2^ parte – Essere avanguardia (o almeno tentare)
E adesso, poste le premesse concettuali nel precedente post, sono pronto per la parte centrale della mia argomentazione dove intendo parlare della difficoltà ad essere avanguardia innovatrice nella società contemporanea. L’avanguardia si scontra con la massa che resiste alla novità, è tutto molto semplice. La novità etica (non la novità tecnologica, il nuovo smartphone o il nuovo film con George Clooney) impone una nuova organizzazione culturale e sociale, impone in ciascuno di noi dei rapidissimi adattamenti di quegli “schemi mentali” (Neisser) costruiti nel corso di anni e che garantiscono una sorta di pace mentale. Non sempre possiamo rinnovarci in due e due quattro rispetto a routine, cliché, stereotipi, idee, prassi, consuetudini, costumi, abitudini che ci hanno accompagnati per anni, che abbiamo costruiti faticosamente illudendoci della loro solidità. Pochi individui sanno vedere la fragilità dei propri schemi mentali e accettare una nuova visione del mondo, sostanzialmente ricominciando daccapo a tessere i fili di un’identità interiore, di una nuova etica.
E adesso viene il bello: poiché in pochi accettano queste sfide, rispetto alla più rassicurante consuetudine, una grande massa di individui preme, preme furiosamente per il mantenimento dello statu quo; la sanzione sociale immediata per l’avanguardia innovatrice è pesantissima, ha a che fare con l’isolamento e l’ostracismo, la condanna esplicita e il disprezzo. È veramente difficile resistere a questa pressione a meno che non si sia in un numero sufficiente, tale da trovare, in seno al proprio gruppo avanguardista, senso di protezione e orgoglio d’appartenenza. Essere minoranza ma elitaria è accettabile a fronte anche di comportamenti antagonistici espliciti perché allora la maggioranza (giudicata ottusa) può ferirci ma noi (non più “io”) sappiamo di essere nel giusto e ce lo ricordiamo l’un l’altro, e potremo lottare per le nostre idee fiduciosi nell’avvenire. E questa è la storia di molteplici minoranze attive nella storia occidentale del Novecento (ma qui sono scivolato sulle “minoranze”, che non sempre sono necessariamente avanguardie).
E qui devo tornare a Grillo e Renzi per concludere quel discorso (precedente post). Cresciuto velocemente a partire da idee-chiave largamente condivise dall’opinione pubblica (contro la casta, gli sprechi e i privilegi) con la massa di voti presi alle ultime politiche Grillo ha indiscutibilmente mostrato di essere minoranza sì, ma di ampia portata. Il senso di appartenenza dei pentastellati al Movimento è stata a lungo simile al senso di appartenenza a una setta fideistica e salvifica, non diversamente da altri esempi storici (i bolscevichi di un secolo fa, per esempio) ma a differenza di quelli, per ragioni già spiegate abbondantemente anche in questo blog, l’inazione e il centralismo autoritario, assai più della debolezza programmatica, hanno di fatto reso sterile questa forza politica destinandola a un rapido ridimensionamento. Per Renzi valgono condizioni iniziali simili: il piccolo gruppo dei “rottamatori”, la Leopolda e la scalata al partito con un repentino successo recente. Poi c’è stato il difficile confronto fra le molteplici idee innovatrici e la prassi parlamentare e partitica, anche questa ampiamente documentata su Hic Rhodus, con l’affastellamento di parziali riforme, modificate e castrate dal confronto con troppi veto player.
In entrambi i casi c’è una frattura fra le idee (più o meno buone) e la prassi. Deng Xiaoping, col quale ho aperto questo discorso la volta precedente, è emerso in un’oligarchia chiusa e spietata, ma anche molto lungimirante, come tipico della società cinese di alcuni decenni fa; Delano Roosevelt giocava sulla disperazione della Grande Depressione e i Padri fondatori dell’Europa sulle macerie della guerra. In tutti questi casi dei grandi leader potevano indicare parole d’ordine semplici e chiare che sapevano dare speranza a popoli interi. Ma, specialmente, hanno saputo e potuto far seguire una prassi alla loro visione. Oggi neppure un Deng o un Roosevelt potrebbero intaccare l’intricata rete di privilegi, diritti, differenti visioni del mondo, posizioni di rendita, articolate e cangianti alleanze politiche che formano l’ossatura della nostre mediocre società impedendo un’azione coerente e radicale. La mediocrità conviene. L’omologazione protegge. La visione del futuro spaventa. La difesa del vecchio mondo è più conveniente. Anche l’esercito degli indignati del divano, che hanno creduto semmai di essere rivoluzionari votando Grillo, sono campioni di questa omologazione incapace di tracciare una rotta verso il domani. Anche gli antagonisti No-Tav che sabotano le linee ferroviarie sono dei tristissimi omologati incapaci di avere una visione, salvo che la loro ottusità è più temibile perché violenta. Anche i renziani dell’ultima ora, come tutti i voltagabbana che passano la vita a saltare sul carro del vincitore del momento, sono degli omologati incapaci di contribuire realmente e in prima persona alla costruzione di processi sociali di rottura. Anche i comunisti duri e puri che saltano di elezione in elezione in nome del Sol dell’Avvenire prendendo lo zero-virgola, sempre certi della giustezza della loro minorità bocciata dalla Storia sono degli omologati, pieni di eloquio e vaniloquio, ingannatori dei deboli nella loro incapacità a uscire da ideologie stereotipate. Perché la prassi, l’azione, il fare concreto è per definizione imperfetto, fallace, incompleto, parziale e comunque generatore di nuovi problemi, e quindi l’azione è rischiosa, al contrario delle belle idee, della retorica, degli slogan appassionati che com-muovono le masse ma non s-muovono la Storia. Le avanguardie non possono avere solo luminosi ideali, devono sapere costruire strade per perseguirli ma oggi, come si è cercato di argomentare, è estremamente difficile costruire faticose strade di incertezza, specialmente contrapponendole a rassicuranti (e vuote) autostrade di sogni.
Oltre alla pressione sociale omologante e alla difficoltà di far seguire la prassi alla visione, c’è un terzo e conclusivo elemento ostativo che per ragioni che non sto a chiarire vorrei chiamare problema della società neo-mercantilista. Il concetto è storicamente legato a epoche antiche e a concetti obsoleti ma ha un suo senso e una sua attualità morale anche al giorno d’oggi:
Il mercantilismo può essere anche considerato come un particolare stato d’animo, come una forma mentale, diffusa in larghissimi strati, alti e bassi, della popolazione, intimamente persuasi della bontà di certi procedimenti economici. Inteso in questo senso si può dire che esso sia antico quanto lo stato e sia oggi più vivo che mai: è infatti quasi istintiva nell’uomo civile la convinzione dell’onnipotenza dello stato in materia economica e, oltre che del diritto, anche, e più, del dovere dello stato d’intervenire non solo per difendere ed equamente distribuire la ricchezza nazionale, ma anche per crearla, per promuovere, indirizzare, aiutare i varî rami della produzione, anche se i loro interessi contrastino fra loro (si veda la voce “Mercantilismo” dell’Enciclopedia Treccani scritta da Gino Luzzatto).
Per i puristi per i quali, giustamente, le parole sono pietre, invece di “mercantilismo” potremmo dire società delle merci, neocapitalismo, consumismo edonista (come già lo vide Pasolini) o come vi pare; in breve una società centrata sull’appagamento tramite le merci e la mercificazione delle idee, delle persone, dei comportamenti. Sarebbe un discorso lunghissimo che spero almeno in parte chiaro ai lettori, e che non posso approfondire se non attraverso pochissimi esempi spot:
- difficile una possibilità di protesta che non sia mercificata: Grillo ha elevato un business sull’indignazione, il televoto ci rende tutti giudici per un minuto ma un esempio stupendo è quello delle Femen che ispirano una pubblicità di gioielli;
- difficile essere artisticamente underground senza abbracciare il mercato; l’esempio intelligente e furbo di Fedez, il rapper che ha portato la cultura (antagonista) hip hop a X Factor ricavandone vantaggi notevoli per la sua etichetta discografica è emblematico;
- infine: date un’occhiata alla vostra scrivania, nei vostri cassetti… quante dozzine di aggeggi assolutamente inutili vi circondano? Inutili, ingombranti, costosi, molti dei quali saranno comunque sostituiti da altri tecnologicamente più avanzati appena possibile.
Andiamo verso la conclusione con una sintesi veloce: una quantità di fattori, tutti abbastanza recenti e richiamati nella prima parte di questo articolo rendono difficile, se non improbabile, il sorgere e l’affermarsi di un’avanguardia politica innovatrice. La società del consumismo è omologante, l’omologazione è mediocre, la mediocrità è contraria ai cambiamenti. L’edonismo è particolarista, il particolarismo è nemico delle visioni strategiche e dei leader che le incarnano e insofferente alla prassi, ovvero all’azione collettiva, da quelle visioni ispirata, in grado di smuovere coscienze e riordinare comportamenti. L’omologazione è adesione alla massa mediocre, è il contrario dell’assunzione di responsabilità individuali indispensabili al cambiamento. Nessun leader innovatore potrà cambiare una società se una maggioranza di cittadini non assumeranno, ciascuno con un atto individuale, una responsabilità personale. E vi prego di non sottolineare che “maggioranza di cittadini” è più affine a “omologazione” che non a “responsabilità individuale”. I grandi cambiamenti avvengono in circostanze eccezionali, e raramente, e infischiandosene degli ossimori.
È difficile essere, oggi, degli innovatori, delle vere avanguardie. Tutto viene immediatamente preso, masticato e rivomitato dalla società mercantilista globale. A me – sarà a causa delle mie omologazioni d’antan – continua a sembrare plausibile un’azione politica d’avanguardia a partire dal livello micro dell’assunzione di responsabilità. Pagare le tasse, per esempio, che in Italia è un gesto rivoluzionario se sei una partita Iva. Dire ancora “buongiorno signore” e “scusi signora” a degli sconosciuti, una roba assolutamente inusuale. Assumersi ogni responsabilità. E soprattutto riuscire a cambiare idea rinunciando a una propria sicurezza a favore di una nuova strada aperta di fronte a noi. Lo so che l’Italia è piena di gente “aperta”, sedicente curiosa e tollerante e così via. Di solito quelli che nella mini-biografia di Twitter si autodefiniscono aperti e curiosi mi defollowano dopo pochi giorni mal sopportando i miei tweet… Che poi è facile riconoscere i veri avanguardisti: sono relativisti (come ho scritto qui) e disincantati (come invece ho scritto qui). Se sbagliano lo riconoscono; valutano le fonti; hanno una condotta di vita che non contraddice troppo ciò che affermano. Ma, soprattutto, si assumono il rischio della prassi, dell’azione, del fare; e quindi di sbagliare, di essere imperfetti, di essere traditi dal loro stesso slancio. Quindi, se la pensate così anche voi, vi prego: non omologatevi!