epidemia, l’inquietudine che assale l’europeo, l’americano… Io credo che l’Ebola, complici i giornali, il cinema etc., sia una metafora della caducità dell’opulento Occidente, il suo orizzonte di colpa, la sottolineatura della complessità ignota e ingestibile che ci rende incerti e ciechi.

L’immaginario collettivo elabora le sue paure in forme narrative estreme: l’incubo della guerra nucleare negli anni ’60 produsse una quantità di storie di fantascienza (libri, film) dove alieni cattivi (i Sovietici) invadevano la Terra (gli Stati Uniti) con intenti malvagi, ma i buoni cittadini (americani) riuscivano a trionfare. Poi le paure si sono trasferite sul terrorismo, sull’inquietante globalizzazione, sull’incertezza economica e oggi sull’Ebola; e l’immaginario (specie cinematografico) si produce in film di zombi e vampiri, dove c’è la componente dell’infezione, dei superstiti assediati. In alcuni dei film più famosi e capostipite, un gruppo di sopravissuti si rifugia in un centro commerciale (Zombi, 1978 e il suo remake L’alba dei morti viventi del 2004); quale migliore simbolo dell’opulento consumismo occidentale assediato dal male?

L’Occidente ha paura: di perdere il benessere; di perdere la salute; di perdere sicurezza… Tutti concetti sviluppati nella moderna società capitalistica. La morte, per esempio, è stata abolita, censurata, scotomizzata nella nostra cultura, come lucidamente ha scritto Norbert Elias nel suo piccolo capolavoro La solitudine del morente, del 1982; è sconveniente parlare di morte, è indelicato, è imbarazzante. E la malattia, come ci ricordò Susan Sontag nel 1978, nel suo La malattia come metafora, appare come una punizione per i nostri comportamenti. Malattia e morte, che ci accompagnano ineluttabilmente dall’inizio della nostra storia e che sono, pur nel dolore, “normali” nelle società rurali e pre-industriali, ci sconcertano, ci intimoriscono e vanno quindi bandite. La nostra cultura è edonista: corpi perfetti, gioventù eterna, felicità garantita. La malattia è lì a infrangere questo sogno e la morte è una verità inaccettabile.

E poi l’Ebola, così ripugnante nelle sue manifestazioni, così poco urbana, proviene dal centro dei sensi di colpa occidentali: quell’Africa prima conquistata, poi abbandonata alle sue infinite guerre, con strutture sanitarie inesistenti, povera e degradata. L’Africa cui doniamo distrattamente, e raramente, qualche Euro di carità perché i bambini coi ventri gonfi disturbano la nostra coscienza. Che incredibile nemesi! I poveri e i diseredati, ignoranti, sporchi e malati che arrivano, coi loro malefici fluidi, nei nostri salotti! Noi occidentali bulimici coi nostri televisori al plasma, smartphone, vacanze all inclusive, palestra, condizionatori d’aria, Facebook, BBQ con gli amici, carte di credito e profumi costosi a Natale, noi, proprio noi, minacciati da un microscopio e letale virus africano!

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Sopravvivere nella complessità è piuttosto facile; il difficile è vivere; essere consapevoli, protagonisti della propria vita, non omologati. La mediocre stampa italiana manifesta gli allarmi dell’uomo comune, li asseconda, li ingigantisce. Qualche politico cavalca il tema in senso xenofobo all’insegna della sempre vincente politica della paura. Che l’Ebola sia da monitorare è evidente, assieme a decine di altre patologie, guerre, crisi e problemi, ma che debba diventare l’innesco di un’isteria collettiva è da evitare.

Risorse:

  • WHO, Ebola virus Disease, Aprile 2014; la pagina ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità;
  • Ministero della Salute, FAQ – Malattia da virus Ebola (EVD), 8 Agosto 2014; una specie di vademecum completo, inclusivo delle misure di prevenzione prese in Italia;
  • CDC – Centers for Disease Control and Prevention, 2014 Ebola Outbreak, sito americano aggiornato con molte informazioni;
  • Eleonora Lorusso, Ebola: “Nessun pericolo per l’Italia, intervista ad Aldo Morrone, specialista in malattie infettive e tropicali, che spiega perché non ci sono pericoli, neppure nel soccorso ai migranti effettuato con Mare Nostrum.