La mancanza di libertà di pensiero (non) religioso in Italia

Il Freedom of Thought Report è il rapporto annuale sulla discriminazione contro gli umanisti, atei e non religiosi redatto da IHEU – International Humanistic and Ethical Union. Come altri rapporti internazionali di cui ci siamo occupati qui su HR (per esempio sulla corruzione) va segnalato in premessa che queste indagini, abbastanza tipiche per la cultura anglosassone, hanno sempre evidenti limiti metodologici nella costruzione del dato, nella reale possibile comparazione fra paesi e vari altri. Vanno quindi prese essenzialmente come segnalazioni – indubbiamente più solide del “sentito dire” o del pregiudizio giornalistico – e come strumento di sensibilizzazione su determinati temi. In particolare IHEU, pur essendo un organismo accreditato a livello internazionale, è una ONG di umanisti, atei, razionalisti e laici, e in qualche modo è quindi di parte e potrebbe essere considerata non sufficientemente attendibile da chi osteggia la libertà di pensiero religioso. Segnalo inoltre che sarebbe necessario precisare i termini appena usati; ‘umanista’ (non nel significato di “aderente all’umanesimo” ma in quello – molto anglosassone e sostanzialmente ignoto in Italia – di “seguace dell’umanismo”) e, specialmente, ‘ateo’, che fa riferimento a un concetto complesso e articolato che solo in certi casi limite ha a che fare con l’“affermazione certa dell’inesistenza di dio”. Ma non è questo il luogo dove discutere di semantica e passo a raccontarvi cosa c’è scritto nel Freedom of Thought Report 2015, appena uscito.

Sin dalle prime righe della Presentazione il Rapporto chiarisce una questione che ritengo estremamente importante: la libertà di pensiero non può essere sottoposta a giudizi differenziati se tratta argomenti religiosi; con riferimento alle stragi di Charlie Hebdo ed altri casi analoghi accaduti nel mondo l’anno scorso

si è troppo spesso avuta una reazione deludente mettendo in discussione le motivazioni delle vittime e condannando i messaggi per i quali sono stati uccisi (“Io credo nella libertà di parola, ma…”; “Ognuno ha diritto alle proprie credenze, ma la religione è un argomento sensibile…”). È fondamentale che il mondo resista all’assunto che queste vittime abbiano in qualche modo provocato o meritato queste gravi violazioni dei loro diritti alla libertà di pensiero ed espressione (Andrew Copson, Presidente IHEU, nella Presentazione del Rapporto, p. 11).

La libertà di pensiero esiste oppure no. Se esiste con dei limiti specifici, per esempio relativamente alla credenza religiosa, non si può affermare che esista “in generale”. Di questo avevamo già parlato, qui su HR, proprio poco dopo la strage a Charlie Hebdo, sostenendo il diritto alla blasfemia, ovvero il diritto di non rispettare obbligatoriamente la religione (che non significa diffamare, calunniare, dichiarare il falso e discriminare, tutte azioni perseguite dalle nostre leggi). La mappa complessiva tracciata da IHEU è desolante:

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Non sfuggirà – guardando la mappa – che i paesi verdi si contano sulle dita di mezza mano e i gialli sono una dozzina; indubbiamente i criteri utilizzati nel Rapporto sono stati molto ristretti se una buona parte di paesi che consideriamo liberali e democratici sono colorati addirittura in arancione (discriminazione sistematica).

Corriamo a guardare cosa dice il rapporto sull’Italia. La Chiesa Cattolica – scrive IHEU a pag. 472 – rimane una forza predominante nel nostro Paese. La storia della libertà religiosa in Italia non è esaltante:

Although since 1948 the Italian Constitution always guaranteed freedom of religion, it was only in 1979 that the Constitutional Court affirmed the equality of rights for the non-religious, and only in 1987 that laicità (neutrality of the State with respect to religions) became a Constitutional Principle (again thanks to a judicial ruling of the Court). However, until its revision in 1984, the Concordat with the Catholic Church (which has Constitutional status) implied that Italy formally had a State religion (p. 472).

Malgrado il Concordato e gli accordi con numerose religioni, rimangono situazioni ambigue se non conflittuali coi musulmani, mentre è stato esplicitamente rifiutato nel 1996 un riconoscimento analogo agli atei rappresentati dall’italiana UAAR; malgrado un ricorso vinto contro questa discriminazione incostituzionale, ancora nel 2003 il Consiglio dei Ministri ha rifiutato ogni riconoscimento. Il Rapporto continua descrivendo, in diverse pagine, i privilegi della Chiesa cattolica, l’educazione religiosa nelle scuole, il reato di blasfemia (con documentazione di numerosi casi recenti), eccetera.

La scheda riassuntiva proposta per l’Italia è la seguente (i colori, come per la precedente mappa, indicano la gravità degli elementi indicati):

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Da laici, leggendo il Rapporto IHEU, rabbrividiamo rammentando elementi ai quali non prestiamo generalmente molta attenzione ma che costituiscono, nell’insieme, un disegno di chiara supremazia cattolica, accettazione di diverse altre religioni, marginalità per i musulmani e ostracismo per i non credenti. L’Italia non è un paese per atei, agnostici, laici, e il fatto che ci siamo abituati non diminuisce questa verità. A questo punto bisogna però fare una parentesi contro il benaltrismo che potrebbe serpeggiare in alcuni lettori, quello che potrebbe portare a pensare che il Concordato, in fondo, non fa male ai non credenti, che il crocifisso obbligatorio negli uffici e nelle scuole non deve interessare più di tanto perché son ben altri i problemi che affliggono l’Italia, e via discorrendo. Mi permetto di dissentire. I nostri valori, elementi costitutivi della nostra cultura e quindi della nostra socialità, non sono scatolette stagne e separate l’una dall’altra. Non c’è una scatolina dei valori religiosi, che i cattolici riempiono in un modo e i laici in un altro, separata da altre scatoline, per esempio quella dei valori democratici (universalismo, uguaglianza di fronte alla legge etc.), quella dei valori professionali (diritto d’impresa, diritti sindacali…) etc. Tutti i valori, inclusi quindi quelli espressivi e relativi al diritto d’espressione, sono collegati, sono connessi con una relativa coerenza l’uno all’altro: crediamo alla libertà dell’individuo e quindi al suo diritto d’impresa e quindi anche al suo diritto d’espressione inclusa la sua libera espressione religiosa (o non religiosa). Che nel quadro complessivo della nostra società democratica ci sia da sempre, sin dalle origini della nostra Repubblica, questo vulnus specifico, non deve essere considerato marginale, né poco pericoloso proprio per i fondamenti della Democrazia. Quello che il Rapporto IHEU ci dice è proprio questo: osservando l’Italia da questo angolo visuale si vede l’imperfezione grave della democrazia italiana, che differenzia e discrimina, sottolinea privilegi (per la Chiesa cattolica) e umilia una parte della popolazione italiana (i non cattolici e, specialmente, i laici). Tenendo poi presente che anche in Italia la secolarizzazione ha progredito fortemente (come scritto di recente su HR) queste discriminazioni assumono sempre più il sapore odioso dell’offesa all’inclusione, alla libertà compiuta, alla convivenza pacifica.