I recenti flussi migratori in Germania attraverso i percorsi balcanici occidentale e orientale (Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, ma anche via Bulgaria) hanno riguardato in questi ultimi giorni circa 20.000 persone. Si tratta di una parte modesta dell’ondata di migranti che si dispiegherà nei prossimi mesi ed anni – soprattutto dopo le dichiarazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel: accoglieremo in Germania tutti i rifugiati provenienti dalla Siria, esclusi quelli balcanici, poi corretto: sino a 500.000 rifugiati l’anno.
Com’è noto, dal 2012 la Siria è dilaniata da una guerra civile. È un paese che contava circa 23 milioni d’abitanti. Di questi si stima che 7,5 milioni siano sfollati all’interno del loro paese, mentre circa 4,7 milioni siano già fuggiti o fuggiranno, alla fine del 2015, dal loro paese. Si sono rifugiati in Turchia, Libano, Giordania e Iraq. Uso il termine ‘rifugiato’ in un senso molto generale, che va oltre alla definizione legale. Oltre ai rifugiati veri e propri, si tratta anche di migranti irregolari, di persone oggetto di compravendite simil-schiavistiche, prive di documenti, apolidi.
Per i governi che li ospitano in questo periodo nei loro territori, si tratta sovente di persone indesiderate. Questo vale anzitutto per la Turchia, che teme la formazione di un’altra consistente minoranza etnica sul proprio territorio, oltre a quella curda. L’assistenza offerta ai rifugiati è quindi minima: acqua, cibo, vestiti. Per persone trattate in questo modo, la prospettiva più ragionevole è continuare la migrazione verso l’Europa.
L’ondata migratoria verso l’Europa sembra quindi destinata ad aumentare notevolmente nei prossimi mesi e anni. Si tenga presente che se tra i rifugiati in Europa prevalgono percentualmente quelli di nazionalità siriana, altre nazionalità sono ben rappresentate (Kosovo, Afghanistan, Albania e poi Irak, Pakistan, Eritrea, Serbia, ecc.). Il Capo dello Stato Maggiore congiunto delle forze armate statunitensi, generale Martin Dempsey ha dichiarato in proposito che ” we need to look … at these issues as a generational problem, and organize ourselves and resource ourselves at a sustainable level to deal with it for 20 years”.
Le stime che circolano questa ondata migratoria sono imponenti: finora sono 549.000 i richiedenti asilo in Grecia, Italia e Ungheria; 794.000 in tutti i paesi europei; 1.300.000 alla fine del 2015.
A questi si aggiungeranno altri milioni di migranti nel giro di pochi anni. Malgrado l’ottimismo espresso dal Governo tedesco e da alcuni autorevoli mezzi di comunicazione, come The Economist non sarà facile sistemarli tutti decentemente, rispettando i loro bisogni e le loro aspettative, nel corso di anni o lustri.
Serviranno case, scuole per bambini, quattrini per mantenerli almeno nei primi mesi, lavoro da offrire a gran parte delle persone adulte. All’interno della Germania i governi di alcuni Länder tra i più importanti — come la Baviera e il Baden-Württemberg, ma non solo — hanno già preso, anche nettamente e duramente, distanza dalla linea politica tracciata dalla cancelliera Angela Merkel. Il leader dell’Unione Sociale Cristiana (CSU) e governatore della Baviera Horst Seehofer ha addirittura invitato il premier ungherese Victor Orbán — le cui posizioni sono notoriamente assai distanti da quelle del governo federale tedesco — a una conferenza del suo gruppo parlamentare, in modo “da trovare una soluzione insieme” a lui. A livello federale, la CSU è il principale alleato della CDU (Unione Cristiana Democratica), il partito di Angela Merkel. Problemi e difficoltà sono segnalati in diversi luoghi del paese. La macchina burocratica e organizzativa, nazionale e locale, è stata presa alla sprovvista; stenta, e non poco, a far fronte all’ emergenza. La fase degli entusiasmi collettivi in Germania sembra già declinare, di fronte all’entità dei compiti da svolgere e allo stress conseguente. E’ probabile che il governo tedesco specificherà o correggerà la sua politica nelle prossime settimane o mesi.
Di seguito indico, in modo sommario e schematico, alcuni aspetti del problema.
- Un primo argomento riguarda le politiche di accoglienza e i loro costi, soprattutto nei principali paesi europei. Abitazioni a parte (il problema più urgente da risolvere: l’estate è ormai finita), i principali aspetti di una politica di accoglienza sono la scuola e la sanità. Saranno richiesti nuovi insegnanti, nuovi edifici, nuovi ospedali, nuovi medici. In parte almeno, alcuni di questi impegni potranno essere soddisfatti grazie al lavoro e alle abilità degli stessi migranti. Si porranno più avanti i problemi delle seconde e terze generazioni, già evidenti oggi in molti paesi europei. Si tratterà di valutare di volta in volta costi, efficacia ed efficienza di politiche e azioni di assistenza e di follow up dei migranti che saranno realizzate. Sulle politiche europee del passato, una delle cause delle difficoltà attuali, è opportuno stendere un velo pietoso. Senza dimenticare nulla, beninteso. Persino il presidente della Commissione Europea Jean-Paul Junker ha trovato il coraggio di tracciare pubblicamente il 9 settembre 2015 una sorta di ‘Stato della disunione europea’. Sul problema della gestione delle migrazioni si rischia una frattura formale, non solo sostanziale, nell’Unione Europea. Le divisioni non sono prodotte solo dalla paura, come sostiene Guy Verhofstadt, leader del Gruppo Liberale e Democratico al Parlamento Europeo, ma soprattutto dall’impreparazione, frutto dell’incapacità politica di prevedere eventi da tempo emergenti, e di far fronte oggi alla realtà.
- Un secondo argomento riguarda le conseguenze sociali di queste migrazioni di massa. Qui le note possono essere poco liete. In gioco sono la divisione del lavoro, geografica e professionale, la stratificazione sociale, i processi di mobilità geografica e sociale nei paesi ospitanti. Gli aspetti meno piacevoli sono la formazione di underclass urbane (ad es. i gruppi di immigrati che abitano nei quartieri dellabanlieue di Parigi e di altre città europee), la criminalità e l’illegalità che potrebbero fiorire tra le popolazioni ultime arrivate nelle ondate migratorie (la mafia italiana, ad esempio, negli USA dello scorso secolo), azioni collettive di protesta di straordinarie dimensioni (come nel Nord Italia degli anni ’60 e ’70, ad esempio), processi di chiusura sociale e di mobilità sociale bloccata, sentimenti diffusi di frustrazione relativa e, più in generale, quei processi che Émile Durkheim etichettò ne Il suicidio con l’espressione “declassificazione anomica”. Le migrazioni precedenti, negli Stati Uniti e in Europa, hanno stimolato la produzione di intere biblioteche di ricerche sociologiche, alcune delle quali sono diventate dei classici della disciplina (un solo titolo: Il contadino polacco, di Thomas e Znaniecki). Il lavoro dei sociologi del passato può essere ancora molto utile in questi casi.
- Un aspetto ulteriore è la considerazione dell’equità e dell’efficacia degli argini e dei limiti (ad es. le quote, stabilite per paesi e in quantità) che gli Stati verosimilmente porranno (alcuni li hanno già fissati) per limitare l’entità di questa migrazione epocale. Qui i governi e i loro tecnici giuridici sono già all’opera. Un argomento rilevante in questa discussione sarà la definizione legale di ‘rifugiato’. Il problema è stato già posto dal ministro delle finanze bavarese, e uomo forte della CSU, Markus Söder.
- Quali possono essere le conseguenze possibili a medio e lungo termine nell’elettorato europeo e nei rapporti internazionali? Molti sono gli scenari possibili, con diversi gradi di probabilità. Da quelli ottimistici, diffusi in queste settimane, che i tedeschi hanno etichettato con il termine Willkommenskultur a quelli pessimistici: la vittoria della signora Le Pen alle prossime elezioni francesi e, in Italia, di Salvini o di Grillo (che sulle migrazioni non è certo allineato con le posizioni dell’attuale governo tedesco, ma che coltiva qualche simpatia per quelle di Orbán). Un altro possibile esito potrebbe essere la sconfitta elettorale di Angela Merkel, le cui dichiarazioni recenti sono sembrate a molti poco prudenti. Esse costituiscono tra l’altro altrettanti incentivi a emigrare — non solo per i profughi siriani. Ancora: perché i siriani sì e gli altri no? Ci sono libici, afgani, eritrei, sudanesi, ucraini del Donbass e della Crimea; un domani i turchi, se a Erdohan riuscirà di spaccare il paese. Le ragioni — demografiche ed economiche, anzitutto — e gli scopi della cancelliera tedesca sono comprensibili e apprezzabili, ma sottovalutano probabilmente le conseguenze sociali di un processo migratorio così imponente. Tra di esse non mancheranno probabilmente quelle non volute e non desiderate. Su ciò che pensano i merito una parte di europei avremo delle idee più precise già alla fine dell’anno: nei prossimi mesi ci sono infatti quattro elezioni generali in altrettanti paesi. Non va scordato che il problema migratorio si aggiunge a un’agenda internazionale europea già sovraccarica: il conflitto ucraino, il deciso appoggio russo al Governo di Baššār al-Asad e l’occupazione strisciante della Libia da parte del Daesh.
- Di rilevante importanza saranno infine le azioni militari, in almeno un paio di teatri: Siria e Libia. Azioni del genere sono state già intraprese (l’intervento russo in Siria), altre sono state annunciate (i bombardamenti di Francia e Regno Unito in Siria contro il Daesh). Altre sembrano ormai mature, specie se le varie fazioni libiche non troveranno un accordo in tempi brevi per costituire un governo d’unità nazionale. La posizione del governo italiano dovrà essere in quest’ultimo caso attentamente monitorata. Di fronte a un’ulteriore avanzata del Daesh in Libia, decisioni anche difficili non potranno essere più rinviate.
NOTA REDAZIONALE: HIC RHODUS inizia con questo articolo introduttivo di Alberto Baldissera la pubblicazione di una serie coordinata di testi sul tema della migrazione verso l’Europa. Le politiche europee, la guerra in Medio Oriente, il terrorismo, le rotte dei migranti, saranno trattati da diversi autori nelle prossime settimane.
Contributo scritto per Hic Rhodus da Alberto Baldissera Negli ultimi trent’anni ha più volte descritto il ruolo delle corporazioni (che lui preferisce chiamare ‘coalizioni distributive’) e delle loro pratiche spartitorie nel declino economico, sociale e civile del nostro paese.