Essere Presidente della Repubblica

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Lo dico subito in apertura a tutti coloro che spammano su Facebook e Twitter presunte frasi contro la casta di Pertini, che rimpiangono Pertini, che inneggiano a Pertini-il-Presidente-di-tutti-noi: questo breve post non è stato scritto per voi! Pertini ha “esercitato” dal ’78 all’85, il che significa che molti di voi non erano nati o erano bambini; se avete meno di cinquant’anni e parlate di Pertini non ne avete titolo, lasciate perdere e non fate gli omologati che corrono dietro a modelli che non conoscono per unirsi a un coro di indignati da salotto. Questa sfuriata iniziale mi serve per introdurre i due assolutamente distinti blocchi di Presidenti che abbiamo avuto, quelli prima di Tangentopoli e l’inchiesta “Mani Pulite” (Pertini e Cossiga gli ultimi) e quelli dopo (Scalfaro, Ciampi e Napolitano). L’osannato Pertini (indubbiamente un Presidente amatissimo) fa parte del primo gruppo e ha operato in anni distanti anni luce da quelli attuali, in condizioni incomparabilmente differenti e – per ragioni che vedremo – quel Pertini oggi sarebbe stato assai contestato, esattamente quanto Napolitano, da tutti coloro che criticano secondo convenienza qualunque soggetto disponibile. Oltre allo spartiacque già menzionato occorre poi considerare una sorta di naturale evoluzione del ruolo di Presidente, tale da costituire una significativa differenza fra l’essere Presidente all’epoca di Pertini e l’esserlo dopo.

I Presidenti della Prima Repubblica operavano essenzialmente in un quadro politico bloccato, con un’alternanza non scritta fra eletti democristiani ed eletti di area liberale prima e di area socialdemocratica in anni più recenti. Il loro ruolo, ieri come oggi, è stato agito nella vaghezza – ricordiamolo – del dettato Costituzionale che non specifica cosa il Presidente debba o non debba fare se non per alcune funzioni indubbiamente essenziali (artt. 87, 88 e 92) trattate comunque a maglie larghe. Vediamo la Costituzione:

ART. 87. Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica. ART. 88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura. ART. 92. Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

Nell’epoca della Prima Repubblica, molto regolata nell’ambito dei Blocchi internazionali, di una maggiore sovranità nazionale (pre-Euro) e in quadro economico-sociale assolutamente differente, il ruolo dei Presidenti italiani è stato molto caratterizzato dalla funzione simbolica di rappresentante dell’unità nazionale (ovvero dei partiti sostanzialmente di vocazione governativa che lo eleggevano) e assai poco come attore fra altri nella politica italiana. presidenti3456$%&:(

I Presidenti della cosiddetta Seconda Repubblica si sono trovati repentinamente sbalzati in una dimensione diversa:

  1. il collasso dei partiti e dei sistemi consolidati di alleanze dopo Tangentopoli (1992) e lo spazio politico colmato dalla novità di Berlusconi e dalla necessità di “inventarsi” una tenuta sociale con l’epoca della concertazione, che trasformò i sindacati in veto player (ne abbiamo già parlato);
  2. la repentina trasformazione globale successiva alla caduta dei Blocchi, all’emergere della Cina, a innovazioni tecnologiche capaci di trasformare i costumi (p.es. Internet) e, naturalmente, all’ingresso nell’Unione monetaria europea (questo periodo di grandi trasformazioni ha avuto un fortissimo impatto nella nostra società e nella politica, come abbiamo scritto su Hic Rhodus);
  3. il nuovo disegno istituzionale successivo alla frettolosa riforma del Titolo V della Costituzione (2001), il tipo diverso e nuovo dei problemi nell’agenda politica italiana in seguito all’introduzione dell’Euro e una molteplicità di concause interne ed esterne che non si possono elencare qui, salvo sottolineare che la molla del cambiamento, avvenuto per gradi negli anni, è stato in particolare il conflitto istituzionale che sempre maggiormente ha coinvolto anche il Presidente.

Il Presidente della Repubblica entra per varie ragioni nel conflitto di attribuzioni che ovviamente, in qualunque modo si sia risolto, ha contribuito a precisare, definire e sostanzialmente rafforzare un ruolo che precedentemente era, come detto, più simbolico e rappresentativo che di sostanza.

Si è avviata, soprattutto degli anni Novanta, una “stagione dei conflitti” in cui il conflitto interorganico si pone come competenza alternativa al giudizio in via incidentale ed in cui il dato più rilevante non è rappresentato dal crescente numero dei conflitti, quanto piuttosto dalla crescita del loro “tono costituzionale”, nonché dal coinvolgimento non più solo di poteri privi di strumenti di mediazione politica, ma di soggetti posti al vertice del sistema e, sul piano oggettivo, da questioni che celano un’elevata tensione istituzionale. In questo contesto, anche il Presidente della Repubblica è divenuto, sempre più frequentemente, parte nei conflitti: se si escludono alcuni conflitti poco recenti e scarsamente significativi in cui il Capo dello Stato è stato coinvolto con altri poteri dello Stato; è, infatti, con il “caso Mancuso” – risolto dalla Corte costituzionale con la sent. n. 7 del 1996 – che il Presidente è per la prima volta parte, insieme con altri organi costituzionali, in una controversia che non ha precedenti per “tono costituzionale”. Si può ritenere che, a partire da questa pronuncia, si sia progressivamente consolidata una tendenza al ricorso al conflitto di attribuzione, anche su iniziativa dello stesso Capo dello Stato, per la soluzione di questioni di grande rilievo costituzionale che lo vedono coinvolto. Il conflitto con il Ministro della giustizia sulla titolarità del potere di grazia (sent. n. 200 del 2006) è, infatti, il primo ad essere sollevato dallo stesso Presidente ed, inoltre, il primo in cui il Capo dello Stato non è affiancato come parte da altri poteri (Angioletta Sperti, Alcune riflessioni sul ruolo del Presidente della Repubblica e sulla sua responsabilità dopo la sentenza n. 1 del 2013 della Corte Costituzionale).

In questo nuovo contesto il ruolo del Presidente della Repubblica si ridefinisce nei fatti, nella prassi, proprio all’interno di quelle maglie larghe che la Costituzione ha lasciato. Ciò significa essenzialmente che il suo ruolo diventa maggiormente politico. Se “politico” debba necessariamente significare “partitico” (= di parte; attore fazioso entro uno schieramento in lotta) oppure se debba conservare il suo significato originario, poco praticato e conosciuto in Italia, di “tecnica e pratica dell’amministrazione pubblica e dell’esercizio del potere decisionale”, rimane al giudizio degli italiani, purtroppo spesso convinti che ogni atto e parola non esattamente il linea con quella della propria parte sia un voluto atto cospirativo, una scorrettezza deliberata, un sostegno indebito alla parte avversa (salvo sbrodolarsi quando il successivo atto o parola sembra interpretabile in senso favorevole). Per quanto possa interessare i lettori di Hic Rhodus la mia personale opinione riguardo gli ultimi presidenti è che sì, sono stati maggiormente “politici” e attivi, capaci – ciascuno coi propri limiti – di arginare la deriva eversiva berlusconiana, accompagnare l’ingresso dell’Italia nell’Euro (ovvio che per noi di HR questo ingresso è stato positivo), resistere a molteplici attacchi e derive e crisi, dal disastro economico-finanziario all’assalto grillino. L’elenco dei difetti e dei limiti – che accompagna inevitabilmente qualunque vicenda umana – mi pare un esercizio sterile ma, soprattutto, profondamente ingiusto.

Come sarà e come dovrebbe essere il nuovo Presidente? La seconda domanda è più facile: le sfide sono ancora una volta nuove o, quanto meno, più incisive: le nuove riforme costituzionali – qualora adeguatamente perseguite – segneranno un nuovo disegno istituzionale che, anche se non incidesse direttamente sugli articoli citati sopra, configureranno in ogni caso ruoli nuovi; le sfide della crisi infinita, del contesto europeo e del sempre più inquietante scenario internazionale non possono che lasciar immaginare la necessità di un autorevole e attento Capo dello Stato (e, ovviamente, di tutti gli altri attori istituzionali). Purtroppo questa necessità cade in un momento incerto, in cui il Parlamento ha numeri che non riflettono più la rappresentanza popolare, dove troppi ideologismi allignano, dove molte vendette vanno ancora consumate. Inutile appellarsi al Bene Supremo della Patria, i giochi delle mille minoranze detentrici di straordinarie verità potrebbero portare a soluzioni di compromesso nello stile della Prima Repubblica. Ma non è detto, naturalmente.

Post Scriptum su Pertini: preciso che anch’io come tutti ho amato Pertini. Un Presidente diverso che veniva dopo una sequela di figure in parte grigie e in parte chiacchierate (di un ex Capo dello Stato si mormorava che fosse alcolista; un altro fu costretto a dimissioni anticipate per attività illecite – mai dimostrate in giudizio). Pertini era un passionale che “stava col popolo”, sempre molto attento ad avere una telecamera vicina per immortalare il suo stravagante populismo. Durante il settennato di Pertini (1978-1985) è stato Presidente del Consiglio (da lui incaricato) quel Craxi che iniziò la stagione dell’indebitamento pubblico folle. Andò ai funerali di Konstantin Černenko, che sarebbe un po’ come se Napolitano fosse andato a quelli di Kim Jong-il, piantando in asso una visita ufficiale in Sud America in maniera diplomaticamente discutibile; e firmò la grazia ala brigatista Fiora Pirri Ardizzone salvo poi dire che non aveva capito chi fosse; due scivoloni fra diversi altri che sarebbero stati sufficienti a un Grillo qualunque per chiedere l’impeachment. Insomma, non c’è bisogno di costruire mistificati “santini” laici di cui poco si conosce e che come tutti hanno avuti limiti e incertezze. E, specialmente, non c’è bisogno di moltiplicare viralmente sul web false “frasi storiche” mai pronunciate ma comode per la propaganda.

Questa frase Pertini non l’ha mai detta
Questa frase Pertini non l’ha mai detta

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