Stupri di minori coperti dalla famiglia e stupratori difesi dalla comunità. Stupri filmati dalle amiche della vittima e diffusi su Whatsapp. Femminicidi qua e là. Poi la ragazza suicida per la vergogna del video hard circolato in Internet, una scelta demenziale che evidentemente fa tendenza perché abbiamo altre notizie analoghe in questi stessi giorni.
Non so se come uomo ho titolo per dire quanto tutto questo mi dia fastidio, mi faccia male. Spero di sì. Ma l’accumularsi, in queste settimane, di tali e analoghe notizie, mi ha fatto pensare a lungo e devo dire che ho commesso un grossolano errore quando, due anni e mezzo fa, ho scritto Il corpo delle donne è rivoluzionario. In quel post dicevo, sostanzialmente, che in Occidente il nudo (maschile e femminile) è ormai merce comune per nulla scandalosa; lo scandalo, relativamente al corpo femminile esposto, rimane solo in culture misogine, tipiche di alcune comunità religiose (citavo Islam e mormoni). Un anno dopo ho scritto un post più meditato dove utilizzavo categorie antropologiche per spiegare perché il corpo femminile fosse oggetto di oltraggio, ma ancora mi sembra insufficiente. Mi consentirete alcune riflessioni in parte nuove e comunque parziali.
La violenza su donne e minori c’è sempre stata. Non abbiamo statistiche oltre qualche decennio, ma chi ha studiato, per esempio, la vita nelle campagne italiane dell’Ottocento e primi Novecento sa benissimo quale promiscuità, quale ignoranza, quale costrizione si vivesse. Chi utilizza i grandi classici della letteratura come specchio della realtà dell’epoca avrà presente la durezza di certe rappresentazioni di Dickens, di Zola e molti altri. Chi, ancora ai giorni nostri, conosce da vicino la realtà dei servizi sociali, sa bene quali atroci problemi familiari debbano spesso affrontare. Non voglio sminuire il presente, ma ricordare un importante dato di fatto che, in un certo qual modo, rende più grave il problema: la violenza non è un fenomeno attuale, ma sempre esistito; la subalternità femminile ha secoli, millenni di sofferenza da raccontarci. Se la visione storica ci consente questa consapevolezza, una adeguata sensibilità antropologica ci può aiutare a trovarne delle ragioni. E non è che manchi letteratura sull’argomento, e ipotesi, e ricostruzioni più o meno convincenti. Naturalmente c’è un dato biologico ineludibile: la femmina riproduce la specie e la rende fragile ed esposta per lunghi periodi. Su tale realtà si costruiscono divisione del lavoro, disputa per le femmine, ritualità sociali per risolvere tali dispute, organizzazioni sociali complesse e, a copertura di tali organizzazioni, delle sovrastrutture culturali (valori, modelli di comportamento, conoscenze tacite…). Quello che cambia, oggi, riguarda un mix di tecnologia (anche in negativo, come reati sessuali realizzati anche grazie a Internet, smartphone e così via), comunicazione edonistica (siamo tutti immersi nel vastissimo oceano dei social cercando di affermare noi stessi) e sensibilità di genere. Cambiano quindi alcuni mezzi per fare il male ma è cambiata, e non poco, la considerazione sociale sulla natura di quel male. Mai come in questi anni recenti le vittime hanno urlato, la società si è indignata, gli uomini stessi – una parte almeno – hanno compreso. Oggi ci sono reati nuovi (lo stalkeraggio per esempio) che non moltissimi anni fa erano considerati leciti comportamenti machisti; chi fa violenza a una donna è biasimato dalla stragrande maggioranza delle persone, e non ci si deve ingannare se in una piccola e isolata comunità tradizionale ciò non accade; questi episodi sono sempre più isolati e doppiamente biasimati dal resto del mondo. Oggi la violenza sui minori è all’apice dei comportamenti che scatenano indignazione di massa, ma non sono lontani gli anni in cui i minori erano senza diritti e senza considerazione.
Alcune spiegazioni sociologiche sulla violenza sulle donne non mi sembrano convincenti; si dice, per esempio, che in quest’epoca di passaggio verso epoche più emancipate gli uomini perdano di vista la loro identità (machista) e reagiscano scompostamente alla loro conseguente fragilità. Tale fragilità c’è sempre stata. Anche essere maschi è difficile in un mondo macho. Né si capisce perché il mutamento in atto non coinvolga entrambi i generi ma solo le donne… Non voglio avanzare nessuna teoria, non è questo il mio mestiere, ma ricordo semplicemente due elementi: il primo è che i processi culturali sono molto più lenti, nel loro evolvere, di quelli sociali, che sono a loro volta più lenti di quelli scientifico-tecnologici. Intendo dire che una persona come me, per esempio, ha visto l’era della macchina da scrivere sorpassata dai world processor, le lettere scritte a mano dalle email e così via, ma il mondo sociale attorno a me (quello professionale, per esempio) è rimasto più o meno quello (salvo trarre benefici pratici dalle tecnologie) e quello culturale assomiglia, come valori di riferimento, a quello di mio nonno. Oggi si filma una ragazza compiere un atto sessuale con uno smartphone, e quel filmato è in rete mezz’ora dopo e virale dopo 24 ore, mentre il comportamento sociale della ragazza (avere rapporti con chi vuole, al pari di un uomo) è biasimato alla luce di un pensiero vecchio: l’uomo che scopa è un mandrillo, la donna una troia. Ecco: abbiamo un pensiero vecchio inadeguato ai comportamenti sociali nuovi che solo a parole, o nei film, consideriamo “normali”, e le nuove tecnologie rendono tutto troppo drammaticamente veloce e incontrollabile.
Ci saranno indubbiamente molte variabili che sociologi più qualificati di me sapranno aggiungere per comprendere il fenomeno, ma questo dei modelli culturali lenti a cambiare resta la macro-spiegazione, il quadro concettuale, la cornice di riferimento più importante. Occorrono pochi anni per rivoluzionare le tecnologie, mentre occorre aspettare il ricambio di più generazioni perché nuovi modelli culturali si impongano. Non basta infatti che scompaia naturalmente la generazione dei machi ottusi e violenti, devono scomparire anche i loro figli, a quel machismo educati, devono essere esposti a una cultura migliore, inclusiva e gentile, i nipoti, e forse nella quarta generazione avremo cittadini affrancati, culturalmente, da questa rozza sessualità maschile (questo è il secondo elemento) che madre natura ci ha fornito per ragioni di sopravvivenza della specie che avevano ragione di esistere millenni fa. Dalla rude sessualità riproduttiva, per la quale si doveva lottare e si poteva morire, a una sessualità paritaria vissuta principalmente come forma di amore e comunione fra i partner. Solo quando la sessualità sarà principalmente questo, comunicazione affettiva, la donna cesserà di essere considerata preda da certi maschi, vivrà la stessa libertà sociale dei maschi, vestirà come le pare senza essere per ciò stesso giudicata disponibile, si comporterà come le pare senza essere per questo giudicata “facile”, farà sesso con chi le pare, con gioia e libertà, senza essere considerata una prostituta.
Ecco infine perché una battaglia culturale per la vera parità sociale e culturale fra i generi è di rilevante importanza e, assieme, così difficile. Ecco perché i titoli sessisti di certi quotidiani e blog, di certi politici e commentatori, ci tengono fermi in questo auspicato progresso. Ecco perché gli impedimenti emancipatori imposti dalle religioni (tutte) sono intollerabili ed ecco perché la battaglia contro il velo integrale e il burkini è importante. Ecco perché oltre ai maschi machi occorre lavorare educativamente e culturalmente sulle stesse donne che hanno introiettato quel medesimo modello di subalternità. Le ragazze che filmano l’amica stuprata sono in qualche modo convinte di essere oggetti sessuali per il maschio alfa; le donne islamiche che invocano il diritto di essere imprigionate in un burqa sono state educate sin dall’infanzia a riconoscere solo questo come loro spazio di vita; le donne che non denunciano le violenze domestiche “per proteggere i figli” sono vittime e complici di quegli abusi e pessime educatrici di figli che riprodurranno quegli stessi modelli. Ogni uomo violento e abusatore ha avuto una madre, ricordiamocelo, che spesso è la sua prima alleata.
Non vorrei essere scioccamente ottimista ma io credo che proprio il fatto che tanto parliamo di questo significa che i processi culturali, nel loro lento e contraddittorio progredire, sono comunque in moto. La sensibilità è in aumento, la consapevolezza si diffonde. Ci sono più leggi, se ne parla di più e, qui in Occidente, i dati dimostrano che le cose vanno enormemente meglio che altrove con trend in diminuzione. Il fatto stesso che anche questi crimini diminuiscano (almeno i più efferati) mentre l’indignazione collettiva cresce, indica che c’è sempre meno spazio sociale, meno tolleranza, per questi comportamenti. Ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte; educhiamo bene i nostri figli, educhiamoli alla libertà che siano maschi o femmine; educhiamoli alla diversità e all’inclusività e all’affettività.
